Ok, forse Stellantis non ha fatto una grandissima scena cambiando il nome dell’ultimo modello di Alfa Romeo da Milano a Junior. Poco male, tanto l’auto era stata bocciata da molti (o tutti) anche prima, già nel momento della sua presentazione in anteprima con tanto di evento esclusivo proprio nella città meneghina, con sindaco Beppe Sala presente; nonostante la sua dichiarata avversione alle quattro ruote. Eppure, non erano mancati anche alcuni atti di difesa per il B-Suv dalle ingiurie di certi alfisti, finti o veri che siano. Fatto sta che il caso continua ancora a far discutere; anche perché Jean-Philippe Imparato, amministratore delegato del Biscione, nel suo profilo Linkedin ha pubblicato l’immagine della mappa della Lombardia, in cui il nome del capoluogo viene proprio sostituito da Junior, una toponomastica rivisitata che sa tanto di affronto al ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso che ha richiesto a gran voce la modifica del titolo dell’Alfa; richiesta a cui ha seguito anche quella del vicepremier Matteo Salvini. E così, dopo questo lungo susseguirsi di battibecchi (che tra Governo Meloni e Gruppo Stellantis non sono mai terminati), ecco che il caso finisce tra le mani, anzi le grinfie, di Andrea Marcenaro, che sul Foglio, nella sua rubrica Andreas’s Version, non ha certo risparmiato critiche a John Elkann, o meglio ancora agli Agnelli, l’intera famiglia della “Gran Torino”…
La versione di Andrea, italianizzando il titolo della rubrica, sicuramente non è conosciuta per il suo aplomb democristiano, anzi. Se c’è da bastonare, con le parole si capisce, Marcenaro bastona, e in modo piuttosto irriverente. E anche in questo caso qualche colpo dalla penna del giornalista è partito, e MOW (ovviamente) ne prende le distanze. “La ‘Milano’ non è titolo di automobile che si possa costruire in Polonia - comincia il breve articolo -. Anche se ‘Gran Torino’, macchina americana, fu intestazione con cui Clint Eastwood fece barche di soldi nelle Americhe, in Europa, n Africa (meno) e nell’Australia-Oceania”. Il riferimento di Marcenaro è sì al film del 2008 diretto proprio dal regista e attore americano, ma anche a un dettaglio che nelle scorse ore è stato più volte preso in considerazione. Infatti, all’estero, sono molte le automobili che hanno nomi italiani, ma che non vengono prodotte nel Belpaese, ma nessuno in questo caso si appella alla legge sull’italian sounding citata proprio da Urso. Comunque sia, continua Marcenaro, “Il principe Agnelli voleva Stellantis, ma la si chiamassero pure col fischio; Marchionne stava per farla, meglio; venne appeso a un chiodo perfino da un tizietto senza ruolo e senza senso che si riteneva esperto della porta 2 di Mirafiori. E - sottolinea ancora il giornalista del Foglio - delle Presse. ‘Operai’ arrotondando l’arrotondabile, arrivò a scrivere”. Ma il caso sfocia pure sui dissidi di famiglia tra gli eredi dell’Avvocato: “La figlia Margherita (Agnelli) voleva la grana che mollarono al figlio. Il figlio, la grana che mollarono al fratello. E a mammà. Papà (Alain) Elkann, beato papà Elkann. Sapeva e sa una sega”, scrive Marcenaro. Alfa Romeo, problemi di sangue (ed eredità) ma anche di città: “Mai visti degli agnelli sbranati nella Gran Milano - termina l’Andrea’s Version -: e alla fin fine passi: è che se la tirano da junior nella Gran Torino”.