La crisi dell’auto? Il Governo italiano pare avere un piano per mettere un freno a questa critica situazione, che nel Belpaese sembra quasi amplificata a causa della presenza di un solo produttore, Stellantis. Infatti, riporta Mauro Del Corno sul Fatto quotidiano, “Adolfo Urso (ministro delle imprese e del made in Italy, ndr) […] getta sul tavolo la carta cinese. Le agenzie riportano di trattative in fase avanzata con Dongfeng Motors (azienda di proprietà statale, ndr) per uno stabilimento in Italia”. Alla faccia dei dazi... Comunque sia, i negoziati in questione non erano certo cosa segreta, sono ormai mesi che si parla di una presunta collaborazione con la Cina per portare un secondo produttore di quattro ruote nello Stivale, ma le condizioni rimangono ancora ignote. Secondo il ministro, che ha parlato in occasione dell’incontro dei sindacati, “per impegni industriali di questo tipo non si decide in un giorno né in un mese, è un processo produttivo che richiede i suoi tempi”, e quindi non conferma nulla, “ma – sottolinea Tobia De Stefano su La Verità – non si può non notare che la mancata smentita corrisponda a una mezza conferma”. Inoltre, riporta sempre il giornalista, “il progetto (quello di portare Dongfeng in Italia, ndr) potrebbe coinvolgere […] anche imprese italiane del settore della componentistica e prevedere una partecipazione pubblica di minoranza”. Questo scenario, però, potrebbe nascondere anche un forte rischio…
Infatti, secondo l’analisi di Francesco Zirpoli, economista della Ca’ Foscari di Venezia consultato dal Fatto, “un investimento diretto dall’estero sarebbe un’ottima notizia per l’Italia che potrebbe segnare una inversione di tendenza rispetto alla costante riduzione di volumi di produzione cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni”, allo stesso tempo, però, “affinché l’investimento contribuisca al rilancio dell’intera filiera, parti e componenti dovranno essere prodotti anche in Italia”. La paura è quella di un banale “hub”, o di una “fabbrica cacciavite” come la definisce Del Corno, “dove semplicemente si montano pezzi che arrivano preconfezionati dalla Cina, con pochissimi benefici in termini dell’occupazione e sviluppo dell’indotto”. Dubbi anche su una presunta (ma improbabile) sostituzione della ex Fiat. Il responsabile del settore auto della Uilm Gianluca Ficco ha rivelato a La Verità che “se Dongfeng dovesse arrivare in Italia per sostituire Stellantis non mi sembra una grande mossa. La vedo difficile – ha detto – che possa garantire i 40mila lavoratori attuali e le migliaia di addetti dell’indotto. Diverso invece il discorso se dovesse rappresentare una risorsa produttiva aggiunta”. Intanto, però, se da una parte Stellantis rischia di ritrovarsi tra i piedi un concorrente diretto, dall’altra, secondo quanto rivela TorinoCronaca, dà il via al “piano di tagli”. Si tratta del cosiddetto “Programma di separazione volontaria 2024” arrivato via mail ai lavoratori negli stabilimenti del Gruppo negli Stati Uniti, in cui si legge che “l’intento di Stellantis è procedere su base volontaria, ma se le adesioni non saranno sufficienti – e non viene spiegato quale sia questo numero – si procederà a ‘iniziative involontarie’. Ossia – sottolinea il sito italiano – licenziamenti”. L’obiettivo è di “sfoltire qualcuno degli 11mila dipendenti al di sotto del ruolo di vicepresidente, negli Usa”. Ma se oggi rischiano i dipendenti, domani potrebbero rischiare gli stessi marchi del gruppo, soprattutto quelli non redditizi (e italiani): “Salva per ora Maserati, dopo l’intervento di John Elkann, ancora a rischio Alfa Romeo”. E proprio a proposito di Elkann…
“Nei giorni scorsi – si legge ancora su TorinoCronaca –, è partita la terza tranche del buyback da tre miliardi di euro, ossia il riacquisto di azioni proprie. Azioni che, una volta ricomprate, a un prezzo fino al 110% della quotazione di mercato (oggi effettivamente in discesa), saranno poi cancellate. In questo modo, i tre soci forti, ossia John Elkann tramite Exor, la famiglia Peugeot tramite Psa e lo Stato Francese tramite BFI, vedranno salire le proprie quote e, di conseguenza, i diritti di voto”. La ripartizione in questione, dunque, porterà Exor a salire al 15,28% delle quote, Peugeot al 7,62% e lo Stato al 6,55%. Eppure per il nipote di Gianni Agnelli, rivela adesso LoSpiffero, “il futuro è altrove, come dimostra la scelta di fare imboccare alla holding Exor la direttrice dell’healthcare, che viaggia parallela a quella del lusso e del tech [...] Business maggiormente remunerativi in una società sempre più anziana e in cerca di una qualità di vita migliore”; altro che automobili.