“Mi sento un po’ un’aliena. E sono venuta a Barcellona, dove risiedo da circa due anni, per sentirmi, appunto, meno aliena. Qui c’è una scena vibrante che ha accolto la mia idea di musica”, dice Mila Trani. Senza snobismo né vittimismo. Stiamo parlando di un’artista che ha semplicemente preso atto che in Italia, oggi, non c’è molto spazio per lei. “Per ora neppure Radio Rai mi ha passato”. “Per ora”, sottolinea, convinta che qualcosa presto potrebbe cambiare. Il pubblico italiano, però, avrà presto due ottime occasioni per conoscere la sua musica. Due, infatti, i concerti in calendario: il primo, il 18 settembre, al Bravo Caffè di Bologna; il secondo, il 21 settembre, al Blue Note di Milano. Insieme a lei, sul palco, Bartolomeo Barenghi alla chitarra, Sandrine Robilliard al violoncello e Martí Hosta alle percussioni. Al centro di questi eventi la presentazione del nuovo “Menta selvatica”, un concept album composto da otto brani che esplorano una femminilità in evoluzione e sempre più libera ed emancipata, attraverso miti, personaggi e rituali. Le composizioni mescolano sonorità mediterranee, jazz, ritmi caraibici, atmosfere flamenco e fado, con richiami al folklore italiano. Inoltre, nel disco, anche la cover di “Sentimento” degli Avion Travel. A noi verrebbe subito da dire: ehm, cosa c’è mai, qui dentro, che potrebbe non piacerci? Domande simili, tuttavia, abbiamo preferito farle direttamente a Mila.
La prima cosa che viene in mente ascoltandoti è la dimensione “moderna” del tuo jazz. Trovi l’ambiente del jazz italiano poco permeabile rispetto ad altre scene, europee o internazionali?
Sì. Nel senso che ho sempre fatto fatica a rimanere comoda nel perimetro del jazz nostrano. Mi sentivo diversa. E poco inclusa, dato che ho sempre spaziato tanto. Qui in Spagna, ad esempio, ai festival jazz si esibiscono tanti gruppi di world music. C’è tanta contaminazione. Sono venuta qui perché sapevo che avrei trovato un pubblico ricettivo. Una vera e propria rete di musica etno-jazz.
Il jazz del Regno Unito, negli ultimi 15 anni, ha vissuto un autentico rinascimento grazie soprattutto ai giovani. Hai cercato qualcosa di simile a Barcellona? E cosa hai trovato?
Diciamo che qui puoi trovare musica proveniente da tutto il mondo. I musicisti transitano ma poi si fermano, cosa che a Milano non accade. La cosa interessante è che c'è tanto dialogo tra linguaggi diversi e così si generano realtà molto stimolanti. Devo dire che il filone forse è un po' più simile a quello che propongo io rispetto all'Inghilterra, dove sono più presenti l’Afrobeat e il new soul. Qui senti proprio il Mediterraneo. E l’Africa, versante Marocco. Molta musica marocchina che si mescola con la musica del Sudamerica
Com’è il pubblico spagnolo?
Molto interessato. Questa è una città particolare, c'è una grande attenzione per la musica, per l'arte in generale. La musica riveste una centralità nella vita di quasi tutti. Vedi passeggiare la gente con uno strumento sempre addosso, la musica è in strada, in metropolitana. Qui c'è voglia di musica. E più preparazione, evidentemente, perché tutto passa anche attraverso un’educazione alla musica che ho riscontrato anche in altri paesi, soprattutto in Nord Europa. Ovunque abbia cantato, ho fatto sempre sold-out, ma non perché c’ero io sul palco. Perché c’è curiosità verso le proposte nuove.
Un pubblico anche giovane, quindi?
Sì. Anche i giovani sono interessati allo studio della musica iberica tradizionale e dei canti popolari provenienti dalle tante regioni della Spagna.
Immagino ci siano anche più locali dove esibirsi.
Sì, Barcellona è piena di turisti e questo aiuta. Nei locali più piccoli non ho suonato – per una mia scelta, visto che di gavetta ne ho fatta tanta –, ma qui le occasioni sono veramente tante.

La tua è una vocalità che viene da lontano.
Ho studiato jazz con Tiziana Ghiglioni, poi suonavo e cantavo nei vari locali a Milano, dove ho fatto anche swing con le big band. Quel tipo di vocalità è un linguaggio che ho interiorizzato. Ma che poi ho sentito non essere così aderente alla mia anima, per questo ho esplorato altri stili.
Qual è stato il momento in cui hai deciso di fare scelte artistiche (e di vita) diverse? Lasciando l’Italia?
Ho elaborato tutto durante il Covid. Ho deciso che avrei voluto vivere in una città dove poter passeggiare lungo il mare, sempre avvolta dalla musica. È stata una scelta ponderata, perché già conoscevo Barcellona. E a Milano, comunque, torno spesso.
Come sei arrivata a questo album, “Menta selvatica”?
La mia storia è lunga. Prima, con i Redsolution, proponevo un jazz contaminato di funk e sapori brasiliani. Poi con Elephant Claps, un gruppo a cappella, abbiamo girato il mondo. Nel frattempo ho fatto tante collaborazioni. Dirigo anche un coro femminile a Milano. La Malanga Voice Orchestra: 25 donne, con cui mescoliamo tradizione e sperimentazione.
In tutto ciò che proponi – ma soprattutto nella tua dimensione solista – è urgente il desiderio di affermare un certo tipo di femminilità?
Sì, certo, direi che ho fatto un grande lavoro sulla femminilità in evoluzione, ossia su una presa di consapevolezza rispetto a ciò che è (e rappresenta) il femminile, che è qualcosa di complesso e in continuo movimento. Ho fatto cammini importanti che mi hanno portato a un certo distacco dalle sovrastrutture e quindi verso un ascolto profondo di quello che è il proprio desiderio vitale. Quello più vero. Sento che sto realizzando qualcosa che per me ha a che fare con la parola libertà, al di là del fatto che poi vorrei che questo disco venisse ascoltato veramente, anche se è fuori dal mainstream. Diciamo che sono una donna che non ha timore di raccontarsi in un certo modo, con un linguaggio totalmente personale. Che arriva da un percorso che è ancora attivo ed è un percorso che va verso l'ascolto profondo di sé.
C'è qualche donna che ti ha ispirato negli ultimi tempi? O anche ora?
Beh, la prima che mi viene in mente è Michela Murgia, i suoi libri sono stati veramente fondamentali per capire che quello che pensavo non era folle. Ecco, ciò che desideravo non era strano. Essere indipendenti, autonome e forti è qualcosa di necessario affinché ci si possa prendere uno spazio nella società. Murgia mi ha aperto l'orizzonte sul femminismo. Poi ci sono le grandi cantanti, artiste che mi piacciono da sempre, come Tosca. O Elena Ledda. Credo di avere una certa connessione con la Sardegna (sorride, nda). Senza dimenticare le voci straniere: Marisa Monte, Vanessa Moreno, Marina João, Silvia Pérez Cruz.
Musica e femminilità. A questo punto si impone una domanda: quando vedi un certo tipo di femminilità pop (pensiamo a Elodie, Annalisa, Clara…), pensi che queste artiste, se potessero, farebbero scelte diverse o credi proprio che siano convinte nell’affermare quel tipo di femminilità così sbilanciata su un’estetica sexy e ammiccante, talvolta palesemente provocante?
Sono questioni che mi pongo con una certa regolarità e che pongo anche alle mie amiche donne cantanti. Su Annalisa posso dirti che ho seguito il suo percorso. Lei ha sempre avuto una vocalità importante e credo che, semplicemente, abbia ceduto ai diktat dell’ambiente. Credo che all’interno del pop ci siano regole che devi accettare, altrimenti sei out. Io non critico il pop di per sé, mi spiace solo che i modelli alternativi fatichino a emergere o non emergano affatto. Attraverso il corpo possiamo essere liberi, affermarci, ma non è detto che il corpo debba essere sempre erotizzato. Servono altri modelli. E sarebbe bello che chi gode di tanta visibilità ogni tanto lanciasse segnali differenti rispetto a ciò che significa fare musica.
Altre colleghe su cui ti sei fatta un’idea?
Beh, Elodie credo che sguazzi in quello che sta facendo, perché artisticamente è nata così. Forse sono stata un po’ delusa da Serena Brancale. Anche lei ha una vocalità incredibile, forse dopo anni di grande fatica ha deciso di entrare in una certa logica, accettare regole diverse. Il discorso è complesso, ma il succo è semplice: servono modelli diversi.
Un’alternativa.
Vedi, tutta la musica pop sembra ripiegata su un’estetica da discoteca. La gente non sa più cosa sta ascoltando, è ipnotizzata da prodotti studiati a tavolino. Un prodotto che segue le regole del consumismo. L’arte sembra sparita. Magari col tempo mi rimangerò tutto, ma al momento di musica, in campo pop, credo ce ne sia pochina.
Ci andresti a Sanremo, se ti chiamassero perché vogliono Mila Trani, mica per trasformarti?
Certo, a patto di non snaturarmi.
Una giovane cantante italiana che ti piace?
Mi ha stupito La Niña, perché viene dalla trap. Mi è piaciuto molto il modo in cui ha fatto propria la musica popolare napoletana. Il modo in cui è ripartita dalle proprie radici. Non mi aspettavo avesse successo e sono sinceramente felice per lei.

