Il mitico Giorgione, cuoco in salopette da Super Mario che in cucina spizzica, fa scarpetta, ingolla, rimesta sughi grassi e taglia salumi in fette erte da far saltare le coronarie strusciando la panza sul tagliere, si è unito in comunione con un altro campione di crassa romanità “gnóra”, il pigmalione delle male parole Danilo da Fiumicino. Quest'ultimo, che a parte pubblicizzare il bed and breakfast al centro di Roma dove lavora - proprio nel palazzo sotto il quale si cela la meridiana di Augusto, per dire, in Via di Campo Marzio- è anche content creator sui social e mattatore radiofonico. Proprio in radio ha dato vita al raccapricciante siparietto sulla annosa questione riguardo la pajata, il piatto romanesco a base di anelli di budella di animale “da latte”, “mito e spauracchio” di tanta leggenda capitolina. Come è noto, Sor Marchese del Grillo nell’omonimo film si espresse sul budello di agnello che stava assaggiando la sua Olimpià – la pajata appunto - convincendola a mollare la forchetta in quanto carica di “m*rda. La bella francese, incredula, posò la posata col rigatone al sugo di pajata di corsa. Ovviamente Giorgione non poteva far altro che avvalersi della ricca pezza d'appoggio che aleggia da sempre a Roma e sparare la solenne caz*ata per la quale spesso i ristoratori utilizzerebbero dei vitelli già grandi – che hanno già brucato l’erba per intenderci – ripulendone i budelli da materiale digerito per poi riempirli di latte, che con il calore caglierebbe. Per ribadire la scomoda verità del Marchese, la pajata sarebbe dunque m*rda, a causa di questa pratica truffaldina. Alle richieste di chiarimento di Danilone, che solitamente non vede l’ora di “fare scarpetta” nel truce, Giorgione ha chiosato sottolineando che il sapore amarognolo che eventualmente la pajata potrebbe avere, deriverebbe né più né meno dalla merda, appunto. In questa nobile apoteosi di eleganza, noi di MOW siamo partiti in difesa del piatto romanesco appurando i motivi per cui Giorgione l’avrebbe sparata grossa. Dunque, abbiamo interpellato due Chef famosi e un ristoratore tra i più celebri di Roma per farci raccontare la verità in merito alla pajata. È vero o no che, come afferma Giorgione, ci fanno mangiare la merda? Secondo Claudio de “la Villetta dal 1940”, ristorante di cucina romana verace in zona Piramide a Testaccio, il preferito da Francesco Totti che da sempre mangia a quei tavoli, “ciò che racconta Giorgione è un’assurdità. La pajata è l’intestino tenue dell’agnellino da latte o del vitellino – ma esiste anche di maiale – che viene macellato prima che l’animale abbia iniziato appunto a nutrirsi di erba. E nessuno si sognerebbe mai di fare altrimenti”, esclama mentre ci serve una cofana di carbonara finalmente tra le più buone di Roma e una pirofila di pollo ai peperoni “che levete” – altro piatto romanesco tipico estivo e in particolare tradizionale nel giorno di Ferragosto, per i romani. Claudio insiste nel dire che non ci sono santi. “La pajata si mangia di vitello o di agnello da latte e mai più grande, altrimenti davvero ti mangi la m*rda”, sentenzia solenne.
Non paghi, con tre etti di mezzemaniche in corpo, siamo andati dritti a trovare lo chef Alessandro Ferracci del ristorante Contesto Urbano in zona San Giovanni, figlio di Anna Dente - che fu ambasciatrice della cucina romana nel mondo ed esperta di interiora trasformate in prelibatezze - che ha rincarato la dose ribadendo che Giorgione “la dovrebbe finì di dire caz*ate”, e tutte le macellerie de Roma dovrebbero insorgere per tali assurdità, in quanto l’ipotesi che i ristoratori detergano il cosiddetto “digiuno” dell’animale ormai grande, per poi farcirlo di latte, è quanto mai delirante. “Forse un tempo – afferma Alessandro – quando la macellazione avveniva nelle case, chissà, sarà capitato di aver utilizzato vitelli più grandi di età, ma oggi è assolutamente impensabile”. Noi, missionari instancabili, abbiamo fatto una telefonata a Velia De Angelis, indimenticabile chef della trasmissione di successo “Chef per un giorno”, in onda qualche anno fa. La nostra bionda professionista ci ha istruito perfettamente sulla sostanza e anatomia di una vera specialità capitolina come la pagliata – in italiano. Ma insomma questa pajata, come dicono Giorgione e il Marchese del Grillo, è m*rda? “Albertone o altri avranno forse mangiato il budello del bovino adulto dove ci passa il fieno, ma per la vera pajata si utilizzano vitelli da latte ed ecco perché ha un sapore delicatissimo. Ovvio che io la pajata non me la sogno, proprio al pensiero del vitellino. Pulire la pajata e metterci dentro il latte? È follia”, afferma la chef. Poi, le chiediamo di raccontarci in cosa consiste davvero la pajata. “La ricetta tradizionale vuole che l’intestino venga lavato, ma senza essere privato del cosiddetto ‘chilo’, una sorta di latticello bianco al suo interno, che darà forma a una salsa dal sapore acre e forte e alla quale verrà aggiunto il sugo di pomodoro. Questo è derivato dal ‘chimo’, il liquido lattiginoso raccolto dai vasi chiliferi nell’intestino tenue, durante l’assorbimento delle sostanze nutritive da parte del vitello da latte, il quale viene scelto proprio in virtù dell’esclusiva dieta liquida, nelle prime dieci settimane di vita circa. Per essere ancora più chiari, trattasi del latte digerito dal vitello. Non saranno fiori profumati, ma il suo sapore unico rende un semplice piatto di rigatoni al sugo un’esplosione di gusto, che vale la pena assaggiare una volta nella vita. Perciò non è m*rda ma latte che sta fermentando in via di scarto”. Onde per cui, caro Giorgione, ora abbiamo le prove: hai detto proprio una gran ca*zata.