Le Olimpiadi ce le saremo anche levate dalle palle, ma le polemiche pallose sulle Olimpiadi no. Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano ha parlato di “giochi proibiti e squallidi sulla pelle degli olimpionici”. Il problema? È sempre uno, a quanto pare: il sesso. Per tutto il tempo dei Giochi Olimpici le persone non hanno fatto altro che parlare di sesso, secondo la Lucarelli. “Lo sdoganamento (mai così volgare) della sessualizzazione degli atleti”, scrive Selvaggia. Forse possono essere sessualizzati con classe, magari ingaggiando dei fotografi specializzati in boudoir per l'occasione. Ma il problema è la sessualizzazione o la volgarità? Il fatto che Gimbo Tamberi abbia gettato la fede nuziale nella Senna (ok, gli è caduta, ci fidiamo) forse era un segno premonitore, ma è vero che dalla cerimonia di apertura queer fino alle polemiche su Imane Khelif non si è fatto altro che discutere di generi sessuali, poi c'è stato il pacco di Anthony Ammirati, le foto delle ginnaste in spaccata che nemmeno erano prese dalle Olimpiadi in corso e la rivolta di Thomas Ceccon, stufo di leggere commenti sulla sua bontà fisica. Ed eccoci al punto: la Lucarelli apre il suo articolo ricordando Michela Murgia e chiedendosi cosa ne avrebbe pensato lei, di queste Olimpiadi.
Michela Murgia si domandava perché ci sia una tendenza a sessualizzare le famiglie non tradizionali e romanticizzare quelle binarie. Spiegato: secondo la scrittrice sarda quando si parla di coppie non prettamente eterosessuali si fa fatica a pensarle innamorate perché la curiosità si spinge principalmente verso ciò che possono combinare a letto. Una famiglia queer, diceva la Murgia, è come una famiglia normale, né più né meno. Insomma, non si pensa soltanto a come rendere più acrobatici gli accoppiamenti. Questo, spiace per la Lucarelli, ma è un argomento contro la sua tesi, e a sua volta l'articolo della Lucarelli è contro la tesi della Murgia. Il fatto che durante le Olimpiadi non si sia fatto altro che sessualizzare gli atleti e le atlete dimostra che non sono soltanto le famiglie non tradizionali a essere oggetto di pensieri bassi. A sua volta, quello che la Lucarelli chiama il “cameratismo becero di chi tratta i corpi come oggetti” ci racconta qualcos'altro sul concetto di normalità. A leggere l'articolo della Lucarelli si ha come l'impressione che la sessualizzazione dei corpi sia un problema generale e diffuso. In altre parole, sarebbe la normalità. Tutti pensano sempre al sesso, ci può stare, a maggior ragione se si parla di corpi come quelli degli atleti, rappresentati come ideale di bellezza almeno dai tempi delle ceramiche greche in avanti, se non dalla body positivity di quella che viene considerata una delle prime sculture, la Venere di Willendorf, risalente circa al 30000 Avanti Cristo. La parola ginnasta, tra l'altro, deriva dal greco Gymnos, che indicava proprio la nudità. Ci può essere nudità senza sessualizzazione? Torniamo alla normalità.
Una normalità greve e triviale che la Lucarelli rintraccia a partire dai commenti sui social e dalle immagini decontestualizzate postate in rete, relative ad Olimpiadi passate e spacciate per attuali. Il problema è che venga considerata questa percentuale di umanità come assoluta. Davvero non si è parlato di sport alle Olimpiadi ma soltanto di sesso? La normalità è davvero rappresentata da quella percentuale di utenti social che non ha nulla di meglio da fare che commentare le porcherie che gli passano per la testa sotto le foto equivoche degli atleti in gara, o si vuole far passare come universale la situazione patologica di una minoranza? Il punto è questo, ed è vecchio tanto quanto Facebook. I corpi non potranno mai smettere di essere l'oggetto del desiderio sessuale, e non c'è nulla di perverso in tutto questo. Per tornare alle parole della Murgia, che senso avrebbe romanticizzare la foto del corpo di un atleta? Lo sport è sport, e la sessualizzazione ne è un correlato come può esserlo di una spesa al supermercato, tra patate e cetrioli, come può esserlo di un pomeriggio al mare. È inutile e ipocrita scandalizzarsi. I gesti degli atleti, secondo la Lucarelli, “vengono trasformati in ammiccamenti erotici”, e “a cadere vittime del fenomeno sono stati perfino gli atleti maschi”, come se la sessualizzazione non fosse trasversale a cui hanno diritto anche le donne. Cos'è, patriarcato? La sessualizzazione è un diritto, punto. Commentare sui social, invece e purtroppo, per qualcuno è un dovere. Un imperativo morale. Ma si tratta sempre di una minoranza, in confronto ai milioni di persone che, dai dati Auditel, ogni giorno hanno guardato le Olimpiadi, magari sessualizzando ma a casa loro, senza per forza scriverne sui social, sul blog o sul Fatto Quotidiano.