C’è una regola che chi fa o ha fatto il mestiere della cronaca giudiziaria conosce benissimo. E’ di quelle regole che nessuno esplicita mai fino in fondo, ma che si impara facendo su e giù per le scale degli studi degli avvocati o per i corridoi che separano le aule delle udienze penali nei tribunali, magari in compagnia dei colleghi più esperti e ormai abituati a tutto: lasciar sempre credere che le notizie siano soffiate da qualche avvocato. “Lasciar credere”, appunto, perché la verità è quasi sempre un’altra: le procure parlano. Ecco perché nel leggere l’ultima uscita pubblica del procuratore della Repubblica di Pavia, Fabio Napoleone, una prima domanda maliziosa è venuta subito fuori: ok, il procuratore Napoleone ha rotto il silenzio, ma si è accorto che nella sua Procura l’hanno già fatto da un pezzo? Il magistrato se l’è presa con il frullatore mediatico dentro cui si sono ritrovate le indagini da qualche mese a questa parte, però sembra quasi voler deliberatamente ignorare che dentro quel frullatore (fatto girare vertiginosamente da quei cattivoni di giornalisti) c’è sempre qualcuno che butta dentro notizie. Sempre nuove. Sempre fresche. E pure sempre ben dosate. E quell’appello, forse, andrebbe fatto, prima che sulla stampa, in una riunione interna a cui far partecipare anche l’ultimo inserviente addetto alle fotocopie della Procura della Repubblica di Pavia.

Napoleone, in un comunicato ufficiale, ha denunciato la "distorsione mediatica" che attribuisce alla Procura valutazioni e decisioni mai espresse. "Qualsiasi interpretazione proveniente da soggetti estranei all’ufficio genera confusione", ha dichiarato, sottolineando come consulenti, esperti e opinionisti stiano creando "discussioni fittizie" basate su congetture. La reazione di Napoleone non è casuale. Negli ultimi mesi, il dibattito si è concentrato sul dna "Ignoto 3", un profilo genetico maschile trovato su una garza usata durante l’autopsia di Chiara. Le ipotesi oscillano tra contaminazione e presenza di un terzo uomo sulla scena del crimine. Mentre la difesa di Alberto Stasi, condannato in via definitiva, insiste sull’importanza di questa traccia, la Procura preferisce attendere i risultati definitivi degli esami. Stasi, però, nel frattempo è in galera, condannato per l’omicidio della sua fidanzata, tutt’altro che oltre ogni ragionevole dubbio. E il sospetto che Andrea Sempio possa essere il nuovo Stasi è forte, perché la storia già vista di sguardi concentrati in una direzione sola, volenti o nolenti, condiziona inevitabilmente tutto e tutti, anche mentre cominciano a essere più di una le soffiate (nonostante l'appello del Provuratore) su una presunta compatibilità del nuovo dna trovato sulla bocca di Chiara con il profilo genetico di Michele Bertani, l'amico di Andrea Sempio morto suicida ormai diversi anni fa dopo aver laciato un messaggio misteriosamente ambiguo. E' come se tutte le altre piste, tutte le altre ipotesi e tutte le altre congetture (che faranno pure schifo, ma esistono) siano solo mangime in più per salotti televisivi e pagine dei giornali. O per consulenti (comunque sempre negli elenchi delle procure) in cerca di visibilità. Dimenticando, però, che sono stati proprio studi televisivi (Le Iene) e pagine di giornale a raccontare tutto quello che non tornava.

Così, mentre la Procura cerca di arginare all’esterno le speculazioni, anche la famiglia Cappa ha lanciato un’offensiva senza precedenti. In un comunicato stampa, i familiari delle due gemelle hanno espresso "profondo sdegno" per il "proliferare di sedicenti testimoni, supertestimoni e improvvisati esperti" che diffondono dichiarazioni "false, gravemente diffamatorie e calunniose". L’appello agli operatori dell’informazione è chiaro: evitare di alimentare teorie infondate e privilegiare una narrazione basata sulla veridicità. La lettera non nomina direttamente i soggetti a cui è indirizzata (il minimo comune denominatore del caso Garlasco sembra essere, sia perdonata l’ironia nera, la vaghezza), ma il riferimento a "chiunque" si estende a giornalisti, opinionisti e consulenti tecnici. Viene da chiedersi, però, se non sia da estendere anche a chi non ha mai chiesto con la dovuta insistenza a cosa si riferisse, ad esempio, Paola Cappa, quando in una intercettazione lascia intendere di avere una verità da raccontare (ma che gli devono pagare bene). Magari è stata solo un’uscita infelice, un voler far credere di sapere molto di più di quanto non si sappia davvero, ma a affermazioni che sono diventate pubbliche (le intercettazioni non finiscono trascritte nelle mail dei giornalisti per mera fortuna o casualità) andrebbero, a questo punto, anche date spiegazioni altrettanto pubbliche. Invece meglio passare alle minacce di querele per chiunque. Il tutto mentre il centro del si sposta sul dna "Ignoto 3", un enigma che divide esperti e parti processuali. Ma, paradosso dei paradossi, si è già saputo che la Procura sta confrontando il dna con quello di almeno 30 persone, tra operatori sanitari, tecnici del RIS e amici di Andrea Sempio, il nuovo indagato. Parallelamente al dna, l’attenzione si è concentrata sull’impronta 33, trovata sul muro della cantina dove fu gettato il corpo di Chiara. Attribuita a Sempio dai pm, la traccia è stata oggetto di un acceso dibattito. La difesa di Stasi ha presentato una consulenza che la definisce "contatto palmare intenso", compatibile con un’aggressione violenta. Tuttavia, la Procura ha escluso l’impronta dall’incidente probatorio, considerandola "inutilizzabile" per carenze tecniche.

Con le indagini che procedono così, però, si continua a non fare chiarezza sulle ipotesi più audaci, che poi sono anche quelle che fomentano l’interesse morboso e che, una volta tolte di mezzo o confermate, permetterebbero di lavorare in uno scenario di minore pressione. L’avvocato Massimo Lovati, difensore di Sempio, ha ipotizzato l’intervento di un "sicario professionista" legato a sette o organizzazioni criminali o di matrice massonica e su questo nessuno dice nulla. Chiara è stata uccisa per far tacere scoperte legate a presunti scandali in un santuario locale? A questo, almeno, si potrebbe rispondere da subito e con l’autorità per farlo. Dire dove non si andrà a parare e perché potrebbe essere più utile che invitare genericamente al silenzio o alla non confusione. Anche perché, sebbene queste tesi non abbiano trovato riscontri concreti, il caso continua a sollevare interrogativi sulle possibili ingerenze di poteri esterni. E è umano pensare che ci sia chi, con certi inviti al silenzio, atteggiamenti e querele minacciate, possa lasciarsi trascinare dal dubbio che qualcuno possa voler proteggere non solo la propria reputazione, ma anche storiacce che potrebbero coinvolgere ambienti istituzionali o religiosi.
