Eppure, per Fulvio Abbate pane, rose, piatto, grano rendono ogni pietanza evocata da Chiara Valerio (e pure dalle parole della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein) un vaniloquio, una conversazione da “pizzata”…
Dal palco del Pd, nella romana piazza del Popolo, rivolgendosi a militanti, simpatizzanti e turisti curiosi che intanto bivaccano al bar Rosati, la scrittrice e matematica Chiara Valerio (che di recente, in risposta all'appello di Elena Cecchettin, sorella della vittima di femminicidio, Giulia, su X ha scritto: “Non dobbiamo gridare AIUTO. dobbiamo gridare AL FUOCO ogni volta che qualcuno alza una mano, perché non è un problema di UNA, è un problema di TUTTI”) ha esordito pronunciando un concetto a suo dire presente nella “pasta aglio, olio e peperoncino”, testuale. Se dovesse trattarsi di una indicazione politico-culturale, sarebbe come ritenere che il gesto più mirabile da compiere a Roma sia raggiungere la trattoria “Cencio La parolaccia”; vicolo del Cinque, Trastevere. Estaticamente felici nell’essere accolti già sull’uscio dal coro del personale con un pittoresco augurio decisamente autoctono: “Benvenuti a ‘sti frocioni e a 'ste grandissime zoccole”, non meno testuale. Oleografia verbale diportistica popolaresca, canti e proverbi, noterebbe Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere, concepiti “dal popolo per il popolo” o forse dalla sua controfigura tratta dai dépliant offerti da turisti e acchiappini dei bujaccari agli stranieri in sosta davanti a Colosseo, Ara Coeli o perfino Tomba di Nerone. Un plateale esordio che dovrebbe garantire a Chiara Valerio una candidatura con elezione certa per il prossimo Parlamento Europeo. Così almeno suggerisce la “quinta colonna” del Nazareno, sede della direzione del Partito democratico, attualmente in comodato d’uso a Elly Schlein. Di fronte a tali semplificazioni iconiche, cabaret letterario, metafore occasionali e apodittiche che raggelerebbero ogni semiologo consapevole della complessità del linguaggio, tragico a dirsi, il catasto ideologico d’ogni sapere pregresso appare inefficace, addirittura un ingombro insostenibile, soprattutto quando filosofia e perfino dialettica ordinaria si ritrovano reificate in un’emoticon a cuoricino. Eppure, rovistando nei sedimenti dell’iconosfera simbolica della sinistra, sarebbe perfino opportuno valutare i singoli pesi specifici dei singoli significanti. Tra “il pane e le rose”, di retaggio marxista, e la “pasta aglio, olio e peperoncino” innalzata come feticcio non meno simbolico da una scrittrice che condivide con Schlein, in modo del tutto siamese, la passione per le narrazioni fantasy, i giochi di ruolo e l’animazione manga giapponese, come può mostrarsi davvero convincente per ottenere consensi?
Incancellabile, in questo senso, per chi abbia senso del limite e delle proporzioni, Schlein che durante le primarie canta Occhi di gatto al karaoke di Radio Rock. Rende poi omaggio al cartone di Lady Oscar e infine, manifesto programmatico nella prospettiva di una definitiva conquista del Pd, cita nel profilo Twitter un “pollo di gomma con carrucola”, dove il riferimento è, appunto, a un videogioco anni Novanta, Monkey Island. Si potrà definire tutto ciò semplice schiuma ludica? Accettabile se riferita al diletto adolescenziale, risibile se matematicamente trasposta nella progettualità politica, al lessico stesso destinato appunto rendere “appetibile” la sinistra. Tornando all’ingombro della memoria politica significante, si sappia che Bread for all, and Roses too giunge a noi nel 1911 dalle labbra dell’attivista statunitense per il suffragio femminile e per i diritti di donne, lavoratori e minori nelle fabbriche, Helen M. Todd. Il pane e le rose, appunto. Imperdonabilmente, abbiamo per pochi istanti sottratto attenzione alla “pasta aglio, olio e peperoncino” evocata dalla scrittrice e matematica Chiara Valerio, non resta allora che fare ritorno al suo primo piatto ideale, inquadrandolo nella cornice di Piazza del Popolo, tra le parentesi architettoniche del Valadier che ne delimitano il perimetro urbanistico, i gazebi temporanei, le bandiere anodine, poco più di un logo, del partito che temporaneamente la presidia, l’indistinto della folla, sempre meno “massa” e sempre più partecipanti e “convenuti” in pullman, come già al tempo del partito di Berlinguer e declinazioni militanti successive. Nello stesso sito, era l’aprile del 1989, un Pci già declinante a curarne l’organizzazione, ricordo un meraviglioso e solare concerto di Francesco De Gregori, dove, restando in tema alimentare, brillava il verso che chiude una delle sue più assorte canzoni, La storia. Con esattezza, questa, sì, esemplare, sia in senso epico sia pienamente emozionale: “Siamo noi questo piatto di grano”. In un soffio, la “pasta aglio, olio e peperoncino” di Chiara Valerio svanisce davanti al nitore assoluto che la parola di De Gregori consegna poeticamente, simbolicamente allo sguardo, restituendoci ciò che Paolo Volponi riferendosi all’eredità dell’amico Pier Paolo Pasolini il giorno dopo il suo assassinio, assimilava “all’epopea degli umili”. La povertà, il riscatto, la scintilla pubblica e interiore della lotta per i bisogni e la dignità restituiti in modo terso e immediato, fuori da ogni sovrastruttura letteraria: piatto di grano, sì. In un ideale spareggio semantico, si potrà dire che stese sul medesimo filo: pane, rose, piatto, grano rendono risibile ogni pietanza evocata da Chiara Valerio in un vaniloquio, flatus vocis, compiaciuto da conversazione da “pizzata” tra reduci dall’Erasmus o dalla Scuola Holden o dalla suggestione degli unicorni innalzati nella stessa piazza durante i funerali di Michela Murgia. Unicorni a loro volta significanti del fantastico politico adolescenziale proprio dell’amichettismo che almeno al momento presidia quasi per intero il perimetro (o almeno è questa la percezione che ne se ha) della sinistra letteraria “generazionale”, quasi una comitiva, nella prospettiva di una ben perseguita irrilevanza definitiva. Alla fine, perfino il sito del Gambero rosso, con un editoriale di Loredana Sottile, sente il bisogno di smontare la retorica sentimentale di Chiara Valerio riferita alla metafora amorosa del cibo che escluderebbe ogni conflitto, spiegando che “aglio, olio e peperoncino è un mondo che non esiste, e la cucina è piena di rivalità”. Se ciò non bastasse, a conferma dell’incancellabile lotta di classe perfino in ambito amoroso, potremmo citare l’episodio de I nuovi mostri, dove Gassman e Tognazzi, rispettivamente cameriere e cuoco, vecchi zozzi osceni omosessuali, trasformano la cucina in un campo di battaglia, in attesa che siano pronte le “zuppone alla porcara”.