Che valore ha la storia del cinema? Risponde Steve Della Casa, critico e restauratore del Centro sperimentale di cinematografia ospite de La Terrazza by Atlas Concorde e all'Hotel Excelsior del Lido. “Il cinema di repertorio ha oggi un valore commerciale”. E sulla fragilità e le sue declinazioni alla Mostra di Venezia (in Bugonia e The Smashing Machine) e la politica nei film? Ecco cosa ci ha detto.

Steve Della Casa, quali sono i film che più hai apprezzato e hanno stimolato il tuo sguardo?
Sicuramente The Voice of Hind Rajab che racconta una storia attuale, su cui tutti abbiamo delle opinioni, in maniera molto decisa ma al tempo stesso riesce anche a essere un film spettacolare. È un film oltretutto girato in due stanze, praticamente con sei persone nel cast. Coinvolge dall'inizio alla fine con un meccanismo drammatico molto interessante e credo che sia il più bello. Cito anche Il Mago del Cremlino di Olivier Assayas, film complesso, che racconta anch'esso l'attualità, ma che soprattutto indaga su come nasce il totalitarismo e su quale meccanismo deve essere messo in piedi per fare in modo che un popolo lo chieda. È una Mostra che ha messo in campo forse il miglior cinema che si è prodotto quest'anno.
Che cosa pensi di tutto ciò che è successo intorno alla Mostra?
Il cinema nelle sue stagioni migliori è sempre stato una spugna che assorbiva ciò che accadeva nel mondo e lo restituiva sotto forma di spettacolo. Come diceva Bertolucci, il cinema è l'arte del Novecento e senza il cinema il Novecento non puoi raccontarlo. Adesso il Novecento è finito, siamo in un altro secolo, però forse quest'anno la presenza dei film alla Mostra ci dimostra che il cinema può darci degli strumenti per capire meglio e comprendere la realtà, anche più di quanto possano fare i mezzi di informazione. È tutta una questione di drammaturgia. Se la drammaturgia è davvero forte e importante, uno non vede un film come un volantino, ma come un'occasione di riflessione.
In tanti film, declinata in maniera diversa, si parla di fragilità. Come è stata trattata quest’anno nei film come The Smashing Machine e Bugonia?
Bugonia è effettivamente un film sulla fragilità e su ciò che questa comporta. Insomma, credo che sia un periodo in cui, per quanto riguarda le questioni comportamentali, ci sia una profonda riflessione, una profonda crisi dei modelli tradizionali. Ci sono stati il MeToo e una serie di eventi che hanno modificato in tutti, credo, la percezione. Certe cose che venivano tollerate fino a vent’anni fa adesso non lo sono più. Recentemente ho visto un film che all'epoca mi era piaciuto molto, Amore mio aiutami, di Alberto Sordi: la scena finale in cui Sordi prende a schiaffi Monica Vitti, che peraltro non era Monica Vitti ma la sua controfigura, Fiorella Mannoia, mi ha disturbato.

Tu sei a Venezia anche in veste di conservatore: a quale film sei particolarmente affezionato?
Roma 11 è un restauro che mi è molto piaciuto poter fare, intanto per la mia lunga amicizia con Giuseppe De Santis, che è il regista mancato ormai vent'anni fa. Roma 11 è un omaggio personale a De Santis ed è anche un film che mi fa molto piacere che le giovani generazioni possano vedere, racconta un universo femminile sfruttato, mal considerato, visto con altezzosità dalla parte maschile. Stiamo parlando del 1952, un'epoca molto diversa, eppure è una forza che ancora oggi non si è esaurita.
Il cinema si deve reinventare per riportare le persone in sala, il passato in questo senso, il restauro, la riscoperta di classici, può essere un modo per creare una filiera del cinema che vada anche al di là della singola uscita o del singolo blockbuster?
Il cinema è un'arte strabica, che deve guardare al passato e al futuro contemporaneamente. Senza la memoria è difficile costruire qualcosa. Io penso sempre a un autore insospettabile come Aldo Nove che ha cominciato a pensare di scrivere dopo aver letto I Promessi Sposi, un titolo che nessuno abbinerebbe a quello che ha fatto Nove. Io credo che la stessa cosa valga per i classici del cinema. In più, il cinema di repertorio ha oggi un grande valore commerciale. Nel senso che i film, se sono ben presentati, ben introdotti e inseriti correttamente nella storia del cinema, ma anche nella storia dell'umanità, hanno un pubblico impensabile. Io conosco i proprietari dei diritti che vendono le loro opere degli anni Quaranta in tutto il mondo, continuamente. Quentin Tarantino ci ha insegnato che la conoscenza della storia è fondamentale per fare un cinema completamente nuovo come il suo.
Il cinema di genere può avere una funzione in questo senso?
Credo che oggi la barriera tra cinema d'autore e di genere si sia incrinata. Questo è positivo, anche perché nella nostra stagione d'oro, negli anni Sessanta, c'era un'osmosi totale tra queste due dimensioni. Gian Maria Volonté se non avesse recitato in Per un pugno di dollari non avrebbe fatto la carriera che è seguita. Citto Maselli ha fatto la seconda unità di Arrivano i Titani. Insomma, ci sono tantissimi incroci in quegli anni che sono stati i migliori. Persino Antonioni ha fatto un mitologico. Quindi è una cosa che va assolutamente ripresa, perché le barriere in generale non vanno mai bene, ma nel cinema in particolare fanno male al buon prodotto.
