Fico, la Città del Cibo di Bologna, è stata pensata come un grande laboratorio italiano del gusto: ristoranti regionali, mercati, laboratori, punti vendita di eccellenze locali. L’idea era ambiziosa: raccontare l’Italia a tavola in un unico grande parco, combinando intrattenimento e formazione. Ma oggi il sogno è appeso a un filo. Il bilancio 2024 segna una perdita di 4,7 milioni e un patrimonio netto negativo per 977mila euro. Cinque mesi di chiusura per restyling e i costi da 6 milioni non hanno aiutato, ma il trend negativo si trascina da cinque anni: oltre 25 milioni di perdite accumulate. Le difficoltà sono arrivate soprattutto dopo l’avvio: costi di gestione molto alti, ritardi nei lavori, investimenti ambiziosi e un modello di business che fatica a trovare sostenibilità. Non è detto che l’idea fosse sbagliata, ma alcune scelte logistiche e manageriali hanno reso il progetto fragile. L’imprenditore Oscar Farinetti ha avuto il merito di portare nel mondo una visione nuova del food italiano. Ma è bastato davvero? Abbiamo chiesto a Roberta Schira, nota critica gastronomica, scrittrice e giornalista, di dirci come la pensa: "Il caso Fico-Grand Tour Italia è emblematico. Un progetto partito con grandi ambizioni, ma che oggi registra solo perdite. I Farinetti hanno versato 7 milioni per tenere in vita il progetto. E questo va riconosciuto come un atto di responsabilità imprenditoriale".

I Farinetti non hanno tirato i remi in barca? No, con la loro società Eatinvest hanno messo sul piatto oltre 7 milioni per far ripartire il parco e sostenere un sogno che resta grande e innovativo. Ma come sottolinea Schira, non è stato abbastanza: "Oscar Farinetti ha avuto il merito di portare nel mondo una visione nuova del food italiano. Ha un intuito straordinario e una capacità di storytelling ineguagliata. Ma la visione da sola non basta. Il caso Fico insegna che servono anche basi solide, scelte logistiche e manageriali fondate su analisi concrete". E qui sta la vera sfida: "Un progetto ambizioso richiede strutture solide, piani realistici, capacità di adattarsi. Il sogno va alimentato con strategia". Schira aggiunge un punto importante sul coraggio e la responsabilità: "La mia non è una critica facile. Anzi, penso che l’ambizione serva, eccome, nel nostro settore. Ma deve saper riconoscere quando cambiare rotta. E, se c’è qualcosa che rispetto in Farinetti, è il fatto che ci ha provato davvero. Ha sognato in grande, e si è assunto in prima persona l’onere del fallimento. Questo, nel nostro tempo, è raro". Il caso Grand Tour Italia (ex Fico) sembra un monito: rischi, debiti in aumento, investimenti e progetti futuri da completare, ma anche coraggio, intuito e una visione da esportazione. Come conclude Schira: "Farinetti ha avuto il coraggio di innovare e di rischiare, e questo gli va riconosciuto, ma ora servono basi solide, scelte realistiche e un modello sostenibile. Ci ha provato e ci ha messo la faccia. Anche quando le cose non funzionano".
