Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova. Seguendo la celebre regola di Agatha Christie potremmo dire che “adesso abbiamo la prova” che gli italiani giudichino i loro politici più che dall’amore verso la “cosa pubblica” per il loro slancio verso le “cosine private”. Da quando, per così dire, l’elevazione spirituale di Vittorio Sgarbi non coincide più con l’elevazione fisica, sembra che gli elettori gli abbiano voltato le spalle (forse, anche perché, adesso, a voltargli le spalle, si sentono più al sicuro). Di sicuro, ad affievolirsi, in Sgarbi, non è stato il suo slancio verso l’arte. Quella che è venuta meno è, diciamo, l’attenzione (e soprattutto la “tensione”) verso la performance-art, ossia la pratica del gesto fisico. Agli italiani, parrebbe di capire, lo Spirito interessa poco: gli italiani sono temporali, secolari per così dire. Del venire meno del… No, del venire meno (punto) è stato lo stesso Vittorio a parlarne e spesso. Così come egli non ha mai nascosto la sua visione del mondo e dello Spirito come del tutto coincidenti: l’attrazione verso un’opera d’arte era della stessa ispecie dell’attrazione nei confronti dell’opera vivente.
Probabilmente, questo accavallarsi (e poi disaccavallarsi) dei due piani della “conoscenza” gli hanno nuociuto, come se senza la pratica artistica della teoria non si sapesse che farne. Abbiamo citato, ad apertura, Agatha Christie. In questo senso potremmo dire che Vittorio Sgarbi è il secondo indizio, e fin qui potrebbe trattarsi di una coincidenza, se non fosse sopravvenuto il terzo indizio, del quale parleremo. Occupiamoci intanto del primo indizio, dell’archetipo: Silvio Berlusconi. In Berlusconi, gli italiani vedevano ciò che egli, sovrabbondantemente, mostrava: una passione immarcescibile verso gli “atti”. In questo senso potremmo dire che sì, Berlusconi era un uomo del “fare”: se le faceva quasi tutte. Mentre l’arte pittorica, come sappiamo, era parcheggiata in un capannone (non si è capito ancora se Berlusconi fosse un grande collezionista o no), l’arte del balletto, soprattutto del balletto sulle “punte”, lo circondava. Egli viveva, per così dire, l’arte del balletto sulla sua propria punta. E questo deliziava gli italiani, un popolo di appassionati di balletto sulle punte. Ecco, togliendo le punte, poi, le ballerine, dove ballano?
Consci dell’insegnamento storico-politico di Silvio Berlusconi, viene quindi consequenziale attribuire l’insuccesso di Sgarbi alle elezioni europee (dove ha preso soltanto poco più di 22000 preferenze) al declino di attività che, come detto, riguardano più le cosine private (ma anche le cosone) che la cosa pubblica. Il che porrebbe quesiti importanti nei confronti della stima di un pensiero: sappiamo, infatti, che al venire meno di alcuni sensi se ne sviluppano altri, soprattutto se il senso che viene meno è il senso dei sensi. Vittorio Sgarbi, secondo questa vulgata, sarebbe dunque in uno stato mentale di ultrattività: per quale motivo l’elettore non vota chi, già intelligente di suo, sarebbe in una situazione tale da diventare intelligentissimo? E veniamo al terzo e definitivo indizio: il generale Roberto Vannacci. Egli sì, ha prodotto libri, in cui ha espresso il proprio pensiero. Ma di certo non possiamo mettere a confronto la produzione scrittoria di Vannacci con quella di Sgarbi. C’è un però. Mentre l’immagine di Sgarbi propendeva sempre più verso il basso, incurvandosi tristemente sui marroni della tela manomessa o meno, mentre tutti si chiedevano, addirittura, se la candela di Sgarbi esistesse oppure no, Roberto Vannacci scalciava l’acqua vigoroso mostrando una gialla pianta del piede che dava la stura a fantasie inenarrabili.
Mentre Sgarbi difendeva il latino, Roberto Vannacci importava dall’oriente un kimono in puro stile Manuel Fantoni accaparrandosi il desiderio trasversale delle cosiddette minoranze. Da un lato Vannacci toglieva con le parole, dall’altro donava con generosità la propria immagine a chiunque. Mentre Sgarbi si perdeva dietro immagini dipinte, Vannacci esplodeva nelle fotografie, attirando schiere di ammiratori pronti a mettersi al suo servizio, come Sylvie Lubamba. Quella di Vannacci è stata un’esplosione liberatoria di voti, una esondazione di preferenze: il più votato della Lega con oltre 500.000 “decime”. Spiace dirlo, ma nell’immaginario italiano è Vannacci il nuovo Sgarbi. Pronto, attivo, incursorio. Sprezzante del pericolo, subito in piedi, sull’attenti! Così, con il terzo indizio, ne abbiamo la prova: agli italiani, come diceva Carlo Verdone, piace “sempre teeesa al miglioramento, sempre teeesa all’innovazione, sempre teeesa al progresso civile e culturale”.