C’è una linea sottile, a volte impercettibile, tra informare e spettacolarizzare. E oggi, nel modo in cui raccontiamo la cronaca nera, sembra che quella linea sia stata non solo superata, ma ignorata del tutto. I casi giudiziari diventano soap, gli assassini oggetti di morbosità, le vittime icone pop da talk show. In prima serata ci si emoziona davanti a una ricostruzione, si applaude un testimone, si aspetta il colpo di scena come in una serie Netflix. Ma cosa dice tutto questo su di noi, sul nostro modo di guardare il dolore, il sangue, la morte? Questa intervista al noto giornalista fiorentino, espero di cronaca nera Matteo Calì è un viaggio dentro il nostro voyeurismo collettivo. Dentro la narrazione distorta del true crime all’italiana. Dall’esplosione del caso Cecchettin all’inquietante riabilitazione di Alberto Stasi, dai buchi dell’inchiesta su Liliana Resinovich al circo mediatico intorno al delitto Paganelli. Con una domanda che fa da cornice a tutto: quando abbiamo smesso di interessarci alla realtà, e abbiamo iniziato a trattarla come se fosse uno show?

Ora tutti i giornali affrontano la cronaca nera in modo molto più morboso rispetto al passato. Che cos'è cambiato?
La cronaca nera è lo spettacolo più crudo della realtà, non ci sono filtri, non ci sono sceneggiature. Certe volte i protagonisti delle storie rendono il caso ancora più affascinante, per guardarci allo specchio. Anche se non sempre ci piace quello che vediamo, però la cronaca nera fondamentalmente piace perché parla del lato oscuro della normalità. Ci mette davanti l'idea che l'orrore è il caso di cronaca, che il male non è così lontano.
Ci si immedesima?
Pensiamo che possa essere in famiglia, nella normalità, e allora quella forse è quella morbosità per cui vogliamo sapere tutto, per capire, per difenderci, per illuderci che magari conoscendo il male lo possiamo anche evitare. E poi c'è una verità che fa male in questo contesto, secondo me, ovvero che il crime funziona perché è fatto di storie vere. Sono storie dolorose, imperfette, storie sporche. Non ci sono eroi, non ci sono sostanzialmente dei finali rassicuranti, ci sono persone che sbagliano, che fanno cose inenarrabili, e questo paradosso ci tiene incollati fondamentalmente.
Quindi un omicidio, per diventare interessante, deve raccontare anche una storia.
Sì, il pubblico si affeziona anche alla narrazione, se c'è un volto giovane, una vittima innocente, un colpevole ambiguo, un movente emotivo, una comunità sconvolta. Allora nasce il racconto, che a quel punto prende il volo. Guardate il caso di Pierina Paganelli, morta nel 2023. È passato un anno e mezzo, il caso non è ancora irrisolto, eppure c'è stata un'esplosione mediatica fuori controllo.
Perché?
Perché alla fine è ambientato in un condominio dove viviamo tutti. C'è mistero, c'è tensione familiare con tutti quegli intrecci, tra amanti, relazioni torbide, e poi soprattutto ci sono tutti quei sospetti, accuse e reciproche, e questo è perfetto per la serializzazione, per i talk, per la tv, per tutto.
La cronaca nera tira ancora di più quando di mezzo c'è il gossip?
Sì, perché un omicidio semplice non crea racconto. Sembra brutto dirlo, ma se l'omicidio è freddo, tecnico, riguarda chi sta ai margini, un immigrato, un senza tetto, un tossicodipendente, difficilmente diventerà un caso nazionale perché il pubblico non si identifica. Un omicidio piace, tra virgolette, se possiamo usare questo verbo disturbante, quando ha elementi di suspense, sentimenti forti, contraddizioni, personaggi anche fisicamente televisivi.

Un altro caso è quello di Liliana Resinovich.
Esatto. Una donna scomparsa poi ritrovata morta, una polizia che parlava di suicidio, eppure tutte le settimane, per anni, c'è il marito, il vedovo, ospite in studio a parlare di questo caso. C'è una morbosità assoluta quando l'amante, il compagno, il nuovo compagno, parla di come arredava il bagno, di come faceva il bagno con una persona comunque morta, in quella maniera, per cui c'è un'inchiesta per omicidio, e per cui c'è tutto un caos intorno, sembra attrarre di più l'aspetto voyeuristico dei casi, piuttosto che la gravità in sé della vicenda. Anche, perdona la franchezza, però ci sono dei casi, in Italia ammazzano donne tutti i giorni, ci sono dei casi che hanno avuto un impatto mediale.
E veniamo al caso Cecchettin, che ha avuto un impatto mediatico enorme rispetto agli altri…
Credo che per Giulia Cecchettin ci fosse la tragedia, la fuga allucinante di questo killer giovane, in solitaria, dall'aspetto anche un po' lombrosiano. Eppure, è una cosa dinamicamente grave che ha reso partecipi le persone, perché si devono identificare in qualcosa, che sia il carnefice o la vittima. Secondo me, in un certo senso, i giornalisti si identificano a volte anche nei carnefici per capire come mai hanno compiuto un gesto.
Arrivata la svolta nel caso di Alberto Stasi che ha ottenuto la semilibertà.
C'era da aspettarselo in fin dei conti i diritti dei detenuti valgono anche per lui. Stasi lascerà certamente il carcere prima della fine della pena e sicuramente prima della fine dell'inchiesta su Sempio. Una società sana dovrebbe tendere la mano al condannato che cerca un riscatto autentico; tuttavia, qui, la semilibertà acquisisce il retrogusto amaro di un bonus concesso in modo intempestivo, improprio, quasi offensivo. Speriamo non sia stata una decisione per controbilanciare l'inchiesta su Sempio.
Se l’esame del Dna riuscirà a collocare Andrea Sempio sulla scena del delitto, come si procederà a livello investigativo? Ci sarà un nuovo processo?
Non va escluso un nuovo processo, considerato anche che la Procura ha già fatto un passo importante con questa nuova indagine su Sempio, segno che hanno qualcosa che ritengono solido in mano. È già una guerra di perizie e le carte potrebbero volare in tribunale per anni. O finire in un cassetto a prendere polvere. È un caso destinato a proseguire a lungo.
Perché non si parla mai dell’alterazione dell’alibi di Alberto Stasi? Cosa è accaduto davvero al pc che usava per scrivere la tesi?
Perché su quel pc qualcuno ha commesso degli errori fin dalle prime indagini. È come se quell’alibi fosse un film di serie B: trama traballante e un finale che non soddisfa nessuno. Sicuramente quando è stato cambiato l'orario della morte della vittima, nessuno ha più richiamato tutte le persone sentite in precedenza per chiedergli cosa stessero facendo in quel momento.
L’omicidio di Pierina Paganelli può essere stato compiuto insieme da Manuela Bianchi e Louis Dassilva che ora si fanno la guerra a colpi di testimonianze contraddittorie? Ormai c’è qualcuno di credibile?
Sicuramente l’ipotesi di un omicidio commesso dalla Bianchi e da Dassilva è quella che ‘regge’ di più, anche sotto il profilo di vista del movente. Ad oggi Louis da Silva avrebbe ucciso solo perché l’amante soffriva per i discorsi della suocera. Mi sembra un po’ debole francamente come movente, mentre la coppia di amanti che agisce insieme contro la cattiva che li ha scoperti è molto più credibile. La credibilità l’hanno persa un po’ tutti subito pochi giorni dopo il delitto quando hanno fatto la riunione al parco Louis, Manuela, Loris e Valeria con consulente e investigatore privato in cerca di un flash o di un’intervista.
Louis Dassilva ha reali possibilità, in questo momento d’indagine, di ottenere la scarcerazione?
Dassilva non credo abbia possibilità di uscire prima della sentenza, vista anche la consulenza sulle voci sentite nei garage che complica la sua situazione. Lui risponde e si difende, anche bene, ma per la scarcerazione la vedo dura.
Com’è possibile che la morte di Liliana Resinovich in un primo momento sia stata fatta passare per suicidio quando la scena del ritrovamento fa pensare tutt’altro? Come si può ipotizzare che si sia infilata da sola all’interno dei sacchi per la spazzatura?
Tutto folle. Probabilmente sono stati commessi gravi errori nelle prime indagini. Dopo la relazione della dottoressa Cattaneo mi aspetto che venga indagato qualcuno, perché pensare che una persona si possa essere uccisa da sola mettendosi i sacchi in testa e piedi in attesa della morte, come ho detto, è solo follia.
La grande esposizione mediatica del marito Sebastiano Visintin può essere interpretata come un desiderio di attenzione e di spostare i sospetti da lui? Eppure, come mai ha ottenuto l’effetto contrario?
Sebastiano non so da chi sia stato consigliato, ma ha sicuramente parlato troppo riguardo a questa vicenda. Si è fatto abbagliare dalle luci delle telecamere senza accorgersi che più lui parlava, più l’opinione pubblica lo considerava colpevole della morte della moglie. Non mi stupirei se un giorno crollasse in diretta...
