Il 2035 ora sembra fare sempre meno paura. Che le auto elettriche non rappresentassero il futuro della mobilità gli automobilisti (soprattutto quelli italiani) se n’erano già accorti da tempo. Troppe sono le incongruenze con l’utopia del piano dell’Ue, e tante altre ancora le difficoltà di questi mezzi sul mercato, che proprio non sfondano; e anzi, al contrario, crollano. Sia sul piano produttivo che su quello delle vendite la situazione del settore automobilistico è a dir poco critica, e una parte di colpa è da affibbiare anche alla transizione elettrica. Adesso, però, a un anno di distanza dall’approvazione del regolamento per lo stop ai motori termici, arriva il mea culpa della Commissione europea, che ammette: “L’Europa non è pronta a mollare la benzina” (fonte Libero). Infatti, secondo quanto riportato dalla giornalista Claudia Osmetti, è arrivato “il documento che non t’aspetti. Lo firma il francese Therry Breton, che è il commissario del Mercato interno e dell’industria comunitaria, l’hanno preparato i suoi funzionari con numeri e tabelle e studi specifici e dice una cosa molto chiara. Dice che no, non siamo pronti. Ma proprio per niente”… E adesso cosa succede?
Ok che il full-electric non è il futuro, almeno per il momento; e questo dettaglio potrebbe portare molti a esultare, magari lo stesso ministro e vicepremier Matteo Salvini, che nel corso del G7 sui trasporti ha presentato un piano anti auto elettriche per salvare l’automotive italiano. Ma il settore ha investito tanto, troppo forse, in questo progetto sulla transizione del parco auto europeo, e Luca De Meo (amministratore delegato di Renault) aveva già lanciato un allarme all’Unione, chiedendo di non tornare indietro. Comunque sia, il rapporto di Breton mette nero su bianco, rivela Osmetti, come non sia “pensabile che in poco più di dieci anni l’Europa, la cara e vecchia Europa, riesca a fare a meno dei motori a combustione. Ci manca tutto, siamo indietro”. Inoltre, il documento appena presentato che stronca il cosiddetto “green deal”, fa luce su alcuni punti chiari di questo progetto apparentemente nato male. Per esempio, per arrivare alla transizione pronosticata, si legge sul Libero, le vendite di veicoli con motori a emissioni zero dovrebbero aumentare di sette volte, e poi ci sarebbe comunque il problema dei listini troppo alti: “Al primo gennaio - Ometti riprende le parole di Breton - non c’erano vetture con un prezzo medio inferiore ai 20mila euro”. Inoltre rimane l’ombra della Cina e del suo potere produttivo riguardante soprattutto le batterie, e i suoi modelli low-cost, tant’è che “il Dragone vale 80mila auto green targate Ue ogni dodici mesi”, riporta la giornalista. Inoltre bisogna anche tenere conto delle infrastrutture come le colonnine di ricarica, che nel continente sono poche e per il 61% sono divise in appena tre Stati (Francia, Germania e Olanda), e infine anche del peso delle auto elettriche sul settore occupazionale. Insomma, conclude Osmetti, “se non si mette la testa su questi aspetti «non ci sarà una mobilità a emissioni zero»”.