Enrico Ruggeri torna in televisione con la seconda edizione de Gli occhi del musicista, in onda fino al 4 febbraio su Rai 2, in seconda serata. Al suo fianco, Flora Canto e una band, perché su questo punto Ruggeri non ha dubbi: “Suonare dal vivo dovrebbe essere la normalità, non l'eccezione”. La prima freccia, scagliata nel corso di un'intervista su Repubblica, è contro il playback e l'autotune. Il 17 gennaio uscirà il suo nuovo album di inediti, La caverna di Platone. Un titolo che porta con sé tutto il pensiero occidentale. “Platone immaginava uomini chiusi in una caverna, che prendevano le ombre proiettate sul muro per la realtà. Quando qualcuno riusciva a uscire, spesso decideva di tornare indietro, spaventato da ciò che aveva visto fuori”. Una metafora che Ruggeri vede come attualissima: il dibattito culturale è ormai ridotto a un duello sterile tra destra e sinistra, privo di profondità e dialogo. Come spiega lui stesso: “Alcune idee che ho sono vicine alla destra, altre alla sinistra. Ma un uomo libero dovrebbe comportarsi così, senza bisogno di incasellarsi”. Lo afferma con fermezza, ammettendo di essere spesso perplesso di fronte a temi di grande attualità, come il proibizionismo o il conflitto in Medio Oriente.
Il tema che lo fa più incazzare, però, è la povertà del linguaggio nelle canzoni di oggi. “Il problema non è l’argomento che viene trattato, ma come viene raccontato. Dostoevskij ha scritto Delitto e castigo per parlare dell'ostilità sociale. Dickens affrontava i crimini delle baby gang in Oliver Twist. Oggi si parla di tutto, ma con una povertà lessicale imbarazzante”, ed è su questo punto che arriva la bomba, perché per Ruggeri il simbolo dell'impoverimento culturale, altroché empowerment, è Tony Effe. Il cantante di Contessa ha un'utopia: “Sogno un futuro in cui a vedere Tony Effe non ci va più nessuno. C'è una povertà lessicale e intellettuale devastante, eppure quella musica ha un pubblico enorme”. Nonostante questo, la censura non è una soluzione. “Non esiste censurare, bisogna agire con onestà intellettuale. È giusto difendere anche artisti come Povia, se si vuole essere coerenti”. Secondo Ruggeri, parte del problema è anche nelle mani degli organizzatori di eventi: “Prima chiami un artista, poi lo mandi a casa. È ovvio che venga fuori un casino”. È un sistema fragile, incapace di sostenere le proprie scelte.
Nel suo nuovo album c’è anche un tributo a Lou Reed con la traccia Forma 21. Ruggeri affronta senza paura il timore della solitudine di fronte alla morte. “È una paura che abbiamo tutti. Ci chiediamo chi avremo accanto in quel momento, cosa vedremo. Ho assistito agli ultimi istanti di vita di diverse persone e nei loro occhi ho visto stupore. Come se stessero guardando qualcosa di inimmaginabile”. Un altro brano chiave del disco è Il poeta, dedicato a Pier Paolo Pasolini. Ruggeri lo descrive come un simbolo di libertà intellettuale, un uomo che non ha mai avuto paura di deludere i suoi stessi sostenitori pur di dire la verità: “Pasolini è un emblema. Come Gaber, è riuscito a criticare ferocemente la sinistra pur essendo di sinistra. Questo significa essere liberi”. C’è anche spazio per un altro tema caldo, la salute mentale. Ruggeri parla di suo padre, un uomo segnato dalla depressione: “Era un’intelligenza sprecata. Non ha mai lavorato, ha prosciugato risorse familiari per generazioni. Eppure, se fossi nato ricco, non avrei avuto la stessa rabbia che mi ha portato dove sono ora” Non mancano però i rimpianti: “Gli sono stato abbastanza vicino? Gli ho chiesto tutto quello che avrei voluto sapere? Questa incompiutezza mi tormenta”. Oggi Ruggeri si sente sia un testimone che un narratore della propria epoca. Ma i due ruoli non sono identici. “Il testimone osserva, il narratore aggiunge poesia a ciò che racconta. E una canzone, se vuole durare, non può limitarsi a descrivere la cronaca. È qui che molti rapper falliscono: restano bloccati nel momento, incapaci di costruire qualcosa che resista al tempo”. Qualcuno si ricorderà di Tony Effe tra sessant'anni?