Niente di nuovo sul fronte vaticano, dalla terra papale arrivano le solite (sentite talmente tante volte diventare quasi rassicuranti) problematiche. Del resto, come parlare di chiesa oggi se non in relazione alla possibilità della sua scomparsa? E questa, nel film Conclave di Edward Berger, tratto dal libro di Robert Harris, è dovuta alla voglia di certe parti della curia di tornare indietro: alla messa in latino, all’opposizione agli altri monoteismi, alla chiusura rispetto alla fluidità. Insomma, ristabilire i limiti tra ciò che è cristiano e ciò che invece non lo è. Campione di questa frangia conservatrice è il cardinale Tedesco, interpretato da Sergio Castellitto. Sul lato opposto della barricata c’è l’americano Bellini di Stanley Tucci, esponente liberal del clero americano. Diritti, inclusività, sguardo benevolo verso le minoranze: questi i punti del suo programma. E i cardinali dovranno scegliere a quale parte dare il loro voto. Il papa è morto, il conclave sta per avere inizio. Come ogni elezione, si attendono sorprese. E qualche nome inatteso. A traghettare la chiesa da un pontificato all’altro c’è il decano Thomas Lawrence di Ralph Fiennes, che ci sorprenderebbe solo se escluso dalla cinquina degli Oscar come miglior attore protagonista. Ma naturalmente non va tutto come previsto: il progressista Bellini non ha i voti, mentre si insinuano nella corsa al trono papale il cardinale nero Joshua Adeyemi (Lucian Msmati) e Joseph Trembley (John Lithgow). Parte quindi la corsa al sabotaggio, così da garantire un candidato left wing. O almeno decentemente aperto al ventunesimo secolo. Un uomo si fa largo nelle preferenze: il cardinale Benitez, nominato in pectore come vicario a Kabul. Uno di quelli che (pur non fumando il sigaro) vanno nelle periferie del mondo, dove di Cristo c’è più bisogno.
Le porte sono bloccate, i corridoi stretti, la Cappella Sistina blindata (più o meno). Nei primi minuti si insiste sul feticismo del rituale, dall’anello requisito del defunto pontefice al sigillo della camera ardente, alla vestizione del decano Lawrence. A fare da contraltare alla procedura millenaria qualche cumulo di sigarette lasciate per terra da anziani cardinali. Per il resto, nella trama si susseguono tutte le storture arcinote, che eliminano uno dopo l’altro i candidati: rottura del vincolo di castità, corruzione, ambizione mascherata da umiltà. Siamo alle solite, verrebbe da dire. Ed è effettivamente così. Meno divertente di Habemus Papam di Nanni Moretti, e ovviamente meno blasfemo del The Young Pope di Paolo Sorrentino, Berger cerca di trascinare il suo Conclave su un piano laico, scostandosi dal terreno della fede (ci sono solo un paio di dubbi su Dio di qualche cardinale sparsi qua e là). Un thriller politico, più che un’aspirazione teologica, con l’unico momento “rivelatore” lasciato per il finale. E sì, c’è pure, per otto minuti, Isabella Rossellini nei panni di suor Agnes, la quale si distingue per un attacco nei confronti della vecchia e ambigua curia. Probabilmente le basterà per essere nella cinquina selezionata dall’Academy, se non altro per la carriera (e ci mancherebbe pure). Per chiarezza: i film brutti sono altri. Le due ore sono godibili? Certo. Il sogno losangelino è giustificato? Sicuramente. Ma di originale c’è ben poco.