Si è appena conclusa la quarta edizione italiana di Sneakerness, l’evento più importante per la kick culture europea. Ovvero quell’ossessione verso le scarpe, un vero e proprio simbolo di appartenenza che, una volta, venivano chiamate banalmente “scarpe da tennis”, che costavano poco e si consumavano correndo, saltando, ballando, giocando a pallone per strada. Come diceva Nanni Moretti, in Bianca: “Ogni scarpa, una camminata. Ogni camminata, una diversa concezione del mondo”. Infatti, ogni squadra, ogni gruppo, ogni classe sociale aveva la propria. Poi, negli anni Ottanta, un ragazzino afroamericano cambiò tutto, prima con una palla da basket in mano, poi semplicemente con la schiacciata più celebre della storia, il suo nome era Michael Jordan e diede il via al fenomeno della “sneaker culture”, ovvero la subcultura - a tratti religiosa - che celebra il mondo delle scarpe da tennis, che da semplice indumento diventano gioiello e si elevano allo status di sneakers. E per gli adepti non esiste evento più atteso di Sneakerness, la convention nata nel 2008 a Berna, presto trasformatasi in un fenomeno culturale che ha conquistato l’Europa, con un tour che tocca le principali città del continente, tra cui Milano, dove è andata in scena proprio nel weekend del 14 e 15 ottobre. Gli East End Studios di via Mecenate per l’occasione si sono tramutati nel Louvre delle sneakers, apparecchiati in ogni angolo con alcuni dei pezzi più pregiati e rari - oltre che costosi - di sempre, a partire da svariati modelli Jordan, per arrivare fino alle iconiche Nike SB Dunk Low “Freddy Krueger” - scarpe dal valore di trenta mila euro. E tra i banchi dei vari reseller, Monster Energy, content provider d’eccezione, ha permesso ai visitatori di cimentarsi in sessioni di gioco sul nuovo Call of Duty o di rifarsi il look, offrendo gratuitamente tagli di capelli tanto tamarri quanto fighi realizzati da un parrucchiere, proprio nel loro stand.
Tra le novità di questa quarta edizione, inoltre, l’area Sneakerness Kids by Just Play, interamente dedicata ai bambini di età inferiore ai 12 anni: dai numeri delle scarpe fino alle attività come la scuola di DJing, i tornei di minibasket, i workshop di graffiti art e fingerskate. Un piccolo sguardo anche all’ambiente, con uno spazio interamente dedicato a East Market - da anni leader della vintage street culture milanese e italiana - per la vendita di prodotti di seconda mano e un pop-up shop di upcycling, ovvero la pratica di personalizzazione di vecchi capi, per ridurre l'impatto ambientale. Una filosofia green applicata anche nell’offerta alimentare, con una plastic-free policy seguita da tutti i food truck presenti nell’area esterna per sfamare orde di sneakerheads. A tutto ciò, si aggiunge un’ottima selezione musicale, che ha attraversato tutte le epoche più importanti della storia dell’hip-hop - partendo dagli N.W.A., per arrivare fino ai nostri Travis Scott e Kanye West -, in grado di sopperire all’unica nota dolente dell’evento, ovvero l’intrattenimento, con un programma piuttosto scarno di contenuti. Durante la due giorni, infatti, a spezzare il ritmo frenetico della convention ci sono stati poche iniziative. Tra le più rilevanti ricordiamo la presentazione del libro 1000 sneakers Deadstock a cura del team di Larry Deadstock, il collettivo parigino più importante nel mondo del collezionismo e reselling, il torneo tre contro tre organizzato da Puma Hoops sulla metà campo allestita apposta per l’evento e, infine, il dj set di Ensi, in chiusura della convention. Per il resto, ci sono stati pochi talk sulle sneakers, molto ripetitivi e poco accattivanti. Un’offerta decisamente più scarsa rispetto alle edizioni straniere, ma comunque in linea con la mentalità dello sneakerhead, a cui questi eventi di contorno servono quanto quel piccolo respiro che i bambini fanno mentre bevono, giusto per istinto di sopravvivenza, per rifiatare tra una trattativa e l’altra. Per rendere meglio l’idea di cosa passi per la loro testa, infatti, vi basta immaginare questa scena a cui abbiamo assistito in prima persona: “Quanto vuoi per quelle?”, “Non sono in vendita”. “Dai, su”, “Duemilaeotto” risponde il venditore, convinto di aver scoraggiato il ragazzo. “Tieni”. “Ma non ho la scatola”. “Non me ne frega un c*zzo”. E il venditore finisce con una mazzetta di banconote in mano, a piedi scalzi, dopo aver venduto le proprie scarpe. A Sneakerness succede anche questo.