Dopo lunghe settimane di tentennamenti, adesso l’Unione europea ha deciso: il Vecchio continente segue l’esempio di Joe Biden e degli Usa, e alza, di parecchio anche, i dazi per le importazioni delle auto elettriche cinesi. Una mossa forse necessaria, visto l’andamento del settore e la strapotenza, che cresce sempre più, del Dragone; ma che allo stesso tempo rischia di incrinare i già difficili rapporti tra i due blocchi. Comunque sia, questa soluzione, si legge su Libero, si è resa indispensabile visto come “le importazioni di Bev (veicoli elettrificati, ndr) cinesi rappresentano una minaccia di pregiudizio chiaramente prevedibile e imminente per l’industria dell’Unione europea”; nello specifico, sottolinea il giornalista Michele Zaccardi, “la Commissione Ue ha deciso di aumentare fino al 48,1%, a partire dal 5 luglio, i dazi” in questione. Questo scenario non è altro che la conseguenza dell’indagine “anti-dumping” partita lo scorso mese di ottobre, con cui l’Europa avrebbe scoperto come, scrive ancora Zaccardi, “la catena del valore di veicoli elettrici a batteria in Cina beneficia di sovvenzioni sleali, che costituiscono una minaccia di pregiudizio economico per i produttori dell’Ue”. Curiosa la modalità in cui sono stati applicati i dazi. Questi ultimi, infatti, sono diversi a seconda delle aziende: “Per Byd - si legge su Libero - l’asticella è stata fissata al 17,4%, per Geely al 20% e per Saic al 38,1%. Negli altri casi […] sono fissati al 21% per i produttori che hanno collaborato all’inchiesta della Commissione e al 38,1% per quelli che non hanno collaborato”. Inevitabile la (dura) risposta di Pechino. In Cina, infatti, i dazi sono definiti “‘dannosi’ per gli interessi europei e l’indagine - riporta ancora Zaccardi - una forma di ‘protezionismo’. La Camera di commercio cinese presso l’Ue ha espresso ‘shock, grave delusione e profonda insoddisfazione’”. Eppure, a essere danneggiati non sono solamente le aziende cinesi…
Infatti, “nella rete dei dazi - scrive Sergio Giraldo su La Verità - cadranno anche le auto di case occidentali fabbricate in Cina, segnatamente quelle tedesche”. Non è una grande novità che alcune case europee hanno ampliato la loro rete di affari anche nella grande, per dimensioni, Repubblica Popolare guidata da Xi Jinping, spostando lì anche la forza lavoro, aprendo fabbriche. Volkswagen, che è in Cina da oltre quarant’anni, Bmw e addirittura Mercedes; insomma, tanto per far capire la quota asiatica all’interno dell’automotive tedesco, “tra un terzo e un quarto del suo margine viene dal mercato cinese. - E - ieri i titoli delle case tedesche sono scese in borsa”. Non una grande novità, a essere sinceri. Nelle ultime settimane, infatti, dalla Germania all’Unione europea sono arrivate molte pressioni “anti-dazi”. Ma se i tedeschi saranno danneggiati, allo stesso tempo lo sarà anche un’altra azienda francese (o italiana?). Si tratta di Stellantis, guidata dal suo Ceo portoghese Carlos Tavares e dal presidente italiano, di nascita newyorkese, John Elkann. Questo colosso europeo, infatti “ha stretto da poco un accordo con la cinese Leapmotors per la produzione di automobili elettriche al di fuori della Cina - e forse proprio a Mirafiori -. La decisione della Commissione - sottolinea Giraldo - segna un cambiamento epocale nelle scelte sul commercio internazionale”.