Avevamo archiviato la cosa con dolore, dopo aver toccato il fondo di una lunga vicenda di possibile chiusura annunciata tra capo e collo undici anni fa. Si vociferava da tempo che il Caffè della Pace avrebbe chiuso i battenti e non volevamo crederci. Nessuno voleva credere che quell’angolo di Roma sarebbe sparito, contribuendo al depauperamento di questa città della sua bellezza, rendendola più povera e sola. Sono state fatte lotte, pianti, petizioni con lunghe occhiate malinconiche a quello splendido quadro sui sampietrini che stavano per portarci via i preti tedeschi cattivi, abbiamo resistito, ma alla fine il grande pannello di truciolato è apparso a sbarrare l'entrata del salottino in stile Belle Époque. Niente più specchi antichi, spariti i tavolini sotto la vite americana, nulla restava di quel momento di eternità immortalato in una scena di Roma vecchia frequentato da Ungaretti, Woody Allen, Madonna, Fernanda Pivano, Julia Roberts, lì all’angolo tra via di Parione e il Chiostro del Bramante.
Passeggiare a Tor Millina, dietro piazza Navona, era fare sega a scuola per farsi una sleppa di pizza bianca dallo Zozzone in via del Governo Vecchio, che la riempiva ancora calda di Nutella e ricotta, sparito anche lui e rimpianto da un’intera generazione orfana di quei tempi in cui il quartiere si poteva ancora vivere da romani. C’erano le frescacce da comprare nei pellegrinaggi da Too Much, il negozietto di assurdi cimeli conosciuto da tutti i ragazzetti di questa Roma bella. Ora al suo posto c’è una elegante struttura turistica a far da competitor alle altre diecimila sorte quest’anno, e c’era il Bar della Pace, all’angolo con il Bar del Fico, dove si gioca a scacchi tuttora, accanto ad un'altra istituzione del quartiere, il Jonathan’s Angels, rubatoci dal potere ecclesiastico, dicono i maligni. Quella era Roma ed era casa.
Senza il salotto, nato nel 1890 che fece innamorare tutto il mondo intellettuale, non c'era più ragione di andarci. Oggi il Caffè della Pace ha riaperto lasciandoci tutti bouche bec e noi abbiamo ripercorso Tor Millina scavalcando mucchi di turisti che divorano vongole nei loro spaghetti scotti, nel bailamme di venditori ambulanti, ritrattisti, finti limoni di Sorrento ripieni di sorbetti, camerieri che fanno finta di non sapere quanto si mangi male nei ristoranti dove lavorano, ma tanto i turisti ingoiano qualsiasi cosa. “Due spaghetti stasera?”- Ci chiede fermandoci il cameriere di una delle infinite mangiatoie del quartiere – “Noi qui non ci mangeremmo neanche morti, perché è turistico” - rispondiamo prendendoci confidenza – “Neanche io” – chiosa lui con una grassa risata – “Chi c’è in cucina, Aziz?” - alludendo al cuoco di cultura culinaria lontana dalle ricette di tradizione romanesca – “No, non si chiama Aziz, si chiama Ridoi”- ride – “Gli italiani non vogliono lavorare in cucina sottopagati, mentre i cuochi del Bangladesh lavorano tanto e a pochi soldi. Però non posso dirlo, c’è il mio boss che mi guarda”.
Allora è vero che a Roma lavorano in cucina soltanto gli immigrati sottopagati. Più avanti il Bar della Pace è effettivamente aperto, con i tavolini di marmo rotondi ricolmi di alti bicchieri colorati, sembra che non abbia chiuso mai, eppure da undici anni quell’angolo languiva nel silenzio dell’abbandono. “I preti tedeschi avevano alzato l’affitto - l’Istituto Teutonico Pontificio di Santa Maria dell’Anima, n.d.A - la vecchia proprietà non accettava e così il bar ha chiuso” - ci dicono – “il palazzo è diventato un hotel a cinque stelle per volontà dei preti” – tutto il centro di Roma è loro – “e hanno ridato il bar in gestione ai proprietari della Trattoria di Parione, che non c’è più”. Ma dentro è uguale a prima? “No, i vecchi gestori si portarono via tutti gli arredi”. La notte romana è ancora tiepida nonostante un principio di autunno che invita a coprirsi, la gente distratta chiacchiera in via della Pace ai ritrovati tavolini. Ora c’è anche il servizio di cucina.
“È contenta che il Bar della Pace ha riaperto?” Chiediamo a una entusiasta signora conoscitrice del Bar. “Contentissima! Anche se non c’è più Bartolo Cuomo” – il mattatore delle notti romane scomparso a 52 anni – “sono soddisfatta”. Noi non vorremmo entrare a visitare i nuovi salottini per constatare che invece i tempi sono davvero cambiati e il Bar della Pace è stato inghiottito per sempre dall’omologazione imposta dalla società dei consumi, in un’ottica pasoliniana, rimpiazzato da un una copia sbiadita senza cuore, frutto di un complotto impostore che non ha riguardo per la memoria, in nome del profitto. Nonostante sia tuttora bellissimo questo antico caffè ha perso la sua unicità, diventando un bar elegante qualunque, dove si consumano anonime carbonare senza poesia. Come del resto ormai in tutta la Capitale.