Il reportage intitolato “Olio di ricino”, a cura di Daniele Autieri e Andrea Tornago, apre la serata di Report con un'inchiesta bomba su un caso ancora irrisolto e di cui tanto si era parlato: l'omicidio di Giulio Regeni in Egitto. Un problema internazionale che coinvolge le relazioni diplomatiche, i governi che si sono avvicendati in Italia e i leader africani. L'allora premier Matteo Renzi e l'ex ministro degli esteri Paolo Gentiloni, interpellati da Report, ribadiscono la totale chiusura dell'Egitto di fronte alle richieste italiane, ma la trasmissione di Sigfrido Ranucci è riuscita a recuperare dei documenti che dimostrerebbero il coinvolgimento dell'Eni, la multinazionale dell'energia di cui il Ministero delle Finanze detiene ancora il 2% circa delle azioni ordinarie e che era stata al centro di diverse polemiche sull'omicidio del giovane italiano. Emblematico il caso delle parole pronunciate da Claudio Descalzi alla convention di Forza Italia nel 2023, quando disse che l'Egitto è un paese “a cui se dai, ricevi”, sollevando una polveriera di risposte dai politici all'opposizione. Per capire il clima, Bonelli chiese: “L'Italia cosa ha dato all'Egitto in cambio del gas? Rinunciare a perseguire gli assassini di Regeni?”. Eni, che nei giorni dell'omicidio stava firmando un contratto da miliardi di euro sulla gestione di un giacimento di gas, Zohr, proprio davanti all’Egitto, ha sempre rifiutato ogni accusa, anche durante una commissione parlamentare in cui era stato chiamato a testimoniare lo stesso Descalzi. Come aveva osservato Ranucci in una precedente puntata di Report: il 21 febbraio, due settimane dopo circa il ritrovamento del corpo di Regeni, l’Eni firma un contratto con le autorità egiziane multimiliardario per la gestione di uno dei più grandi giacimenti di gas del Mediterraneo. Oggi scopriamo che la sua security si è mossa in quei giorni. Nessun ruolo attivo, specifica l’Eni, se non quello esercitato nel condividere nei momenti di interlocuzione con le autorità egiziane un’esigenza di massima chiarezza.
Il documento che viene mostrato in onda riguarda proprio queste interlocuzioni, tra Eni e le autorità egiziane. L'altro punto forte dell'inchiesta riguarda le testimonianze chiave. Report insegue il cosiddetto “testimone Gamma” a Nairobi, in Kenya. Un personaggio importante nell'inchiesta su Giulio Regeni, perché le sue parole potrebbero inchiodare il Maggiore Ibrahim Magdi Sharif, uno dei militari egiziani accusati di aver rapito e torturato lo studente italiano. Il testimone, infatti, avrebbe ascoltato un colloquio tra il generale e alcuni agenti dei servizi segreti in un ristorante di Nairobi, in cui il militare si vantava di aver torturato Regeni perché “stava organizzando una rivoluzione in Egitto”. Il giornalista di Report si mette in contatto con padre Giulio Albanese, un religioso italiano che lavorava al New Media Center di Nairobi, il quale gli spiega che era già stato interrogato dal Ros un paio di anni fa, perché si pensava che il testimone fosse lui. Invece, a quanto risulta, il personaggio chiave lavorerebbe in un chiosco di libri usati nella periferia degradata di Nairobi. Autieri riesce a rintracciare la libreria, ma a quanto pare l'uomo che aveva ascoltato la conversazione, il testimone chiave, risulta essere morto in un incidente stradale. Lo spiega la madre, rimasta a gestire il chiosco. La testimonianza diretta è impossibile, dunque, ma Report ha modo di parlare con un amico di Gamma che conferma la tesi dell'uomo scomparso. Poi c'è anche il racconto di un cittadino egiziano torturato nelle stesse carceri dove era stato imprigionato Giulio Regeni, e la storia a questo punto implica addirittura il figlio del presidente egiziano Al-Sisi, che all'epoca dell'omicidio era a capo dei servizi segreti al Cairo. Si aggiungono tasselli importanti, ma si arriverà mai a una soluzione o il caso rischia di diventare ancora più complicato?
Tornando a Eni, Report svela due mail che confermano i contatti, avvenuti proprio nei giorni della scomparsa di Regeni, tra i manager dell'azienda e i membri più influenti del governo egiziano. Il programma di Ranucci punta l'indice sul fatto che, nello stesso periodo, la politica egiziana alzava un muro di gomma sulle richieste di chiarezza avanzate dai rappresentanti del governo italiano. Eni ha sempre assicurato di interloquire con l'Egitto soltanto per scopi commerciali, che l'azienda “non è uno Stato e non svolge attività diplomatica” e che, a maggior ragione durante il sequestro di Regeni, le autorità italiane erano sempre informate di ogni loro attività. Eni comunque ha mandato una lettera, ripubblicata sul sito di Report, in cui spiega la propria estraneità ai fatti, anche in riferimento al giacimento Zohr. L'ufficio stampa scrive che “Zohr è stato scoperto da Eni nel 2015, molto prima della tragica vicenda Regeni. Il contratto per il suo sviluppo venne sì assegnato il 21 febbraio 2016, ma la sua origine risale a diversi mesi di negoziati. Non vi era comunque alcun affare in quel periodo da poter mettere in relazione, in quei giorni, con la tragica vicenda di Giulio Regeni e la doverosa ricerca della verità sui responsabili della sua morte”.