Il 16 e 17 aprile Jannik Sinner si presenterà davanti al Tas di Losanna per difendersi dall’appello presentato dalla Wada, che chiede una squalifica da uno a due anni per il tennista altoatesino nel caso del doping Clostebol. L’udienza non è solo un passaggio cruciale non per la carriera di Sinner, ma anche per il sistema antidoping internazionale, che in passato ha visto la Wada imporsi in quasi tutti i ricorsi presentati al Tas. Negli ultimi cinque anni, infatti, la Wada ha vinto 9 dei 10 ricorsi presentati al Tas contro federazioni nazionali e internazionali colpevoli, secondo l’agenzia, di aver inflitto sanzioni troppo leggere agli atleti trovati positivi ai test antidoping. La sua strategia è chiara, ma la difesa di Sinner può contare su un elemento chiave: la sentenza di primo grado del tribunale internazionale del tennis ha basi giuridiche solide, a differenza di altri casi in cui le sanzioni iniziali erano state giudicate “fragili”. Quali i precedenti in cui la Wada ha avuto la meglio? Nel 2019 riuscì a ribaltare l’assoluzione del maratoneta rumeno Sorin Mineran, imponendogli quattro anni di squalifica. Nel 2021 ottenne lo stesso risultato contro la federazione di canottaggio internazionale (Icf), facendo squalificare per quattro anni l’atleta Aleksandra Dupik, coinvolta nello scandalo del laboratorio antidoping di Mosca. Non mancano casi ancora più clamorosi, come quello del ciclista portoghese Daniel Eduardo Moreira Silva: la sua federazione lo aveva assolto per irregolarità nel passaporto biologico, sostenendo che i suoi diritti alla difesa erano stati violati.
Il Tas, su pressione della Wada, ribaltò il verdetto e lo squalificò per otto anni. Tra i nomi più noti, c’è anche il nuotatore cinese Sun Yang, che nel 2019 distrusse le provette di un controllo antidoping e minacciò il personale incaricato. La federazione internazionale di nuoto (Fina) lo assolse per presunti vizi procedurali, ma il Tas, su ricorso della Wada, lo squalificò per quattro anni e tre mesi. Anche la carriera del pilota Andrea Iannone era stata bruscamente interrotta il 17 dicembre 2019. La Wada, infatti, lo aveva condannato a quattro anni di squalifica dopo aver rilevato un nanogrammo di drostanolone nelle sue urine. Una quantità minima di steroide anabolizzante, che per molti esperti non rappresentava un caso classico di doping quanto, piuttosto, solo il risultato di una contaminazione alimentare. L’unico caso in cui la Wada ha perso è quello della nuotatrice australiana Shayna Jack. Positiva al Ligandrol, aveva ottenuto una riduzione della pena da quattro a due anni dalla federazione australiana. La Wada chiese il massimo della squalifica, ma il Tas respinse il ricorso, sottolineando che non c’erano prove sufficienti per dimostrare un’assunzione volontaria della sostanza. Questa è una sentenza che potrebbe diventare un precedente importante per la difesa di Sinner.
Nel caso di Jannik, infatti, ci sono elementi che potrebbero ribaltare la supremazia della Wada: la sentenza di primo grado è solida, a differenza di molti altri casi in cui la Wada ha contestato decisioni fragili. In secondo luogo, il Clostebol è noto per essere una sostanza facilmente trasmissibile per contatto, e la contaminazione accidentale è una spiegazione più che plausibile visti i dettagli forniti in merito e vista la quantità infinitesimale di sostanza trovata nel corpo del tennista. Il caso Jack dimostra poi che il Tas può respingere la linea dura della Wada quando non ci sono prove certe di dolo. Insomma, una partita che si gioca quasi interamente sul concetto di “negligenza” e sul fatto che la Wada abbia deciso di cambiare il regolamento antidoping. Un regolamento che entrerà in vigore formalmente a partire dal 2027, per cui l’azzurro verrà giudicato con il regolamento odierno.