Era calata nuovamente la serenità sul consumo di carne, subito dopo l’epidemia del morbo di Creuzfeld Jakob, la famosa mucca pazza che, dall’85 al ’96, causò nel Regno Unito la morte di un fottìo di bovini negli allevamenti intensivi e il contagio all’uomo, con conseguenti drammatici allarmi e limitazioni di baccanali di ciccia nel mondo, ecco che, nuovamente, le bistecche sono tornate al centro dei dibattiti tra vegani e carnivori. Le orge di proteine animali dello zoccolo duro tra i carbonari di allora - restii alla rinuncia alla fiorentina, che la divoravano in segreto nonostante le restrizioni - continuano oggi tra coloro che professano la superiorità dell’uomo sulla bestia in quanto ‘in cima alla catena alimentare e provvisto di equipaggiamento dentario idoneo ad azzannare fibre animali’ e l’esercito di animalisti vegan, compattatosi più o meno una ventina di anni fa, forse proprio in seguito al pericolo della encefalopatia spongiforme. Oggi le farine animali con cui si alimentava il bestiame ritenute responsabili della Bse sono state abolite, arrivando così all’eradicazione della sindrome, anche se pare che l’incubazione di questa temibile peste possa durare dai quattro ai quarant’anni senza sintomi, mantenendo il rischio di contagio per contatto ematico. Insomma, come qualcuno non più in odor di gioventù ricorderà, la vicenda della mucca pazza fu all’epoca davvero una sorta di piaga d’Egitto, per quanto l’Italia non registrò troppi danni, ma la paura fu tanta. Oggi che il sospetto per la fettina è quanto mai diffuso per ragioni etiche e di benessere, il divario tra i consumatori persiste ed è quanto mai efferata la lotta. L’Italia ha stentato all’inizio a prendere dimestichezza con la ristorazione vegana, offrendo alternative tristanzuole al tradizionale, perché ancora in ritardo - ma guarda un po’ - al nuovo approccio della manipolazione dei cibi green. Se all’estero andavano già forte con raffinate catene veggie cruelty free della stazza di Honest Green, presente dappertutto meno che nel Belpaese, ora si assiste a una maggior disinvolta fioritura di ristoranti vegani ove siano in grado di presentare piatti dignitosi ‘animali esenti’ e non papponi di avena per galline, becchime e goffe creme di spinaci. Ebbene si, abbiamo visto anche questo al Pigneto a Roma. Insomma, il padre del termine ‘vegano’ fu inglese e non certo italiano, ecco, e risponde al nome di Donald Watson, sostenitore dei diritti degli animali e fondatore della Vegetarian Society che nel 1844 gettò le basi per un futuro vegan. Se da una parte la dieta vegana promette salute, drastico calo della probabilità di ammalarsi, rispetto dell’ambiente e degli esseri viventi, gli onnivori obiettano sciorinando i rischi conseguenti ad una alimentazione total green. Fratture ossee, riduzione della massa magra, anemia, depressione e ansia, disfunzione dei sistemi neurologici e immunologici sono le promesse dei famosi ‘mangiacadaveri’ che, per i cruelty free, sono ormai acerrimi nemici da debellare. Il popolo vegan ha invaso i social di ricette sperimentali spesso per replicare alimenti ormai maledetti come Mammona; cosce di pollo modellate come il Das con i ceci bolliti affogati nel curry, inserendo quote proteiche delle quali si è pronti a giurarne l’equipollenza con quelle animali, ricoprendole con trovate creative come fogli di carta di riso asiatica che evochino l’aspetto della pelle di pollo croccantina. Il mercato ne gode e i malefici carnisti prendono per il culo gli influencer vegani che sussurrano nei video per diffondere senso di pace e serenità. L’arena è bollente, ci si azzanna tra le due fazioni e anche noi di MOW non siamo stati risparmiati. Quando il laburista milionario inglese Dale Vince ha proposto di tassare le bistecchine per indurre i suoi connazionali a diventare "mangia insalate", noi siamo saltati sulla sedia e abbiamo immediatamente fatto uno squillo al Re dei macellai in Panzano in Chianti, Dario Cecchini che durante la mucca pazza riceveva lettere minacciose dall’Animal Liberation Front.
Dario Cecchini, in tutta la sua toscanità, che ne pensa dell’idea di imporre un balzello sulla ciccia?
Il proibizionismo non ha mai pagato. In medio stat virtus. Per carità, io rispetto i vegani, ma nulla deve essere una forzatura. Mi pare una posizione stravagante, questa del Britannico in questione. La mia macelleria ha 250 anni, ha raccolto otto generazioni e quest’anno faccio festa per i miei 50 anni di attività! Ma io non ho mai lavorato carni di allevamenti intensivi. Le mie mucche vivono felici nel parco Nazionale dei Pirenei, in Catalogna, è tutta un’altra cosa. Bisogna trovare un punto di incontro eliminando gli allevamenti intensivi, perché questa è distorsione commerciale. Se gli animali soffrono non va bene, tra l’altro utilizzare solo alcuni tagli è sbagliato, bisogna onorare il sacrificio della bestia consumando ogni sua parte, perché dalla morte per nutrimento si onora la vita. L’ho scritto anche sulle tovagliette del ristorante con la mucca che recita la Divina Commedia. Basta tagli pregiati, no al filetto ma si a tutto il resto. Carnivori sì, ma con coscienza!
Se Dario Cecchin fa del nutrimento carnivoro un fatto praticamente religioso, dove il rispetto dell’animale, la sua felicità e il suo sacrificio in antitesi agli allevamenti intesivi sono la chiave di tutto che rende la tassazione inutile, per Stefano Momenté la carne è semplicemente "Il Male". Health & wellness Chef, fondatore di Veganitalia, scrittore e consulente ristorativo, è vegano da quarant’anni e ha pubblicato in Italia il primo libro di ricette vegan.
Momenté, cosa ne pensa della tassa sulle bistecche?
Sono convinto che ogni cosa che provochi danni sociali debba essere tassata. Il fumo, l’alcool, la carne e tutto quel che a cascata riversa pessime conseguenze sul pianeta e sulla società deve essere quindi sanzionato. La carne soprattutto è dannosa alla salute dell’uomo. Da anni mi batto con le varie associazioni che promuovono la sagra della porchetta o della braciola, perché non favoriscono il bene pubblico. L’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) sottolinea questo aspetto dannoso dell’alimentazione carnivora, ed essendo la carne un bene di lusso che fa male è necessario farla pagare. Anche perché se ci si ammala a causa della carne, le cure necessarie affinché si ritrovi il benessere sono pagate da tutta la società. Gli allevamenti intensivi disumani necessari a soddisfare l’enorme richiesta di carne e derivati sono la causa dei danni al pianeta che stiamo distruggendo e all’uomo. Per questa ragione sono favorevole alle tasse anche se l’obbligo non fa mai bene. Sarebbe meglio attuare precedentemente una educazione alimentare capillare a cominciare dalle scuole, dove le mense propongono menù assolutamente scorretti.
Alla capacità comunicativa e civile di questi due esempi di pensiero, si oppone la troppo spesso odiosa attitudine dei cosiddetti nazivegan, che predicano pace e rispetto per poi essere i primi a comportarsi da attaccabrighe quando si trovano in disaccordo. Sono quelli nei quali siamo incappati noi, chiedendo pacificamente una opinione sul tema. È il caso di Think Green, Live Vegan, Like Animals, sito per la tutela dei diritti animali, amore per la natura e cultura antispecista, che dall’alto della sua autorevolezza indaga sullo stile di vita alimentare della gente per offendere e bannare. Noi più che di chi ha strette vedute siamo preoccupati per la porchetta dei Castelli Romani, visto che nel nostro faticoso pellegrinaggio verso la virtù veniamo visitati sovente dalla visione di un bel maiale dorato con un limone in bocca tra due erte fette di casareccio di Genzano. Ma promettiamo di fare del nostro meglio per far di noi esseri migliori, abbracciando, insieme alla nostra croce, pure un mazzo di broccoletti romaneschi.