Altro che Fedez, Tony Effe e l’autotune, il vero tormentone è La storia siamo noi di Francesco De Gregori dello spot Enel, un incubo iniziato durante gli Europei di calcio e che ora ti assale in ogni singola pausa pubblicitaria delle Olimpiadi. Basta! Voi Signori della Luce ci avete rotto il caz*o! E lo scriviamo in tanti sui nostri social consolatori: milioni di individui spossati e marginali, sfiniti dal caldo e in mutande, privi di condizionatore, che la bolletta poi te la devi pagare, privatizzata e tutto il resto della storia che non siamo assolutamente noi. E almeno dateci la possibilità di poterci attaccare allo streaming, sperando che un qualche record dorato di stramaledetto badminton basti per spegnere il cervello e la voce autoaccusatoria che ti ricorda che non hai vissuto come volevi neanche oggi. E invece no: dobbiamo anche subire la soffocante retorica borghese di quelle parole che pretenderebbero di illuminarti - è il caso di dire - e renderti partecipativo: Messer Francesco The Gregori, il cantautore colto per antonomasia, che ti insegna cosa sei e cosa potresti essere di più elevato, dall’alto di una qualche nobile terrazza romana. La metafora della sinistra sconfitta e privatizzata, il gemellaggio perfetto con una multinazionale, ovvero manciate di ghiande in rima lanciate sui nostri monoporcili, per quegli ingenui che in Italia si fanno ancora sedurre dalla metapoesia da cameretta di cotanta canzone d’autore italiana. Hanno vinto loro, le rimette perfette, la divulgazione da professoretto con le toppe di velluto al pianoforte. Che poi per non creare equivoci, hanno omesso dal jingle le seguenti parole del testo originale: “Tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera”, perché le regole del marketing ti impongono approcci positivi, a prova di sh*t storm. Io che volevo crescere nel paese di Iggy Pop e degli Stooges, i proto-punk che nel 1969 erano così avanti da cantare I wanna be your dog, voglio essere il tuo cane, nella consapevolezza del tuo ruolo asservito in una società crudele e ingiusta da almeno 8mila anni, da quando l’uomo, osservando dei germogli nati dalla me*da inventa l’agricoltura e quindi la società stanziale e le gerarchie sociali. La storia non siamo noi! Non pretendeteci per il cu*o: la Storia è un libro elitario e di sangue, scritto dai narratori dei governi dominanti e dagli stati maggiori tra una guerra e l’altra, e conseguenti espansioni economiche e i tanti Vajont dei tempi di pace.
La massa, gli immigrati sfruttati, il lavoro nero, gli asserviti alle promesse, le partite iva, i freelance senza contratto, bestemmiatori coi sottotitoli che per ripicca voterebbero il Satana più populista e sorridente del momento, anche solo con la vana aspettativa di vedere quelli sopra cacar*i addosso, come loro. Ed è questo che in troppi decenni certa sinistra non ha mai voluto accettare. La storia si nutre di vittime, ciclicamente, sempre e solo tra quelli che stanno in fondo, carne da macello, mutata in numeri e statistiche, illusa di essere visibile e rilevante da un fot*uto touchscreen e da qualche like. Sedateci con un vero tormentone grezzo, stupido e a prova di popolo annientato da Ceres e psicofarmaci. Dateci quei vecchi strabrutti - ma almeno non ipocriti – “tormentones” in finto spagnolo, con gli “un, dos, tres” di chi se la gode. O se no va bene anche il jingle Enel di qualche decennio fa, dei Velvet Underground: quella Sunday Morning di una persona che rientrava a casa all’alba in preda all’hangover, melanconica per la fine di qualcosa che ha creato illusione, ma che almeno era un attimo d’amore.