Alla Fiera del Benessere abbiamo provato un certo malessere. Colpa nostra, perché siamo andati ad ascoltare Matteo Gracis. Sabato 13 aprile, in una mattinata soleggiata in quel di Padova, ci siamo giudiziosamente seduti ad ascoltare per quasi due ore il quarantunenne giornalista bellunese che nel suo sito si presenta come “esperto” di cultura di canapa, oltre che occuparsi di comunicazione e di attività “commerciali, culturali, artistiche e soprattutto viaggio”. Si chiederanno i lettori: embè, a noi che ce ne frega? Eh no, cari lettori, ve ne deve fregare. Perché Gracis è un esempio da manuale, se per caso volete capire meglio cos’è oggi il mondo degli influencer. Non quelli che promuovono vestiti o smalto per le unghie, no, quelli più subdoli: gli influencer apparentemente colti, seri, “profondi”. Quelli che ti offrono, leggiamo sempre sul suo sito, “un percorso di crescita personale”, con “preziose chiavi di lettura per trasformare la propria vita in un’avventura meravigliosa”. E difatti il titolo della lezioncina era, appunto, “Come trasformare la propria vita in un’avventura meravigliosa”. Niente po’ po’ di meno. In sostanza, più prosaicamente, un’occasione per smerciare il suo ultimo libro dedicato alle “anime irrequiete” (mentre le tipologie di altri possibili eventi dal vivo sono: “elogio al pensiero critico, positivo e al beneficio del dubbio”, esperienza in cui “il pubblico si diverte, si indigna ma soprattutto si emoziona”, oppure “Cannabis, Canapa, Marijuana, Ganja, Erba, Sensimilla”, o il “racconto appassionato” degli “oltre 65 paesi” che ha visitato: me cojoni, direbbe Sora Lella). Premettiamo che Gracis è uno che non se la tira per niente: “Una signora mi ha detto: mi fai star bene”, puntualizza all’inizio. La sua oratoria è da convention classica: in piedi, camminando a destra e a sinistra, pause enfatiche, mood sciolto. Niente di che. Più problematici certi contenuti. Per dimostrare la necessità del dubbio cartesiano, ne insinua uno su un vecchissimo cavallo di battaglia dei dubbiosi, diciamo così, estremi: l’allunaggio. Correva l’anno 1969. “Io voglio continuare a credere che ci siamo stati sulla luna”, afferma ironico. Vabbè. Il sistema scolastico moderno? “Lo detesto perché fondato su competizione e omologazione”. Sottoscrivibile. Ma l’alternativa? “Abbraccia un albero, passeggia nel bosco, pianta un chiodo”. Un Henry Thoreau senza capanna sul lago. I social network? “Sarebbe meglio chiamarli ‘asocial network’, perché isolano”. Mai sentita, questa. Fortuna che in soccorso vengono “i grandi del passato”, che “tutti” convergono su un consiglio sapienziale: “Cogli l’attimo”. Di sicuro a dirlo era Orazio, il poeta romano del carpe diem, gaudente moderato ma gaudente. Un po’ meno, forse, altri (Gesù si fece crocifiggere, Socrate giustiziare, Gandhi prosciugare dagli scioperi della fame, e solo per citare la triade solitamente più citata).
Ma veniamo alle cose serie. Opportunamente, a proposito di social, Gracis fa notare come non siano strumenti apolidi: TikTok, per esempio, è la versione che i cinesi rifilano al pianeta, mentre entro i propri confini lo vietano e ne usano un’altra con “contenuti edificanti”. Altro che vetrina per balletti stupidi: si tratta di un’“arma cognitiva del potere cinese”. Lungi da noi non esercitare il famoso dubbio sulle abili modalità di controllo del Partito Comunista Cinese, ma la motivazione fornita non si discosta molto da preoccupazioni diffuse anche dalle nostre parti: limitare alla fonte il tempo che i minori di 18 anni dedicano ai videogames, alienandosi dalla vita reale. Per il resto, anche Douyin – questo il nome del TikTok per soli cinesi – punta al mercato dei millennials e della Generazione Z. Esattamente come fanno i nostri Meta, X e compagnia digitante. E infatti, dice bene Gracis, la soglia di attenzione degli adolescenti è “crollata”. Ma pare un filino parziale sostenere che solo TikTok è “come l’alcol usato sui nativi americani”, un mezzo di distruzione sociale di massa lanciata da una potenza straniera. Perché la stessa, identica accusa bisognerebbe rivolgerla anche ai nostri Mark Zuckerberg ed Elon Musk. Quanto meno la Cina, sia pur con i sistemi dall’alto di un “socialismo di mercato”, il problema cerca di affrontarlo. Noi, no. Perché da noi il mercato, che significa assetto in cui a spadroneggiare, salvo qualche multa, sono una manciata di multinazionali, non si tocca. Perché non si tocca? Perché a legittimarlo come idolo intoccabile è la tecnologia la quale, spiega Gracis contraddicendosi in pieno, “non è un problema in sé”, dato che a fare la differenza “è l’uso che se ne fa”. In altre parole, “i social sono incredibili se usati bene”. E qua il buon Gracis offre una piccola dimostrazione di come si utilizza, per dire, l’Intelligenza Artificiale, tramite ChatGpt: chiedendo al pubblico presente di proporre un tema, accogliendo gli spunti ne viene fuori una “storia di 80 parole ambientata nel futuro a Noale con lo stile di Dante, ironico, avvincente, originale su un gatto randagio e un bambino autistico con finale positivo e non scontato”. Wow. In realtà questo, precisa, “è già il passato”, perché l’ia produce già immagini, e presto passerà anche ai video. Morale: “Mettete in discussione qualsiasi cosa vedete”. Ma non mi dire. Di più: Musk sta già testando il microchip nel cervello, in Svezia qualcuno ne sta già usando uno incorporato nel braccio per pagare alla cassa, e la robotica ci sostituirà pure nei lavori manuali. Siamo al “si salvi chi può”, che impone come gravoso compito “rimanere umani”. E come si fa? Ponendosi “in modo umile, con curiosità”. Cioè: siccome sono strumentazioni, dipende da noi, singoli individui, l’esito del loro utilizzo. Ora, senza ricordare solidi pensatori che già decenni fa sbugiardarono la favoletta della tecnologia in sé neutra (Günther Anders, L’uomo è antiquato, 1956), basterebbe riflettere un momento su come il web ha modificato in profondità la psicologia di massa, per rendersi conto che è ingenuo, o truffaldino, pensare di non farsene condizionare chiudendosi ciascuno nel proprio cantuccio personale, alimentando così la stessa logica di cui si nutre la virtualità: la solitudine. Uno, singolarmente, può certamente mitigarne l’abuso e farne un uso consapevole, ma se a usarlo bene o male sono tutti, per almeno tentare di ridurne gli eccessi decisivo sarebbe solo l’intervento politico.
Ma il controinformatore Gracis pretende di combattere il sistema adottando come medicina omeopatica l’individualismo che è l’ideologia stessa del sistema. A lui la politica, intesa nel suo autentico senso di impegno per governare la cosa comune, non interessa granché. Troppo difficile, se si aspira a una vita meravigliosa. Viene più facile l’egoismo. “Egoismo”, sissignori: con il tono di chi si crede controcorrente, lo chiama proprio così. “Smettetela di pensare di salvare gli altri, salvate voi stessi e la vostra famiglia”. Per carità, chiarisce, una delle due strade di salvezza resta la “lotta per i diritti” e per “essere esseri umani” - senza per altro specificare come si concretizzi, questa lotta. Ma l’altra è la “gioia di vivere”. Ci mancherebbe. E come si gioisce? Con l’“irrequietezza”. “Costruendo ponti”. “Ripartendo dalla gratitudine di essere nati qui”, nella parte ricca del globo. Urca, non ci avevamo mai pensato. E segniamoci quest’altra: “quando spira il vento del cambiamento, c’è chi costruisce muri e chi mulini a vento”. E chi è che costruisce mulini a vento? Anime irrequiete come la sua, e come quella delle “madrine” del suo libro: Rosita Celentano, Natasha Stefanenko e Maddalena Corvaglia. Lui, il Gracis, crede di più nella “rivoluzione personale”. Il che tradotto significa, testuale, “avere una bolla in cui goderci la vita”. Rivoluzionario, proprio. Del resto, “a un certo punto” della sua esistenza, ha capito che “non c’era niente di più importante della mia legge morale”. Pure trascendentalista kantiano. La fede? “Nell’universo”, in cui “prevale il Bene”. Sì, ok, ma in pratica, gli chiede una ragazza di 24 anni che si dice “impaurita” da questa società, che bisogna fare? “Mettiti uno zaino in spalla e vai a scoprire il mondo. Viaggiare non è turismo, è uscire dalla comfort zone, se si viaggia più lontano e in modo più lento possibile”. Mamma mia, che trasvalutazione di tutti i valori. Introducendo una domanda, una signora gli fa: “Grazie, perché dici cose che la gente vuol sentirsi dire”. Ne avevamo il sospetto. Il Nostro era partito bene, anni or sono: società di comunicazione (oggigiorno chi non ha una società di comunicazione?), assistente dell’ex deputato ed ex ministro grillino Federico D’Incà (la cui verve era pari a una pagina bianca di libro mai scritto di autore precocemente scomparso), collaboratore del sito di Beppe Grillo (fino al 2019, poco prima che Grillo smettesse definitivamente di essere Grillo trasformandosi nel Forlani dell’Altrove) e fondatore, nel 2021, di un giornale online, L’Indipendente (che obiettivamente è un bel giornale, niente da dire). Dopodiché, l’illuminazione: anziché fornitore di servizi, perché non anche influencer? E così, non difettando certo di quel narcisismo che è diventato come il sale nella pasta sulla scena pubblica, via, all'arrembaggio, a vele spiegate verso il gioioso bombardamento di punti di vista, con premessa, svolgimento e conclusione davanti allo specchio della telecamera. E si sa che lo specchio delle proprie brame prevede una risposta sola, alla domanda su chi sia il più bello del reame. Lui ha capito come funziona il gioco di quella sega circolare a mille mila mani che sono i social: se vuoi diffondere il verbo e crearti un fan base di fedeli adoranti, prima di tutto devi esporre in evidenza non cosa sai, ma chi sei, e soprattutto come sei. Devi narrare la tua storia. Incessantemente. E se non ne hai in mano una particolarmente originale, è semplice: fai di te stesso, della tua faccia e dei tuoi pensierini, hobby e tempi morti un fogliettone a puntate.
Ogni post un episodio del tuo ipertrofico io, ogni story un’istantanea del tuo ombelico, ogni diretta un capitolo della tua saga autopromozionale. La merce in offerta non è poi tanto interessante? Niente paura: con basilari tecniche di sceneggiatura e coreografia, enfatizzando, ingigantendo, flautando, vittimizzando, eroicizzando e romanzando te stesso, nonostante tu sia un umano che va al bagno come tutti, puoi sentire il corpo sopraelevarsi di due metri, come il guru illuminato dal cervello in sovrappeso che sei ora. A disturbare un tantino, almeno noi, è il suo dirsi da solo quanto è libero, fuori dal coro, paladino della verità (parola, questa, che lasceremmo ai cinghiali laureati in matematica pura). Basta farsi un giretto sui suoi canali per avvedersene. Un Guerriero della Luce che spaccia banalità per scoperte sensazionali. E con la smania di rivendersi come araldo del Bene. Tanto che una volta, per la precisione la scorsa estate, è stato autore di un piccolo capolavoro da lettino psicanalitico. Un bel mercoledì si alza con la luna storta e fa finta di voler togliersi da tutti i social per rinchiudersi nel clubbino di Telegram. Due giorni dopo, il venerdì, in posa da warrior, rivela beffardo che era uno scherzone: giammai lascerà orfane della sua Parola le schiere di adepti. E perché questa pantomima? Perché si era risentito, il Cavaliere dell’Ideale, per i volgari attacchi di individui che non comprendevano come potesse far pagare a una parte degli ospiti il biglietto per la sua festa di compleanno (sic). Lo confessiamo: invidiamo fortemente questo spirito libero che, pur avendo viaggiato molto, non riesce che a circumnavigare il suo ego. Come se Cristoforo Colombo, anziché dalla Spagna, fosse partito da Genova per scoprire l’America a Chiavari. Noi ammiriamo la di lui granitica certezza nell'avere sempre ragione, autoassolto per insufficienza d’indagini sulla propria mancanza di senso del ridicolo. E guardiamo a lui come esemplare della totale, viscerale e sincera, soprattutto sincera, assenza di autoironia. Non parliamo delle battutine piacione: parliamo di avere il senso del limite e delle proporzioni. Invece, come un vero influencer, è tutto un io, io, io. E alla fine, questo io, chi sarebbe? Un nessuno, alla lettera un non-uno, ma molti insieme. Rappresenta, cioè, i molti che insieme formano quella società di narcisetti che un po’ tutti noi, seppur in misura variabile, siamo. Ma che più di tutti siete voi, se seguite imbambolati un sedicente duro e puro il quale, roteando l’Excalibur, è autore di inediti baci perugina come “l’amore vince sempre sull’odio”. Sì, come no: e l’importante è partecipare. Matteo Gracis, noi ti si prega: continua così. Altrimenti, senza di te, come farà il Bene a trionfare sul Male?