Partiamo dai rincari e dalla questione collegata al caro spesa. Io credo che sia una cosa ben visibile a tutti: i prodotti non sono soltanto rincarati, ma spesso non sono più acquistabili da una famiglia normale, o quantomeno dalla maggior parte delle famiglie. Anche quelli italiani sono diventati prodotti che hanno dei costi molto lontani rispetto a ciò che ci si potrebbe immaginare. Ma cerchiamo di capire il perché: sono le aziende cattive che speculano sulla vita dei nostri connazionali o c'è di mezzo qualcosa di diverso? Basta andare a vedere i dati Istat, che danno delle indicazioni piuttosto rilevanti. I rincari annui delle aziende dovrebbero stare entro il 3% del costo del prodotto. Questo è dovuto al fatto che ciò che loro utilizzano, energia in primis, diventa progressivamente sempre più caro. Ma allora dove sta il problema? I nostri salari non crescono più in maniera competitiva e non rispettano l'andamento del costo della vita da almeno vent'anni. Questo ha generato un divario enorme fra ciò che realmente possiamo permetterci è quello che effettivamente guadagniamo. La radice del problema è collegata a diversi fattori. Il primo è, appunto, quello dei salari che non crescono. Poi ci sarebbe da ancorare il prezzo minimo pagato per il lavoro ad un salario fisso. Il salario minimo è una realtà praticamente in tutta Europa, e serve non solo per evitare che dei disgraziati lavorino per meno di due euro all'ora, ma perché se hai il 12,4% della platea che lavora sotto al prezzo minimo hai anche popolazione più povera. Il costo dell'energia, poi, è ancora legato al costo del petrolio, e invece dovrebbe essere svincolato. Infine, il problema è che manca una politica industriale di sviluppo vera e propria. L’ultima volta ne ho letta una sarà stato alla fine degli anni Novanta o agli inizi dei Duemila.

Questa non è una situazione emergenziale, ma strutturale dell'Italia, la combinazione di una serie di elementi negativi che porterà a una divaricazione fra gli strati sociali ancora più ampia: ci saranno sempre molti più poveri e il grosso dei soldi girerà tra il 10% della popolazione, una fetta di società che peraltro già possiede il 60% dei beni. Processi che si tradurranno in un commercio meno sviluppato e dunque più povertà. Infine mancano quelle politiche di sostegno immediato, che in altri paesi sono state costruite su alcuni prodotti di base, sui quali bisognerebbe impostare un prezzo a livello nazionale, facendo un accordo con le aziende che li producono. Di solito questi accordi, che non sono atti di bontà, ma passano da una riduzione dell'imponibile fiscale, genera dei prodotti i cui prezzi rimangono calmierati nel tempo. Per capirsi, parliamo di pane, pasta, latte, olio. Insomma, prodotti che hanno dei costi che devono essere assolutamente misurati e che non possono variare con l'inflazione. Si tratta di uno strumento che è stato utilizzato già con successo in diverse nazioni. Da qui la domanda: cosa vogliamo fare?

