Cosa si fa di domenica con un sole tipicamente laziale, alle soglie di quella festa celtica che vorrebbe foglie morte e oscurità mentre noi mangiamo ancora cocomero e pane e frittata sui prati verdi? In barba a ragnatele e mocciosi che invece di bussare a stregate porticine salgono ascensori scalcinati romani e bussano a un Sor Armando qualunque, noi di MOW ce ne siamo andati a pranzo con Marco Morandi, in camporella. E precisamente a Vasanello, alla azienda agricola “Tenuta il Melograno”. Abbiamo vagato per campi secchi in provincia di Viterbo per circa un’ora di automobile, finito quasi un pieno di carburante fino ad arrivare in prossimità di filari di alberi di nocciole strepitosi a rotta di collo. Ci siamo persi tra altri ettari di piante di melograno e poco prima di tornare indietro stufi marci, abbiamo avvistato lunghe tavolate incastonate tra i filari con Marco Morandi in piedi su un palco intento a cantare. Ricordiamo che Marco Morandi, oltre a essere un attore, un cantante e un appassionato di olio, vini e natura, è il figlio di Gianni Morandi. Colui che da mezzo secolo guida l’Italia a cento all’ora per trovar la bimba sua, scongiurandola di scendere a prendere il latte. Ci siamo così abbarbicati nei pressi del banchetto, tendendo la pargoletta mano al verde melograno dai bei vermigli fior di carducciana memoria, preludendo all’atmosfera di ambientazione scolastica appunto, che di lì a poco ci avrebbe inghiottiti. Marco è friendly e tra una canzone e l’altra spiega aneddoti a un pubblico prelevato da un tuffo nel passato, totalmente digiuno, pare, di musica uscita dopo gli anni Settanta. “Non basta essere te, devi essere super”, chiosa al microfono Morandi junior. Si sente che avverte il peso delle aspettative della gente in generale e lo racconta nella sua canzone. Il tagliere di salumi induce delle riflessioni su questo tema esistenziale delle aspettative altrui. Il pubblico anche avverte la responsabilità di dover rendere di più a questa società vorace e giudicante e infatti trangugia le fette di salame con enorme dovizia.
Marco attacca poi Stella di Mare di Lucio Dalla. Tra i filari corre la carezza rassicurante del classico che fa fine e non impegna, che non scompone. Arriva il sempiterno riso nero che costa poco e sazia tanto per rientrare nei trentacinque euro totali a persona, esclusi i tre euro di acqua. Si continua con Rino Gaetano con la splendida E io ci sto. Marco la canta con convinzione e le prime ladies cominciano a battere il piedino nella zeppa di sughero. “Rino c’è e ci sarà per sempre”, urla giustamente Marco, “non potevo non portarlo”. Noi sentiamo scorrere la grinta nelle vene ai primi accordi del Cantore di Crotone, ringraziandolo di aver transitato su questa Terra di abbandonati dagli dèi, in effetti. Rino è pur sempre un classico che il pubblico anni Ottanta non può non apprezzare, non fosse altro perché a furia di cantare le sue strofe le ha svuotate di senso fino a non recepirlo più. Ci chiediamo se qualcuno di costoro in effetti abbia mai afferrato i risvolti sottesi di capolavori come Il cielo è sempre più blu. Il famoso 109 per la rivoluzione di Rino è ormai passato e un’altra occasione è andata persa per darsi l’opportunità di un salutare “second wind”, come direbbero gli anglosassoni. Morandi invece ha dentro a modo suo questa percezione di un riscatto che ancora potrebbe costituire un inebriante prospetto futuro e, infatti, intonando un suo brano ispirato al 109 fatidico spiega: “Ho immaginato una storia e spero che il 109 ripassi per tutti e che qualcuno abbia il coraggio di prenderlo”.
La gente è ormai in piedi tra le frasche e si dimena fregandosene dell’arrosto. Morandi incalza poi con la storia del ritrovamento casalingo di una cassetta originale di Rino con l’incisione del brano Nuoto a farfalla e la esegue. Parte poi Nastro rosa di Lucio Battisti. La folla è in delirio, lo spirito del liceo si è impadronito del pubblico. Noi finiamo l’arrosto e facciamo pure la scarpetta, sentendoci nuovamente in quei saloni delle discoteche capitoline del tempo, il Gilda o la Cabala, incartati male in cangianti drappeggi di taffetà verde smeraldo e spalline di gommapiuma, in preda al disagio sotto la palla strobo. Solo che c’è il sole e sono passati trent’anni, per fortuna. Marco interrompe questi ricordi imbarazzanti con la narrazione della sua educazione musicale. “Ho imparato a suonare la chitarra con questa canzone”, avverte; “ho avuto una formazione molto classica suonando il violino a quindici anni. Ascoltavo Bach, Beethoven, poi mi imbattei ne La voce del padrone e la mia visione della musica cambiò”. La gente si siede, noi ci alziamo. Parte un medley delle migliori hit di Battiato e un raggio di sole si posa su un frutto grosso e scarlatto. O almeno deve esser stato per forza così. Al termine, i festanti cittadini bucolici per un giorno, non avvezzi ai fili d’erba, si sono rialzati immortalando qualsiasi cosa con gli ordigni tascabili. Minima immoralia. Noi siamo stati riassaliti da incubi liceali ma sul ponte ha sventolato bandiera bianca e Rino Gaetano è tornato in soccorso con le sue leggendarie tre donne, ovvero Berta, Maria e Gianna. Chi ignora chi siano merita di tornare al liceo.
Ma oltre il liceo c’è di peggio e cioè l’arrivo di un dj con il meglio del trash degli anni Ottanta mixati a palla senza pudore. Sulla cassa dritta di Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri abbiamo telato per inseguire tra le zolle il protagonista di questa ottobrata romana tra le fratte, a onor del vero, meravigliose dell’Azienda “Il Melograno”. Marco ha risposto alle nostre domande molto cortesemente, dote di famiglia, in una esplosione di Raffaella Carrà e Village People in salsa agée, dicendoci che anche se i figli d’arte sono vittime dello stigma del paragone continuo con il genitore famoso, lui l’ha digerita da tempo. Ormai ha un’età e una propria strada, e non risente più dei continui riferimenti al Babbo. Si sta dedicando al teatro e alla musica perché gli sembra la maniera migliore per esprimersi. Del panorama della musica italiana di oggi Marco pensa che la rete abbia dato la possibilità a tutti di esprimersi e ciò è un bene per certi versi e un male per altri, vista l’omogeneità qualitativa e relativa difficoltà di trovare cose interessanti, ma cercando è possibile. “Io un rocker? No, sono un romantico”, ci confida il bravo ragazzo. La situazione politica? “Ho tre figli e oggi ci avrei pensato con maggior apprensione a metterli al mondo. Certo non è il clima ideale, speriamo che Dio ce la mandi buona”.