Nel 1993 uscì un film argentino molto bello, diretto da Maria Luisa Bemberg: De eso no se habla, “Di questo non si parla”. Ecco, è quello che accade in Italia, particolarmente esposta alla caduta radioattiva del politically correct, dove di questo non si può parlare, in cui “questo” è una variabile semantico-totemica che di volta in volta può assumere diversi valori. Quello che ci interessa oggi sono gli stupri di Hamas, di cui le femministe nostrane tacciono colpevolmente, nonostante un rapporto Onu di pochi giorni fa, che li documenta con precisione e senza la collaborazione di Israele, che inizialmente non credeva all’obiettività dell’iniziativa. Venerdì scorso, 8 marzo, Festa delle Donne, sono avvenuti diversi episodi che dimostrano come questo sia ormai diventato un argomento tabù, uno dei tanti di cui, purtroppo, non si può assolutamente parlare, a dispetto della giustizia e della logica. Incominciamo dai cortei femministi. Più precisamente il fattaccio è avvenuto durante un corteo organizzato a Firenze da “Non una di meno”: una ragazza di nome Sara (nome vero e non di fantasia), peraltro di sinistra, è stata scacciata malamente dal corteo a cui voleva partecipare. Alla Nazione, Sara ha dichiarato in una intervista: “Le femministe di ‘Non una di meno’ strumentalizzano le piazze femministe per fare propaganda antisionista. Anche nella locandina di questa manifestazione c'era una bandiera palestinese e io sono venuta qui per denunciare il silenzio loro e di tante organizzazioni femministe sugli stupri di Hamas. Non tollero che una piazza femminista venga trasformata in una piazza antisionista, di odio e di assenza totale di libertà di espressione e la mia cacciata è una chiara dimostrazione”.
Sul Corriere della Sera, edizione fiorentina, si legge quanto urla una manifestante a Sara: “Sei venuta qui a fare una provocazione, stai strumentalizzando, vai via, oppure togliti questo cartello”. Il cartello, per la cronaca, diceva: “Non una parola sugli stupri di Hamas… le donne israeliane se la sono cercata?”. E poi il giornale riesce a raggiungere anche una delle organizzatrici, tal “Angela”, che così spiega la cosa: “Siamo qui per manifestare contro la violenza su tutte le donne, in piazza ci sono anche le femministe di Gaza, purtroppo ci sono persone che strumentalizzano gli stupri di Hamas per supportare Israele. Ci sono oggi tante realtà del territorio che si sono organizzate attraverso una serie di assemblee a cui questa ragazza non ha partecipato. Abbiamo scelto di mandarla via anche a sua tutela”. Risposta agghiacciante. Cosa c’entra la “strumentalizzazione di Israele?”. Il fatto è che sono stati commessi degli stupri di massa. Punto. Sara è quindi accusata, come nel ’68, di non aver partecipato alle precedenti assemblee, diciamo “eliminatorie” e quindi di non poter partecipare, in termini calcistici, alla “finale”. Altro che partito leninista, qui c’è un mostro simil sovietico che decide chi può partecipare e chi no, e se sei una donna ebrea non puoi esserci perché a priori sei appunto “ebrea” e non hai gli stessi diritti delle donne palestinesi. Questo accade quando il veleno dell’ideologia avvelena la logica e il buon senso.
Marco Carrai, console onorario di Israele a Firenze, si esprime così sulla questione: “Tutti i giorni a Firenze abbiamo una novità negativa. Oggi tocca a Sara, una ragazza che peraltro contesta il governo democraticamente eletto in Israele e a cui è stato chiesto di allontanarsi dalla manifestazione in piazza SS. Annunziata contro la violenza sulle donne, solo per il fatto che indossava un cartello che ricordava gli stupri di Hamas avvenuti il 7 ottobre”. Stessa solfa per il giornalista ebreo David Parenzo imprigionato in un’aula de La Sapienza, a Roma, dove si trovava per un evento pubblico: “Ricambio generazionale, pronto, partenza, via”. “Sei un razzista, un fascista!”, gli urla una scalmanata. E poi si fa sotto un’altra che l’aggredisce verbalmente: “Lei vuole utilizzare la questione femminile, strumentalizzandola per giustificare il genocidio in Palestina…”. Parenzo allora cerca di replicare: “Guardate che a Gaza non ci sono i movimenti a favore delle donne... E i gay vengono messi in carcere, nella migliore delle ipotesi. Venite qui, salite sul palco, confrontiamoci. Io sono sempre per il dialogo”. Per fortuna qualche voce discordante c’è. Piero Fassino, deputato Pd, scrive su X: “Solidarietà a David Parenzo a cui oggi alla Sapienza è stato contestato il diritto di parlare perché ebreo. E solidarietà a Sara, una giovane di Firenze a cacciata da una manifestazione dell’8 marzo perché ricordava che non si può celebrare la Festa della Donna, ignorando il martirio a cui donne ebree sono state sottoposte il 7 ottobre da Hamas. Atti di intolleranza tanto più inaccettabili perché messi in atto da chi rivendica per sé il diritto di esprimere qualsiasi critica”.
Poi c’è il caso di Gino Cecchettin e del suo libro su Giulia, appena uscito. È stato due volte dal mieloso Fazio. La prima volta che venne in studio, Cecchettin nulla disse sul caso dei famosi post scurrili e sessisti partiti da un profilo con il suo nome e la sua foto. Sarebbe bastato smentire, ma Fazio si è guardato bene dal fare la domanda. MOW glielo ha chiesto addirittura pubblicamente. Nessuna risposta. La seconda volta è venuto a reclamizzare il libro, ma mai una sola parola sugli stupri e le violenze di Hamas sulle donne israeliane. Forse che le donne ebree non sono donne? Forse che il loro dolore e la loro vergogna non sono degne di essere annoverate per motivi politici tra gli stupri? Ci sono stupri di seria A e di serie B? Allora ci riproviamo, perché fare giornalismo è fare domande scomode, non banali. Caro Gino Cecchettin: che ne pensa degli stupri di Hamas? Non pensa che il patriarcato sia nei Paesi arabi e non in Occidente e nello specifico in Italia? Che ne pensa del velo o del burqa a cui sono costrette le donne arabe ad essere sottomesse? Cosa ne pensa della vergogna mondiale delle mutilazioni dei genitali femminili che avvengono nei Paesi arabi? Ed infine, che ne pensa dell’esclusione della ragazza a Firenze? Se risponderà a queste domande, ma ne dubitiamo, il suo libro sarà un’occasione di fare realmente qualcosa per la situazione delle donne, tutte.