Ma adesso anche il green è diventato femminista? Secondo un recente studio dell’università di Pisa, questo pubblicato sull’European journal of political economy, “la qualità dell’aria è migliore – come riportato dall’Ansa – se le donne comandano le istituzioni”; in poche parole se a governare ci sono le famigerate quote rosa, allora è molto probabile che l’inquinamento sia minore rispetto ad altri posti in cui a comandare sono gli uomini. Tutto questo è scritto in un report di ventiquattro pagine in cui sono state prese in esame oltre duecento regioni di ventisette Paesi dell’Unione europea, “con l’obiettivo – scrive Camilla Conti su La Verità – di verificare se un aumento dell’emancipazione politica delle donne è associato a migliori risultati in termini di qualità dell’aria”. Il presupposto di questa analisi accademica, riporta sempre la giornalista, cita che “i progressi compiuti dalle moderne società europee negli ultimi decenni sono accompagnati da una crescente partecipazione delle donne alla politica”, e proprio loro “dimostrerebbero preoccupazioni ambientali più forti e hanno maggiori probabilità di impegnarsi in comportamenti pro-ambientali rispetto agli uomini, il che – continua il documento – potrebbe tradursi in migliori risultati ambientali man mano che le donne rompono progressivamente il soffitto di vetro in politica”. Un soffitto che, in realtà, parrebbe già essere stato sfondato, è la seconda nomina di Ursula von der Leyen (grande sostenitrice delle politiche green) alla guida della Commissione Ue ne è una chiara prova. Ma cosa dicono i fatti reali?
I risultati del report dell’Istituto pisano, riporta ancora Conti, “evidenziano una relazione positiva tra l’empowernment politico delle donne e la qualità dell’aria, perché le donne – si cita il documento – adottano politiche ambientali più rigide e orientate alla sostenibilità rispetto agli uomini perché hanno maggiore sensibilità e un maggiore impegno sociale”. Delle questioni che, a essere cinici, rischiano in realtà di sfuggire a una visione e a un’analisi oggettiva della questione; eppure per i ricercatori dell’università toscana, si legge ancora su La Verità, “questa correlazione positiva risulta evidente in numerose regioni del Nord Europa, mentre la maglia nera va a Polonia, Ungheria e Romania: in Italia, la Valle d’Aosta si distingue per la qualità dell’aria migliore, e la Lombardia registra i livelli peggiori (risultati – sottolinea la giornalista – prevedibili, a dire il vero, anche senza ricorrere al girl power)”. Comunque sia, secondo Lisa Gianmoena (una dei ricercatori dello studio) questi risultati, ha detto all’Ansa, andrebbero presi con “cautela”, ma allo stesso tempo ha affermato che “essi suggeriscono che il rigore delle politiche ambientali e la qualità istituzionale fungono da meccanismi plausibili nel contesto europeo. Al contrario, la nostra analisi non supporta la visione secondo cui l’emancipazione femminile influenza la qualità dell’aria attraverso una maggiore consapevolezza del cambiamento climatico”. Ma a La Verità, invece, “il presupposto da cui è partito lo studio […] ci pare un po’ traballante perché dimostrato da ‘analisi empiriche nel campo della psicologia’ e a questo si aggiunge il paradosso dei ‘meccanismi plausibili’”. Insomma, spiegato in poche parole, “non basta il genere da solo a definire le scelte politiche di una leader […] Intanto – conclude Conti –, a capo della Ue è stata riconfermata una donna grazie all’accordo con i Verdi. Basterà questo per rendere l’aria più pulita ma anche meno soffocante per lo sviluppo industriale? Ne dubitiamo”.