Era Il fiume rosso di Howard Hawks la pellicola deputata a chiudere il piccolo cinema di Anarene (luogo di fantasia in Texas) nel film L’ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich. L’ultimo spettacolo non è solo uno dei migliori film americani in assoluto, ma una preziosa coming of age story (anticipando American Graffiti) che segue la storia di tre ragazzi, tra cui Jeff Bridges e una meravigliosa Cybill Sheperd, con un piede nell’adolescenza e l’altro nell’età adulta con tutto ciò che quest’ultima comporta, sposarsi o partire per la Guerra di Corea. Peter Bodganovich che si è formato tra la regia teatrale e la critica cinematografica ha qui reso un omaggio al cinema, lui che di cinema e di opere in matinée si era sempre alimentato (vi consiglio di recuperare due suoi libri usciti per Fandango: Chi c’è in quel film? e Chi ha fatto quel film?). Da che io ricordi, e la mia memoria non ha una valenza statistica, le proiezioni al mattino in Italia sono appannaggio solo delle scuole – che invidia, mentre per noialtri (parlo dagli anni Novanta in poi, ma bisognerebbe fare un distinguo tra grandi città e province) c’è sempre stato il conforto del cinema d’essai coi suoi film dal primo pomeriggio in poi, sparite quelle sale (non del tutto) al giro del millennio fagocitate dai multisala e questi ultimi brutalizzati dalla pandemia col relativo lockdown, abbiamo conosciuto una riduzione ulteriore delle opere relegate dall’ora dell’aperitivo in poi. Che la sala cinematografica debba riacquistare una sua aurea sacra lo capisco pure, come capisco che la proliferazione di piattaforme streaming - con i periodi di prova gratuiti - possano scoraggiare chiunque esca dall’ufficio a partecipare allo spettacolo post 21 (e sappiamo che tra pubblicità del secondo dopoguerra, trailer and so on non si inizia mai puntuali) magari per vedere l'ultimo film di Martin Scorsese della durata di quasi 4 ore (Killers of the Flower Moon). Restituire allo spettacolo, l’ultimo e spesso unico della giornata, la sua identità di evento rischia di alienare i pochi aficionados all’esperienza immersiva e intima che era un tempo la sala cinematografica.
Credo sia un problema tendenzialmente italiano e, a quanto pare, anche nel vicino campo musicale quando si tratta di definire gli orari dei concerti si sollevano spesse volte giuste polemiche, come se allungando lo spettacolo la durata media della vita si allungasse a sua volta e, in un rapporto direttamente proporzionale, così anche la durata della giornata. Secondo un report del 2022 6 giovani su 10 non sono andati in sala e, ripeto, chi glielo fa fare? Lo stesso David Cronenberg ha esaltato l’esperienza domestica della visione filmica a ridosso del 2024. Ormai, finché i multisala continueranno a puntare sui cartoni for dummies e i duo comici, le sale si riempiranno inevitabilmente nel fine settimana e nel tardo pomeriggio, in una frenesia di famiglie con bimbi a carico e adolescenti che si riparano dalla pioggia: sono loro che tengono per le palle gli esercenti? Forse dei film come Aggro Dr1ft di Harmony Korine (presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia) potrebbero fare il miracolo; o rieducare la gente - e non parlo degli ottuagenari - alla storia del cinema, a impararla cronologicamente riservando gli spettacoli del mattino ai classici o alle rassegne mirate. Sarebbe un buon modo, come succede nel resto del mondo da sempre, per far conoscere alle nuove generazioni il cinema autentico del passato, ma credo che gli studenti tra app e registri elettronici rischino una brutta fine come i protagonisti di Battle Royal o Jena Plissken in Fuga da New York. Lo stesso problema viene sollevato con le anteprime stampa sempre a ridosso della prima serata, quando altrove, dalla Francia al Regno Unito, viene tutto condensato durante la prima parte della giornata. Forse bisognerebbe accettare la dura realtà (e la scelta dei due spettacoli serali e basta) ossia che la critica cinematografica non esiste più così come non esiste più il pubblico di cui abbiamo fatto parte: sono realtà e specie in via d’estinzione come l’arrotino, l’ombrellaio o l’orango del Sumatra.