Il destino di Jannik Sinner resta sospeso tra il campo e i tribunali. Il numero uno al mondo, fresco vincitore degli Australian Open, attende il verdetto del Tas di Losanna sull’appello presentato dalla Wada contro l’assoluzione dell’Itia. Il nodo della questione? Il Clostebol e la decisione iniziale che ha scagionato l’altoatesino da qualsiasi colpa. Ma per l’Agenzia mondiale antidoping, quella sentenza non è accettabile. Lo ribadisce chiaramente James Fitzgerald, portavoce della Wada, che in un’intervista a La Stampa ha confermato la posizione dell’agenzia: “La Wada ritiene che la conclusione di ‘nessuna colpa o negligenza’ non fosse corretta secondo le norme correnti, e chiede un periodo di sospensione compreso tra uno e due anni”. Il caso è ora nelle mani del Tribunale Arbitrale dello Sport, e fino alla sentenza finale, nessun ulteriore commento sarà rilasciato. Fitzgerald ha affrontato anche il tema della complessità delle norme antidoping, sottolineando che il sistema è in continua evoluzione: “Negli ultimi 20 anni, il Codice mondiale antidoping ha protetto lo sport pulito in tutti i paesi. È stato rivisto tre volte e un’altra revisione dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno”.
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Il dibattito sui livelli di tolleranza per le sostanze a basso dosaggio, come nel caso Sinner, resta aperto: “La questione della possibile contaminazione è reale e la Wada se ne sta occupando. Nel corso degli anni, i limiti minimi di segnalazione per varie sostanze sono stati adeguati per garantire equità agli atleti che ingeriscono involontariamente una sostanza proibita, e insieme protezione da chi vorrebbe imbrogliare”. Una revisione del Codice mondiale antidoping è già in corso, ma Fitzgerald frena sugli entusiasmi di chi si aspetta modifiche imminenti: “Non è possibile dire quali norme, se ce ne sono, potrebbero essere modificate”. Un altro punto cruciale toccato dalla Wada riguarda l’uso di sostanze a basso dosaggio per mascherare l’assunzione di doping. “Alcune sostanze possono essere assunte con questo scopo. La classe degli agenti mascheranti include principalmente diuretici, probenecid, espansori del plasma e altre sostanze chimicamente simili che modificano l’escrezione urinaria o nascondono la presenza di agenti dopanti”. La Wada difende anche il principio della responsabilità oggettiva degli atleti: “Senza questo principio, non ci sarebbe alcun antidoping e i dopati vincerebbero. Se un atleta positivo a una sostanza proibita non dovesse spiegare da dove proviene o come è entrata nel suo organismo, sarebbe troppo facile per chi ha imbrogliato sfuggire a sanzioni”.
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La battaglia per uno sport pulito, secondo Fitzgerald, non si ferma mai: “Il programma antidoping diventa ogni anno più solido ed efficace. Tuttavia, non possiamo adagiarci sugli allori e dobbiamo sempre stare in guardia”. E per farlo, la Wada punta su nuove tecnologie e collaborazioni: “Dobbiamo continuare a sviluppare nuovi metodi di test, espandere il programma di ricerca scientifica, investire in migliori informazioni e indagini, sviluppare il passaporto biologico dell’atleta e saperne di più sull'intelligenza artificiale e su come sfruttarla per il bene dello sport pulito”. Il caso Sinner, dunque, non è solo una vicenda isolata, ma potrebbe diventare un precedente chiave nella gestione dei casi di contaminazione involontaria. Il Tas di Losanna si esprimerà tra il 16 e il 17 aprile. Se la Wada dovesse vincere il ricorso, Jannik rischierebbe una sospensione che lo terrebbe lontano dai campi per un periodo compreso tra uno e due anni. Una decisione che potrebbe stravolgere non solo la sua carriera, ma l’intero panorama del tennis mondiale.
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