“Trovare un capro espiatorio nel capo che guadagna un sacco di soldi è facile. In realtà le cose sono un po’ più complesse di così”, dice il direttore di Quattroruote, Gian Luca Pellegrini. Il “capro espiatorio” in questo caso sarebbe Carlos Tavares, il manager “abile ristrutturatore” e “tagliatore di costi” che certamente ha fatto guadagnare moltissimi soldi alla famiglia Elkann e agli azionisti di Stellantis. Si parla di circa 23 miliardi. “Ha anche mantenuto la promessa di tenere in vita tutti i marchi, che erano tantissimi, perché il risultato della fusione Fca (Fiat e Chrysler) con Psa Peugeot”. La verità, però, è che “tutti vanno male”, e anche se “Stellantis va peggio degli altri” la contrazione del mercato si vede in tutto il mondo. E Tavares non è stato neanche la causa di tutti i mali del gruppo, che ha avuto molti “problemi relazionali”: “Prima di tutto Stellantis è un’azienda americana”, “È dall’America che vengono i soldi. E là si è messo contro i sindacati e i concessionari. Non si era mai visto che questi scrivessero al presidente della Commissione Ue per sconfessare la strategia del loro ceo”. Si diceva anche che Tavares consigliasse i fornitori a delocalizzare, chiede ancora Fabio Dragoni nella sua intervista per La Verità: “Assolutamente sì e lo ha anche detto pubblicamente esaltando il ruolo del Nordafrica”.
“Sapevamo tutti che Tavares sarebbe andato in pensione l’anno prossimo”: il suo addio, quindi, per Pellegrini non è stato sorprendente. Ci sono poi le tensioni con la politica e il governo, che dopo aver tagliato il sostegno alla filiera dell’automotive dalla legge di bilancio lo fa ricomparire. “Sembra quasi un pizzino inviato a Tavares, che si opponeva alla revisione del regolamento sulle auto elettriche”, ipotizza ancora il direttore di Quattroruote. Inizialmente pare che l’ex ceo fosse contrario alla svolta elettrica, mentre “nell’ultimo periodo sembra che le sue idee fossero cambiate. Il green deal resta un piano che “non funziona. Le premesse sono sbagliate dall’inizio. È una situazione di stallo. Non si può andare né avanti né indietro. Von der Leyen ha avocato a sé il dossier ora esplosivo. Non stiamo parlando di centinaia di migliaia di occupati. Ma di milioni di lavoratori. Si sono resi conto che è una stupidaggine ma l’elettrico è diventato ormai un’istanza politica identitaria”. E le multe promesse ai costruttori, secondo Pellegrini, non arriveranno: “Secondo me verrà finalmente introdotto il concetto di neutralità tecnologica. Ovvero, io ti dico dove devo arrivare con le emissioni ma tu ci arrivi un po’ come vuoi. Non ti dico io quali sono le tecnologie”. Pensare alla crisi del mercato dell’auto come legata unicamente all’elettrico, però, è riduttivo. In Italia mancano all’appello 300mila clienti. Sono aumentati tantissimo i prezzi. Abbiamo vissuto una vera e propria bulimia normativa per cui le macchine devono essere sempre più pulite. Quindi sempre più tecnologia. Sempre più costose”. E questo, ovviamente, si ripercuote sul prezzo delle auto: “Le utilitarie sono diventate antieconomiche. Dal 2019 ad oggi il prezzo medio di un’automobile è aumentato da 19mila a 29mila euro. Ma non è che noi siamo diventati più ricchi. Considera poi che nel 2019 si vendevano autovetture a tasso zero. Oggi una Panda che costava 10mila euro si vende a 18mila. Ed i tassi sono al 9-10%. Le macchine costano sempre di più e la gente non ha più i soldi per comprarle. Quindi si tiene la sua vettura”. L’elettrico in questo contesto serviva a produrre meno macchine e poi venderle a un prezzo più alto. “Le case erano convinte che gli incentivi pubblici sarebbero rimasti per sempre: invece tutti i governi europei li hanno tolti e i costruttori sono rimasti fregati, perché l’elettrico è un business il cui successo rimane vincolato ai soldi della collettività”. Ci sono poi i problemi di “obsolescenza tecnologica” e del costo dell’energia. “Le case europee per rimanere competitive devono allearsi fra loro in un mondo dove le imprese cinesi sono eterodirette dal governo e l’America ha alzato il muro già con Biden contro le auto prodotte all’estero. De Meo, che è un manager intelligente, ha proposto di mettere a fattore comune poche piattaforme per ottimizzare i costi. I tedeschi gli hanno risposto con una pernacchia”. La stessa Germania che ora si trova in crisi e si trova costretta a “scendere a patti con i cinesi”. E dato che l’Italia è legata a doppio filo all’industria tedesca per la componentistica il problema si ripercuote anche su di noi.