Adriano Panatta allenatore di Jannik Sinner? Per lui è una barzelletta. Per noi, un sogno proibito. Uno di quelli che si raccontano tra amici con la consapevolezza che non succederà mai, ma che se accadesse, cambierebbe tutto. E invece no: “Per carità, non è la vita che fa per me”, ha detto l’ex fuoriclasse, oggi voce (e volto) inconfondibile del tennis italiano. Ospite da Geppi Cucciari a Un giorno da pecora, Panatta ha ribadito il suo no senza tentennamenti. “Vivere 300 giorni all’anno con le stesse persone? No grazie. A parlare sempre di tennis mi annoierei dopo cinque minuti”. E ancora: “Già facevo fatica a fare il tennista, figurati il coach”. Sinner, insomma, non potrà contare sull’ironia romana e la genialità anarchica del suo predecessore più iconico. Almeno non in panchina. Ma la suggestione resta. Perché in fondo lo sappiamo tutti: nel tennis italiano di oggi non esistono due figure più competenti, acute e profondamente dentro le dinamiche di questo sport di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci. Non si tratta solo di nostalgia o affetto generazionale. Si tratta di una competenza vera, coltivata negli anni, che fa di loro una sorta di oracolo bifronte: due osservatori maniacali, capaci di cogliere il dettaglio nel challenger di quartiere come nella finale di uno Slam.

Che sia con la penna o con la voce, Panatta e Bertolucci sono la combo perfetta. Un’esplosione di ironia, intelligenza, leggerezza apparente e serietà concreta. Il tennis, per loro, è uno stato mentale: sanno quando sdrammatizzare con un sopracciglio alzato e quando, invece, farti precipitare nella profondità tecnica di uno scambio. Ecco perché sogniamo quel dream team con loro due al fianco di Jannik. Perché Panatta senza Bertolucci non è la stessa cosa. E viceversa. Sono i fratelli d’Italia della racchetta, l’uno il contrappunto comico dell'altro, l’altro la base ritmica su cui l’ex numero 4 del mondo può inventare gag e verità. Non ci sarà, almeno per ora. Ma il Panatta-pensiero è sempre un’esperienza. Anche quando la prende larga: “Il coach è un mestiere da monaco. Vivi con il giocatore, il suo team, magari pure il parrucchiere. Sinner ce l’ha il parrucchiere? Non lo so, può darsi”.

Poi la simpatica stoccata verso Bertolucci e la frecciatina a Nicola Pietrangeli: “Ha detto che volevo salutare il Principe a Montecarlo e sono stato rimbalzato dalle sue guardie del corpo? La verità è che lui è geloso ed invidioso del fatto che io sono nel royal box, che sono amico del Principe, che gli posso dare del tu e che mi chiedono più selfie di lui. Al box del Principe, comunque, ci va solo Pietrangeli... Se è vero che la prima sera nel Principato sono andato a cena con Bertolucci? Sì, ma solo perché altrimenti il posto al ristorante non glielo davano. C'era bisogno del mio nome per farci entrare. Siamo andati da Cipriani a mangiare il carpaccio con una salsina rosa”. Intanto, mentre Sinner si prepara al ritorno agli Internazionali di Roma e la ricerca del nuovo supercoach prosegue (perché Cahill a fine stagione saluterà) la fantasia galoppa. E se davvero servisse uno shock creativo, un cambio di passo, chi meglio di Adriano e Paolo? Una panchina d’autore, un pensatoio ambulante capace di leggere il gioco in modo inimitabile. Panatta forse si annoierebbe a stare lì tutti i giorni, ma se bastassero poche parole ben piazzate per fare la differenza… chissà che non cambi idea. Jannik, pensaci: tra un dritto e una volée, potresti trovarti con due leggende al tuo angolo. E un mondo di tennis, quello vero, ancora tutto da raccontare.