L’edizione dei David di Donatello del 2024 è stata profondamente italiana. Ovvio, si penserà, sono i nostri Oscar, il nostro red carpet. Le storie in concorso fanno riferimento a tematiche sociali che in Italia sono sentite in maniera particolare: Paola Cortellesi e la questione femminile con C’è ancora domani, Palazzina Laf per il problema del lavoro e dell’Ilva di Taranto e Cento domeniche, sempre legato al mondo del lavoro. Film legati in maniera essenziale al nostro Paese, al territorio. Ai cambiamenti sociali a cui stiamo assistendo (di questo aspetto ne aveva parlato a MOW la presidentessa dell’Accademia del cinema italiano Piera Detassis). Le pellicole vincitrici e gli autori coinvolti hanno dimostrato il loro valore, e il fatto che il pubblico abbia preferito questo genere di storie ad altri film più “spettacolari” (ricordiamo l’exploit di Cortellesi), ci fa pensare che in realtà il pubblico abbia voglia di opere che parlino dell’oggi. E questo è un bene. Tra le varie sezioni dei David, però, esiste anche quella per il Miglior film internazionale: a portarsi a casa la statuetta è stata Justine Triet con Anatomia di una caduta. Gli altri candidati erano Oppenheimer di Christopher Nolan, Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, Foglie al vento di Aki Kaurismäki e As bestas di Rodrigo Sorogoyen. Peccato che, nonostante i nomi, di questi film (e dei loro autori) non ci sia stata praticamente traccia. Nessuna clip, nessun ospite oltre a Triet. Ma ha davvero senso creare una sezione apposita per ridurla a un semplice discorso di ringraziamento? Di nuovo: il cinema puramente italiano merita di essere elogiato, quest’anno addirittura più di altre edizioni, ma dei film come quelli non possono essere ridotti a comparse. Peraltro, Justin Triet è stata l’unica a “premiare”, nel suo discorso, Alice Rohrwacher, la regista più nota all’estero e già in odore di Oscar con Le pupille: ai David, però, per la sorella di Alba non ci sono stati premi.
Al di là della questione se fosse giusto o meno premiare La chimera (gli altri film valevano senza dubbio il David), c’è un altro elemento che ci differenzia rispetto alla postura di altre manifestazioni internazionali. Ce li vedete gli Oscar che consegnano i premi ai costumisti, scenografi e ai truccatori in una stanza separata? Avrebbero accettato Steven Spielberg o Christopher Nolan (solo per citare due nomi) che i professionisti che hanno collaborato alla realizzazione dei loro film venissero relegati in un sottoscala? Fatichiamo a crederlo. È chiaro che il cinema italiano ha una propria specificità, lontana dall’enormità dei kolossal americani. Questo, però, non giustifica la scelta della direzione dei David, tantomeno ci convince la spiegazione data da Carlo Conti, secondo il quale le diverse location volevano mostrare la ricchezza degli studi di Cinecittà: di tutte le occasioni per fare divulgazione, perché si è scelto il giorno della consegna dei premi più importanti? Un’ultima questione, poi, forse la più controversa e non strettamente legata ai David di Donatello appena conclusi. Già tempo fa Pierfrancesco Favino aveva espresso le sue perplessità rispetto all’insistenza nell’uso del doppiaggio, prerogativa italiana. Elio Germano, proprio in queste ore gli fa eco. In sostanza, il doppiaggio avrebbe perso la sua funzione. Difficile decidere chi abbia ragione, se gli attori o i doppiatori, ma certo è che questa è un’ulteriore differenza rispetto al resto delle industrie. In definitiva, a vincere (giustamente) è stato il cinema italiano. Alcuni aggiustamenti nel corso della cerimonia potevano essere fatti. Quantomeno per non lasciare gli ospiti sulla porta di casa.