A Roma è arrivata di colpo l'estate piena, i temporali sono ormai un ricordo e di giorno l'afa si fa sentire. A Ponte Marconi il Comune di Roma sta rimontando, come ormai ogni anno, il pallido simulacro della Paris Plage, la spiaggia della Ville Lumière sul lungo Senna, con la sua morbida rena, le palme, i chioschi e tutti i comfort di chi tratta i cittadini comme il faut. Noi, appunto, che non volevamo essere da meno, su quella riva del biondo Tevere - si fa per dire - facemmo i patti con i Rom – assolutamente smentiti all’epoca dalla Sindaca Virginia Raggi - per sgomberare la monnezza e sulle ceneri di ciò che è rimasto del Cinodromo e dintorni abbiamo accroccato Tiberis, l’apoteosi del coatto fatto spiaggia. Così che dal 2018 salutiamo le pantegane che passano da quei pizzi, sotto a un caldo che lèvete, con la pompa per fare la doccetta, alle soglie di viale Marconi. Questo vialone che porta il nome del grande inventore, a grossa densità popolare in alti palazzoni tutti azzeccati vicini vicini, ci dà enormi soddisfazioni in quanto a burinaggine, per quanto ciò non si possa dire perché ai romani non je toccà Roma che te fanno il culo a strisce. Viale Marconi è una strada costeggiata per un tratto da una sorta di suk a cielo aperto di bancarelle e negozi popolari, qualche cornettaro notturno accanto ai cassonetti sderenati ricolmi di rifiuti sotto ai pioppi e altrettanta gioia quando si desideri fare una boccata di ruvido consumismo, che sia da Upim se si è depressi o nei capienti festaioli bar popolari esondanti pastarelle belle cariche. Lo struscio delle zòre – ‘tamarre’ a Milano - si snoda sino a piazzale della Radio, tra un Castroni e un 'Jessica', boutique che veste signorine procaci in tinte fluo, qualche giapponese All you can eat e una Feltrinelli. Quest’anno in soccorso è arrivato il gelataio Giuffrè a farci sognare, girasole tra i papaveri scalcinati di questi sobborghi ormai vecchi che nessuno si sogna di restaurare, quando si vagola sui marciapiedi roventi tra le vie interne delle due enormi ali di condomini popolari con il sole allo zenit e un’arsura modello Valle della Morte.
Questa boutique del gelato è metaforicamente un babà tra i biscotti prodotti dalla sottomarca della Colussi, con i muri verde salvia e i gusti del gelato dedicati ai quartieri di Roma. una gelatiera particolare che fa gelato fresco tutti i giorni e i biscotti di un forno di proprietà. Noi, che siamo i Timbisha di questa nostra casareccia Death Valley, ci siamo fiondati a fare merenda, inutile dirlo, con una coppetta e un cono, accompagnati dai loro biscotti dedicati alla leggendaria pavimentazione romana, tanto amata e talvolta sopportata, i Sampietrini. Questi biscotti che si ispirano ai cari blocchetti di roccia vulcanica tipica dei vicini Castelli Romani, di cui la Capitale è lastricata in centro storico, tradizionalmente inseriti nella sabbia dai "serciaroli" che pavimentavano secoli fa piazza San Pietro, sono buonissimi. Alla vaniglia, al cioccolato e sale marino o solo cioccolato, sono un omaggio vero a questa Città tanto incasinata quanto amata da tutto il globo. Noi ce ne siamo pappati tre insieme al gusto del giorno ‘mascarpone al caffè’, per una coppa zabaione al Malvasia e Trasteverino e un cono Porta Portese, crema e Colli Portuensi.
Tutte le creme sono dense, goduriose, soddisfacenti e coccolose per chi ha bisogno di un pugno e una carezza, per dirla con il Molleggiato, rispettivamente uno allo stomaco perché saziante come un piatto di coda alla vaccinara, e l’altra su una guancia, che ti dica “bello de zia, manco a fa così, però, aripjate!”. I gusti alla frutta sono estivi come una pesca di inizio giugno nel bicchiere con il vino bianco e un po’ di zucchero, bella gelata dopo l’abbacchio, quando pregusti la serata sotto un cielo di stelle al Giardino degli Aranci, dopo l’intera giornata al Pride e alla sua colorata fiumana di gente. Intenti a leccare i nostri mantecati come golden retriever assetati, Giorgia, consorte di Alessandro Giuffè accoglieva gli stranieri in visita capitati in viale Marconi chissà per quale assurdo mistero che mai conosceremo, con queste delizie artigianali appena uscite dalla gelatiera Principessa, sostenibile perché lavora senz’acqua. Alessandro, cosa ha di speciale il tuo gelato? “Le ricette sono della nostra tradizione familiare messinese, dove i miei nonni e il mio papà avevano una gelateria a Patti. Noi, dunque, riprendiamo i valori della nostra tradizione. È un gelato confezionato fresco ogni giorno qui in gelateria, preparato senza semilavorato, tutto fatto da noi. Gli ingredienti sono di qualità, solo latte, uova, zucchero, panna, ai quali aggiungiamo i nostri prodotti da forno. Vogliamo unire i due mondi, quello del gelato e quello della pasticceria da forno e presto inaugureremo la caffetteria per farla incontrare con i nostri fragranti lievitati”.
Il tanto amato gelato fu creato nel 1600 dallo chef italiano originario di Aci Trezza Francesco Procopio Dei Coltelli, personaggio geniale e poliedrico che partì per la Francia per aprire la prima gelateria in quel famoso bistrot grazie al quale i parigini se la tirano “come la camicia di Meo”, l’elegantissimo e raffinato Le Procope. In questo splendido luogo decorato nei toni del nero, gli intellettuali più famosi – Voltaire, Marat, Diderot, Pascal – si riunivano per fare qualcosa di inusitato oggidì, veicolare pensiero. Probabilmente è per questo che il gelato siciliano ha una marcia in più, chissà. Noi fortunatamente di gelato ne abbiamo per farci le abluzioni, e questo di Giuffé ha catturato l’eccellenza in tutti e 4 i voti, cortesia, qualità, gusto e prezzo tranne che per l’ubicazione della location alla quale diamo 3, sebbene il locale sia delizioso. Non possiamo che citare l’ormai indigesta citazione – per quanto sia stata abusata - di Zerocalcare, prossimo all’apertura di una osteria a Garbatella, chiedendovi ahò, “s’annamo a pià er gelato?”