Come al solito, impossibile restare indifferenti davanti a Panatta e Bertolucci. Nell’ultima puntata del podcast “La telefonata”, i due leggendari ex azzurri mettono al centro sì la finale del Masters 1000 di Montecarlo, ma soprattutto un tema che brucia sotto la superficie del tennis contemporaneo: gli infortuni, sempre più frequenti, sempre meno casuali. Il pretesto? Il problema muscolare che ha colpito Lorenzo Musetti proprio nel giorno più importante della sua carriera. Il toscano, travolto da Carlos Alcaraz nel secondo e terzo set, ha chiarito le sue condizioni: “Salterò Barcellona. Prenderò del tempo per riposare e per essere pronto per Madrid. A livello muscolare sembrerebbe tutto ok, penso che con un po’ di riposo potrò ritornare alla grande”. Una scelta che, per una volta, mette d’accordo entrambi i protagonisti del podcast. Panatta parte dal match: “Ha giocato molto bene il primo set, l’altro l’ha aiutato come spesso gli capita. Poi nel secondo Alcaraz ha giocato molto bene, ha messo la quinta”.

Bertolucci conferma: “A quella velocità non si può seguire”. Panatta va oltre: “Quando gioca in quel modo, nessuno al mondo può reggere. Sinner è l’unico che può tenere lo scambio, ma Carlos a volte ha delle soluzioni pazzesche”. E Bertolucci lo rincorre: “C'è gente che non riesce nemmeno a immaginarle certe cose, mentre lui le realizza. Però mi è piaciuta la versione di Musetti: più consapevole, meno timido, più solido. Prima sprecava un sacco di energia a lamentarsi”. Poi il punto si sposta sulla fragilità fisica dei nuovi campioni. Panatta lo dice con chiarezza, ironizzando pure sulle nostalgie dei “tempi andati” che spesso vengono tirato in ballo proprio da Nicola Pierangeli: “Ho posto la questione in tv: questi ragazzi si fanno male troppo spesso, si affaticano in continuazione. Qualcuno della nostra generazione, o anche più vecchio, direbbe che ai nostri tempi non succedeva. Ma oggi sono molto più preparati. Il problema è che il tennis moderno è violento: nei colpi, negli scambi. Noi giocavamo anche di più, ma non ci facevamo male. Loro sì”.

Bertolucci allarga il quadro: “Secondo me sono entrambe le cose. Il calendario di Alcaraz fa paura: Montecarlo, Barcellona, Madrid, Roma, Parigi, poi Wimbledon. Una roba allucinante”. E la risposta arriva secca: “Chi lo programma non è intelligente”, dice Panatta. Il concetto è sempre lo stesso: saper scegliere. E non tutti ne sono capaci. Bertolucci: “Federer ha insegnato a tutti la programmazione. E anche Sinner sa quando è il momento di rinunciare. Non è un caso che sia in vetta. Se non l’avesse fatto, si sarebbe rotto. Musetti, dopo tre partite toste, ha avuto un risentimento: per certi versi è una fortuna. Così non gioca a Barcellona, si riposa e a Madrid ci arriva bene”. Il punto, però, resta: secondo Panatta, anche se Musetti fosse arrivato integro alla finale, avrebbe dovuto comunque dire no al torneo successivo. “E se avesse deciso di andarci, avrebbe sbagliato”. Bertolucci prova a mediare: “Devono imparare a programmare. Quando sei giovane è difficile”. Ma Panatta non si sposta: “Quando hai già giocato i Masters 1000, gli Slam, la Davis, a un certo punto ti devi fermare. Altrimenti ti fai male. Anche perché le metodologie di recupero oggi sono affrettate: torni in campo troppo presto, e appena rientri giochi sopra il dolore”. Nel tennis di oggi, il problema non è solo la fatica. È la gestione. E se nessuno insegna a farlo per tempo, sarà il corpo a dettare le pause.