Dicono che Gigi Dall’Igna sia un genio. Qualcuno lo dice come se la Ducati che ha preso in ostaggio la MotoGP negli ultimi due anni l’avesse costruita lui con le sue mani nel garage di Steve Jobs. Qualcuno, invece, con la stessa energia di chi ti spiega che “Non è il caldo, è l’umidità”, ci tiene a specificare che Dall’Igna è un genio perché sa gestire le persone. Probabilmente lui, 57 anni, è geniale in entrambe le cose, sul piano tecnico e su quello umano ma uno così brillante lo puoi misurare su tutto. Su alcune delle sue passioni, per esempio: un buon sigaro dopo la vittoria, un calice di rosso quando si può - lo scorso anno, a nostra domanda precisa, aveva paragonato la Desmosedici a un Amarone - e la barca a vela quando c’è il tempo di farlo. Ecco, Gigi Dall’Igna ti offre un gran numero di spunti per cogliere la sua intelligenza. Quando gli chiediamo conto di questa sua poliedricità lui risponde con un sorriso: “Mi piace vivere”. A Gigi abbiamo fatto diverse domande per avere una sola risposta: come è stato costruito il successo della Ducati. Abbiamo capito che per l’ingegnere numero uno della MotoGP la componente umana è più importante di quella tecnica e che un pilota giovane può cambiare le cose, ma anche che tutto questo ha un prezzo.
Senti Gigi, per uno che ha cominciato facendo il motorista appassionarsi alla vela è quasi ironico, no?
“(Ride). Ho sempre avuto una passione incredibile per le barche a vela perché secondo me hanno un’eleganza clamorosa, non ho mai avuto il tempo per approfondire questa passione ma negli ultimi anni mi sono avvicinato di più e mi diverte veramente tantissimo”.
Ora che Ducati non fa altro che vincere titoli hai più tempo da dedicarci?
“No, il tempo resta sempre quello. Però ho deciso di dedicare il poco tempo libero che ho anche a questo aspetto. Se devo dirla tutta, prima o poi mi piacerebbe fare il giro del Mediterraneo con la barca a vela. Mi accontenterei di farlo un po’ alla volta, qualche settimana all’anno”.
Della gestione Dall’Igna sono molte cose a lasciare impressionati. Una, sicuramente, è la gestione dei piloti.
“Io onestamente ho sempre avuto un buon rapporto con i piloti. Ci sono pochissimi casi in cui alla fine abbiamo avuto problemi, si contano veramente in pochissimi casi. Mi rendo conto che l’aspetto tecnico è solo uno degli assetti che servono a vincere e forse non è nemmeno il più importante. La testa delle presone è sempre la cosa più importante”.
Negli ultimi due anni Pecco Bagnaia ha vinto partendo da situazioni difficilissime. Quanto è stato merito della squadra?
“Ma, secondo me quello che ha fatto è merito suo, bisogna sempre dare il giusto significato alle cose. Sicuramente è vero che ha una squadra che l’ha supportato tante volte durante la stagione, però alla fine quello della moto è uno sport individuale”.
A proposito: Ducati schiera otto moto e Marc Márquez ha lasciato la Honda pur di avere una Desmosedici dell’anno scorso. Da ingegnere quanto ti inorgoglisce questa cosa?
“Ah, io sono veramente orgoglioso che un pilota così importante come Marc abbia fatto questa scelta”.
Sei curioso di vederlo in gara?
“Credo che lo siamo tutti, ripeto: è uno dei piloti più importanti della storia del motomondiale”.
C’è anche un altro lato della medaglia: se dovesse andare molto forte, esattamente come Jorge Martín lo scorso anno, potrebbe anche passare in rosso…
“In questo momento qua è presto per parlarne, sono ragionamenti assolutamente prematuri”.
D’accordo. Scherzando con Gino Borsoi, invece, abbiamo detto che dare le concessioni ai giapponesi per Dorna è un po’ come fare un condono. Come hai vissuto questa decisione?
Gigi sorride. “Secondo me dare le concessioni a chi è in difficoltà ha una logica, nella storia del motomondiale non sarebbe la prima volta. Se i costruttori sono ragionevolmente competitivi tutti quanti sono più contenti, lo spettacolo è più bello, si attraggono più tifosi. E se lo spettacolo è più bello alla fine i vantaggi sono per tutti. Penso sia opportuno dare una mano a chi è in difficoltà”.
Hanno esagerato?
“No, secondo me quello che non era corretto era dare un aiuto a chi invece non ne aveva bisogno, come KTM e Aprilia”.
In questi anni Ducati ha portato in giro tante persone: Francesco Guidotti, Fabiano Sterlacchini, Alberto Giribuola, ora Max Bartolini… e tanti altri. Ne perdete molti, vengono sempre a prenderli da voi. Immagino che ci sia della soddisfazione, ma anche del fastidio. È così?
“È vero che vengono sempre a prenderli da noi, quindi è un qualcosa che ci inorgoglisce comunque, perché vuol dire - come hai detto tu - che facciamo scuola. D’altro canto è sempre un problema in più, quando queste persone se ne vanno portano via tanto know how e a noi rimane il problema di rimpiazzare la persona, che non è mai semplice. È molto fastidioso, ma credo che sia inevitabile”.
Tecnicamente è giusto aspettarsi una Desmosedici GP24 decisamente migliore rispetto alla 2023?
“Lo step che abbiamo fatto quest’anno è sicuramente superiore rispetto a quello che facciamo normalmente tra un anno e un altro. Ma le cose andranno riconfermate in pista, vedremo cosa succederà”.
Michele Pirro ci ha raccontato che dopo Jorge Lorenzo - con i soldi che è costato e lo sviluppo che ha portato - le cose siano cambiate per sempre in Ducati: meno superstar nel team, maggiori investimenti nello sviluppo e piloti giovani. È stato un punto di svolta?
“Onestamente le spese che abbiamo messo sulla moto sono sempre state le stesse. Non è perché abbiamo ridotto l’ingaggio con un pilota importante abbiamo messo più soldi sullo sviluppo della moto. È sicuramente vero che a un certo punto abbiamo deciso di cambiare strategia, non puntando più su piloti importanti ma provando a puntare sui giovani. È stata una strategia sicuramente vincente perché ha fatto crescere sulla nostra moto tantissimi piloti, da Martín a Pecco, Bezzecchi, Di Giannantonio… è qualcosa che ci ha fatto veramente piacere”.