Garlasco, come ogni caso di cronaca nera nazionalpopolare, è qualcosa che va oltre le aule dei tribunali. L'italiano, dismessi i panni da allenatore, da virologo e da esperto di geopolitica, si infila la toga e diventa avvocato, giudice, investigatore. Il cosiddetto processo mediatico o, come lo chiama Marco Travaglio ospite dell'associazione “I ragazzi di via d'Amelio”, il “metodo Iene”. Il colpevole si allontana, e tutto diventa confuso. Opinioni, al posto della verità. “Tipo il delitto di Erba o quello di Garlasco, dove si danno in pasto alla televisione, ai social e alla stampa dei privati cittadini che fanno la loro vita, e che avrebbero diritto alla loro riservatezza. Li si accusa in base alle testimonianze di mio cugino che l'ha saputo dalla zia che ha parlato con una dal parrucchiere che forse c'entrano con un omicidio. Queste è una cosa vergognosa. È il metodo Iene, tanto per essere chiari, anche se non appartiene solo a loro”. Diverso è il caso, secondo Travaglio, quando queste faccende riguardano i politici, com'era stato per Berlusconi o per Bill Clinton e Monica Lewinsky. Per il privato cittadino di Garlasco è, o almeno dovrebbe essere, diverso: “Morbosità a parte, non riesco a capire il motivo per il quale debba essere buttato in pasto all'opinione pubblica in maniera così sguaiata e priva di qualsiasi cautela”.

Essendo intervistato dai ragazzi di via d'Amelio, l'argomento principale però è la trattativa Stato-mafia. “Dire che ci sia stata una trattativa non implica che ci sia stato un reato, significa cristallizzare un fatto storico. Nel 1992, dopo la Strage di Capaci, alcuni ufficiali del Ros dei Carabinieri sono andati da un noto mafioso, Vito Ciancimino, a chiedergli se potesse fare da intermediario con i capi di Cosa Nostra che avevano appena ucciso Giovanni Falcone e che prima avevano ucciso Salvo Lima. La trattativa c'è stata e il reato, secondo la Procura di Palermo, era di violenza o minaccia allo Stato. Perché Cosa Nostra non metteva le bombe per sparare nel mucchio o per fare casino, ma le metteva per uno scopo politico, che era quello di ristabilire quel rapporto di connivenza tra Stato e Mafia che si era rotto con la sentenza di Cassazione all'inizio del 1992, la quale aveva confermato la grande maggioranza di condanne per i boss mafiosi detenuti. Il tradimento di Andreotti e di Salvo Lima andava lavato col sangue”.

Anche perché serviva, prosegue Travaglio, un ricambio della classe politica che potesse assicurare una situazione più favorevole alla mafia, cosa che sarebbe avvenuta con l'avvento di Forza Italia: “Non scordiamoci che il partito nacque da un'idea di Marcello Dell'Utri, poi condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Io non penso che i carabinieri abbiano agito senza aver avuto ordini dall'alto, ma comunque la Cassazione ha assolto tutti, dando per scontato che ci fossero dei deficienti al Governo che non sapevano perché la mafia avesse iniziato a mettere bombe, e pur non avendolo capito hanno iniziato ad assecondare le richieste di Cosa Nostra, a partire dal governo Berlusconi con le prime leggi promafia e a proseguire con centrodestra e centrosinistra, i quali hanno continuato ad attuare un papello che evidentemente non avevano letto”. Mafia che adesso, chiude Travaglio, non ha più bisogno di sparare, anche perché uccidere, per Cosa Nostra, “è un'extrema ratio”. Quando le mafie non sparano, è perché stanno bene. “Grandi opere a parte, come il Ponte sullo Stretto o la Tav, stanno mettendo le mani sui soldi del Pnrr”. In silenzio, ovviamente, che tutta l'attenzione mediatica è rivolta alle impronte di Andrea Sempio.
