Chi studia il cervello e, in particolare, i ricordi, sostiene da sempre che il meccanismo secondo cui un fatto rimane scolpito nella memoria si basa sulla contestualizzazione. Detta così è complicata, ma per farla semplice si potrebbe rigirare in questa maniera: il vero ricordo non è il fatto stesso, ma l’emozione che quel fatto ci ha provocato fino a permetterci di ricordare esattamente dove eravamo, cosa stavamo facendo, quasi annientando l’effetto del tempo e rendendo tutto molto più vicino di quanto non lo sia davvero. Ecco perché il 5 agosto per gli appassionati di corse in moto, non solo quelli italiani, è uno di quei giorni che fanno suonare sempre una piccola sveglia in testa: esattamente quattro anni fa, Valentino Rossi ha annunciato il ritiro dalla MotoGP. Era appena iniziato il week end del GP d’Austria al Red Bull e già dal mattino, come sempre avviene per le questioni solenni, c’era stato l’annuncio dell’annuncio: nel pomeriggio Valentino Rossi terrà una conferenza stampa. Poche parole più che sufficienti a far capire a chiunque quale sarebbe stato il contenuto di quella conferenza stampa e pure più che sufficienti a entrare nel mood di chi si trova a ripercorrere una vita, soprattutto per chi di Valentino Rossi è praticamente coetaneo e con la carriera di Valentino Rossi s’è ritrovato, proprio per quell’effetto strano innescato dai ricordi, a scandire le fasi della propria vita.

Chi dice che non ricorda cosa stesse facendo e dove in quel 5 agosto di quattro anni fa è bugiardo, oppure non è mai stato appassionato davvero di corse in moto. Perché quella notizia, paradossalmente, ha emozionato tutti, sia chi ha amato Vale, sia quelli che, invece, lo hanno visto sempre come qualcuno a cui dare addosso. Per i primi stava dicendo “basta” l’idolo di una vita, per gli altri stava dicendo “basta” il bersaglio di tutta una vita (qui il video dell'annuncio). Chi firma questo pezzo, ad esempio, quel giorno era in Romagna, in giro tra il mare di Cattolica e le colline sopra Misano, aspettando una festa tra amici che si sarebbe svolta dal tardo pomeriggio. Insomma: compagnia speciale, spirito rilassato e odore di spensieratezza già nelle narici. Salvo, poi, ritrovarsi un messaggino nel telefono: hanno appena annunciato che Vale nel pomeriggio terrà una conferenza stampa. Boom: lacrimoni. Sì, ammessi senza vergogna. Non per un eccesso di tifo o quelle robe lì da ragazzini ogni volta che ci vanno di mezzo i loro idoli. Ma consapevolezza e, sia maledetto quel 5 agosto, anche tanta introspezione, con un articoletto brevissimo scritto al volo proprio da quello stesso smartphone senza voler nemmeno aspettare il tempo di andare a avviare il PC fermandosi in qualche bar: solo grazie Vale.

Valentino Rossi che diceva basta, arrendendosi al tempo, stava di fatto dicendo a chi ha più o meno i suoi stessi anni che adulto ci diventa anche chi non vorrebbe mai diventarci, mentre il tempo per “diventare grande”, in senso più ampio e metaforico, è già andato. Valentino Rossi stava diventando adulto dopo essere già da un pezzo diventato grande. L’unità di misura della vecchiaia di una generazione, insomma, con tutte le riflessioni che ognuno finiva poi per farci sopra. Sì, quel giorno di 4 anni fa nella sala stampa del RedBull Ring non è niente di più e niente di meno di quando, entrando in maniera spensierata dentro un ascensore, vanno gli occhi sullo specchio e ci si accorge di avere un sacco di capelli bianchi. Quelle robe paragonabili a una bastonata che tutto sommato ci si aspettava pure, ma che ha fatto un gran male lo stesso.
Solo che, come abbiamo già scritto tempo fa, è stato lo stesso Valentino Rossi a spiegare ancora una volta che chi non sogna diventa come tutti e quei capelli bianchi, lui come magari tanti di quelli che quel giorno hanno sentito tutta la botta della bastonata, non s’è limitato a digerirli accettandoli, ma ha rilanciato metabolizzandoli e trasformarli in energia, andando a correre, rimettersi in gioco e vincere con le auto, ma scoprendo pure che “pilota” non è la definizione più bella del mondo. Perché nel frattempo è arrivato pure chi ti chiama “papà”. Come un dopo che arriva lo stesso, per Vale e per tutti, e che può essere pure più speciale di un prima da leggenda.
