Chora Media pubblica una puntata straordinaria del podcast Stories, lo stesso dove partecipava Cecilia Sala prima della sua detenzione in Iran. Episodio 693: “Ciao, sono tornata”. Nemmeno il tempo di scendere dall'aereo che già è in onda? Nah, impossibile. Anche se titolo e puntata del podcast lo lascerebbero presagire: è la nuova frontiera del clickbait, che ora ha invaso anche i podcast. “Ciao, sono tornata”. Le prime parole di Cecilia Sala. “E adesso sei qui, finalmente”, risponde la voce calda di Mario Calabresi, direttore di Chora Media. “Sì”, gli fa eco la giornalista liberata, con la voce rotta dall'emozione. Fine, o quasi. Ventinove secondi di puntata effettiva, su cinque di registrato. Il contesto è questo: vai in Iran a realizzare contenuti tutto sommato rischiosi per il podcast, le guardie della repubblica islamica ti sbattono dentro senza nemmeno un cantante neomelodico che ti dedichi una canzone, esci dopo pochissimo rientrando in Italia con un volo dei servizi segreti che nemmeno in una puntata della Casa di carta e a Ciampino ti vengono a prendere il fidanzato Andrea Raineri, mamma e il tuo capo che deve acchiappare l'esclusiva delle prime parole per costruirci sopra una puntata da buttare fuori subito, anche se viene fuori da cinque minuti. ll resto infatti è un riempitivo: Calabresi dice di essere a Ciampino, con tanto di rumore di aereo in decollo, c'è un intervento della mamma di Cecilia Sala che spiega di aver ricevuto prima la telefonata di Giorgia Meloni che le annunciava la liberazione, poi quella della figlia, “mamma, sto bene, sto tornando”. Qui una notizia c'è: il Governo rovina le sorprese. E forse c'è anche una conferma: non importa se, lavorando, te la sei vista brutta e hai rischiato di marcire nelle prigioni di uno stato mediorientale, la prima cosa che devi fare al rientro in Italia è una, e una soltanto: lavorare, lavorare, lavorare.
Scelte editoriali e ossequi al direttore, ok, ma c'era bisogno di fare una puntata, ricordiamolo, da cinque minuti sigla compresa per miseri 28 secondi di annuncio? Non bastava un post sui social con l'audio? Non sarebbe stato meglio aspettare di avere Cecilia Sala in cuffia e fare una puntata completa su tutta la detenzione? Ovvio, arriverà, e farà anche il botto di ascolti. Tutto fa hype, e un podcast di 300 secondi a cos'altro potrà servire? Se già il podcast in sé è una moda fastidiosa e tutta incentrata sulla chiacchiera a sfinimento, qui siamo al punto zero. L'equivalente di Tafazzi per la comicità, per citare Giacomino Poretti. Una trasmissione che non va oltre il titolo, un titolo che va oltre il contenuto. “Cecilia Sala è stata liberata ed è tornata in Italia. In questa puntata vi raccontiamo la giornata della sua scarcerazione” recitano le info, quasi più lunghe della puntata. Il racconto di una giornata, peraltro così importante, ridotto a cinque minuti, siamo ripetitivi, sigla compresa. Potenza del marketing.
Fortunatamente, un episodio del genere ha la beata funzione di mettere a nudo il vizio sostanziale dei podcast tutti, quello di essere il rumore di fondo più ronzante e stracciapalle della nostra epoca. Tutti fanno podcast. Podcast a teatro, podcast al cinema, podcast in televisione. La maggior parte sono chiacchiere travestite da cultura o da intrattenimento, condotte da showmen improvvisati con un microfono economico e tanta autostima. Politica, gossip, true crime, cucina: tutto lo scibile umano è oggetto di podcast, e Chora Media è attualmente ne ha una corte da far impallidire un mecenate rinascimentale. Tutti i grossi nomi dello spettacolo hanno il loro podcast nel catalogo Chora. Peccato dover ricorrere a giochetti come quello del podcast da cinque minuti, a peggior ragione se implica il fatto di andare a rompere le tasche a una tua dipendente appena sbarcata a Roma dopo essere stata rilasciata dal carcere di Evin.