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Meta ci ruba i dati per allenare l'intelligenza artificiale e Zuckerberg diventa sempre più ricco? Ha un patrimonio di 183 miliardi, ecco perché dovrebbe pagare noi utenti

  • di Jacopo Tona Jacopo Tona

29 giugno 2024

Meta ci ruba i dati per allenare l'intelligenza artificiale e Zuckerberg diventa sempre più ricco? Ha un patrimonio di 183 miliardi, ecco perché dovrebbe pagare noi utenti
Mark Zuckerberg ha una villa con bunker alle Hawaii, uno yacht da 300 milioni e un patrimonio stimato di 183 miliardi di dollari, eppure continua a rubare. Cosa? I nostri dati personali, senza i quali non sarebbe mai diventato così ricco. Questa volta li vuole usare per allenare la sua intelligenza artificiale, aggirando il vago regolamento europeo sulla privacy. Per fortuna un avvocato e attivista austriaco se n'è accorto, ed è riuscito a rinviare il furto. Ma visto che siamo noi a fornire la materia prima a Meta, non dovremmo avere un ricavo dagli utili di Zuckerberg?

di Jacopo Tona Jacopo Tona

Mark Zuckerberg non perde il pelo, e nemmeno il vizio. I nostri dati personali sono la sua mania, la sua perversione. La sua fonte principale di guadagno, ok, ma il problema è l'utilizzo che ne fa. L'ultima novità è che il padrone di Facebook e Instagram, mentre è in giro con il suo yacht da 300 milioni, userà i nostri dati personali per addestrare Meta AI, il nuovo sistema di assistenza digitale basato sull'intelligenza artificiale. È una novità fino a un certo punto, perché dal caso di Cambridge Analitycs in avanti, ma anche da prima, Meta ha sempre utilizzato le informazioni che noi stessi gli forniamo come investimento, rivendendole ai partiti politici, agli inserzionisti o utilizzandole per sé. Il problema è che ciò che Zuckerberg sa di noi glielo abbiamo detto noi stessi: un furto concordato. Una elargizione liberale che non si può scaricare in nessun rigo del 730: in cambio abbiamo la libertà di passare gratis tutto il tempo delle nostre giornate sui social. La frase che avete appena letto era ovviamente sarcastica: l'aveva già detto Goethe che “Nessuno è più disperatamente schiavo di chi ritiene, errando, di essere libero”. Ma qui si parla di soldi, non di un concetto astratto come la libertà: Meta ha proposto i social in abbonamento per non farci vedere le pubblicità, che a loro volta vengono proposto in base ai dati che noi stessi forniamo. Dovrebbe essere Zuckerberg a dare dei soldi a noi, e non il contrario. Lo stesso vale per l'ultima questione sul programma di intelligenza artificiale. Per fortuna c'è qualcuno ha deciso di opporsi. Vediamo chi si è incaz*ato e perché, e cosa dice la legge a riguardo.

Mark Zuckerberg e Bill Gates
Mark Zuckerberg e Bill Gates

Il regolamento europeo sulla privacy prevede alcune condizioni per l'utilizzo dei dati personali. Chi se ne appropria, in questo caso Meta, deve fornire un'informativa sull'uso e sui diritti degli interessati, compresa la possibilità di opporsi al trattamento. Ma questo non basta: la legge dice anche che i dati devono essere usati in maniera corretta. Per farlo, bisogna che lo si stabilisca per contratto, per obbligo di legge, per consenso dell'interessato o per legittimo interesse. È proprio quel "legittimo interesse" di Meta, citato con tanta nonchalance nella loro informativa, a finire al centro di una battaglia legale lanciata da NOYB, il Centro Europeo per i Diritti Digitali guidato dall'attivista austriaco Max Schrems, unico vero nemico di Zuckerberg, altroché Elon Musk. Lo stesso Schrems che, con le sue numerose azioni legali contro diverse società, ha fatto saltare l'accordo sul Privacy Shield, che permetteva il libero scambio di dati tra Europa e Stati Uniti, facendo in modo che i fattacci nostri andassero a finire anche oltreoceano.

Lo yacht da 300 milioni di dollari di Mark Zuckerberg
Lo yacht da 300 milioni di dollari di Mark Zuckerberg

NOYB ha recentemente presentato ricorsi davanti a undici Garanti della privacy europei, Italia inclusa, per bloccare l'adozione imminente dei nostri dati personali da parte di Meta AI, il progetto di Mark Zuckerberg che mira a integrare un sistema di intelligenza artificiale nei servizi di Meta. Se non è ancora disponibile in Europa è proprio perché, a seguito delle denunce di NOYB in Irlanda e Regno Unito, i Garanti hanno chiesto a Meta di fermarsi. Il progetto non si limita a fornire il servizio Meta AI, ma prevede anche l'uso dei dati di Facebook e Instagram, raccolti dal 2007 e fatta eccezione delle chat private, per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale. Il tutto giustificato dal legittimo interesse di cui parlavamo prima, che è giustificato dal regolamento UE sulla privacy, anche se non si capisce bene quale interesse avremmo nel fare arricchire ulteriormente il vecchio Zuck. Anche perché, e questo è il punto fondamentale di tutto il problema, Meta non specifica da nessuna parte la maniera in cui verranno utilizzati i nostri dati, ma indica soltanto la tecnologia che verrà utilizzata. Questo ovviamente crea numerose domande e sospetti, visto anche ciò che è successo in passato, non ultima la multa di tre milioni e mezzo di euro comminata a Meta dall'Antitrust, proprio per non aver informato gli utenti sull'utilizzo dei loro dati personali a fini commerciali. Inoltre, come ha osservato Noyb, il passaggio sull'utilizzo avverrà in automatico, e la sua disattivazione è macchinosa e complicata. Insomma: se proprio Zuckerberg vuole usarci come allenatori per la sua intelligenza artificiale, che almeno ci paghi. Un AI trainer, a quanto risulta dal web, guadagnerebbe sui 3167 lordi al mese. Ci accontentiamo anche della metà, grazie Mark. O almeno, una settimanina sullo yacht da 300 milioni, a inquinare il Mediterraneo.

Max Schrems, l'avvocato e attivista austriaco, bestia nera di Zuckerberg
Max Schrems, l'avvocato e attivista austriaco, bestia nera di Zuckerberg

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