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Apple Music, la top 100 dei migliori album di sempre è un delirio woke che riscrive la storia. E Lauryn Hill...

  • di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

26 maggio 2024

Apple Music, la top 100 dei migliori album di sempre è un delirio woke che riscrive la storia. E Lauryn Hill...
Apple ritraccia le coordinate della pop music per giustificare lo stato dell’arte, ossia quell’eterno presente in cui si ode solo la voce del più fresco vincitore. Così “The miseducation of Lauryn Hill” (1998) trionfa perché ritenuto “enormemente influente” nonostante gli ultimi 25 anni di musica urban dicano che lo splendido exploit di Lauryn Hill, in realtà, sia poco in sintonia con l’ambiente sonoro che piattaforme come Apple Music quotidianamente e assiduamente promuovono. L’elenco degli assenti, poi, è imbarazzante (da Elvis ai Black Sabbath, dai Ramones ai R.E.M; interi generi non pervenuti). Una classifica destinata a far discutere, tuttavia poco credibile. Davvero del passato va salvato solo ciò che può giustificare la nostra (arbitraria) tesi sul presente?

di Emiliano Raffo Emiliano Raffo

Le classifiche di questo tipo nascono per impressionare gli impressionabili e fare inca**are i pedanti. Noi né ci impressioniamo, né ci inca**iamo, però diamine, Apple stavolta le critiche se le è cercate con ammirevole tenacia. Una quindicina di giorni fa capita infatti che Apple Music strombazzi l’imminente pubblicazione di un’ennesima classifica dei migliori. Si tratta dei “migliori 100 album di sempre”. Secondo un pool di non sprovveduti (artisti ed esperti) rappresentati da Zane Lowe (scuola BBC Radio) e Ebro Darden di Apple Music, dal leggendario produttore discografico, scrittore e interprete Nile Rodgers (Chic; l’uomo che regalò a Madonna il suono di “Like a virgin”) e con l'artista e produttrice, nominata ai Grammy, Maggie Rogers. Enrico Merlin, diciamolo subito, non ci pare sia stato interpellato. La tavola rotonda in cui i quattro cavalieri annunciano la top 10, disponibile su YouTube, non dissolve i tanti dubbi. Anzi, semmai ne aggiunge qualcuno. Significativo il fatto che uno dei commenti più graditi, in calce al video, sia il lapidario “The Miseducation Of Apple Music”, per mano di tale BuffaloBeatle. Il commento nasce dal fatto che – tenetevi forte – per il commando ubercool di Apple, l’album migliore di sempre è, ehm, “The miseducation of Lauryn Hill” di Lauryn Hill. Aiuto. Perché un gran bell’album – come ce ne sono stati a decine e altrettanti ce ne saranno – dovrebbe essere il numero uno di sempre? “Perché – dice Lowe – ha ispirato tanti giovani artisti che lo ritengono ormai parte del loro dna”. Lowe non è così generoso da dirci “chi” abbia effettivamente influenzato. La scena urban che negli ultimi 20/25 anni circa dovrebbe essere stata ispirata da Lauryn Hill è, in realtà, andata in direzione opposta, rispetto al sound di quel disco (vedi l’hip hop del nuovo millennio, sempre più trap-izzato). Per la cricca di Apple, però, “The miseducation” va premiato perché le canzoni di Hill sono il manifesto di una donna indipendente. Ci siamo, dai. Abbiamo capito (e poco conta che l’ex-Fugees neppure fosse la prima nel particolare sottogenere “donne fiere e orgogliose”, o che Erykah Badu – meno male che è stata inclusa – ha proposto per anni, e ben oltre il 1998, un neo-soul futurista più influente di quello di Hill).

Apple
Apple provoca, secondo noi... Con stile, ma provoca

Abbiamo capito che Apple, con questa top 100 ha voluto fare fino in fondo il suo mestieraccio. Spingere la pop(ular) music come si spinge una qualsiasi app. Se anni addietro era più semplice compilare simili graduatorie (Rolling Stone e NME le pubblicano dalla notte dei tempi), perché il passato da osservare era più breve e meno tentacolare, oggi la sbruffonaggine di misurarsi con una top 100 è pratica che abbandona ogni velleità vagamente educativa (la “Miseducation” in questione, quindi, ci sta alla grande) preferendo cavalcare quell’immane onda pop tinta di cultura woke che riscrive il corso della Storia per rendere quest’ultima una sorta di gigantesca premessa schiava dell’odierno mainstream. La si riscrive, la Storia, affinché i decenni passati possano risultare “in linea” con l’eterno presente di Apple, che poi è l’unica cosa che conta. Escono quindi di scena interi generi, letteralmente spazzati via. Nessuna traccia di prog, qualche pulsazione elettronica tanto per gradire. Il jazz, che ormai viene inserito in classifiche simili con slancio più che altro filantropico, ridotto a quei due-titoli-due che anche chi odia il jazz deve conoscere (“A love supreme” di John Coltrane e “Kind of blue” di Miles Davis). Quindi, per capirci: nessun titolo presente di Doors, Depeche Mode, Sonic Youth o Ramones, ma “Golden hour” di Kacey Musgraves (???) al numero ottantacinque. Ok.

I primi 20 posti sono un discreto delirio, ma leggetevela tutta, la classifica, perché dal 21 al 100 le cose vanno anche peggio.

  • 20: Pet Sounds - The Beach Boys
  • 19: The Chronic - Dr. Dre
  • 18: 1989 (Taylor's Version) - Taylor Swift
  • 17: What's Going On - Marvin Gaye
  • 16: Blue - Joni Mitchell
  • 15: 21 - Adele
  • 14: Highway 61 Revisited - Bob Dylan
  • 13: The Blueprint - JAY-Z
  • 12: OK Computer - Radiohead
  • 11: Rumours - Fleetwood Mac
  • 10. Lemonade - Beyoncé
  • 9. Nevermind - Nirvana
  • 8. Back to Black - Amy Winehouse
  • 7. good kid, m.A.A.d city - Kendrick Lamar
  • 6. Songs in the Key of Life - Stevie Wonder
  • 5. Blonde - Frank Ocean
  • 4. Purple Rain - Prince & The Revolution
  • 3. Abbey Road - The Beatles
  • 2. Thriller - Michael Jackson
  • 1. The Miseducation of Lauryn Hill - Lauryn Hill
Black Sabbath
Black Sabbath. Non è stato sufficiente inventare un genere (doom) per rientrare nella top 100 di Apple. Ma sono in buona compagnia

Una top 100 scandalosamente Usa-centrica che sembra dirci – anche se nessuno se ne era davvero accorto – che gli ultimi 75 anni circa di pop music sono stati un giochetto ad uso e consumo quasi esclusivo di donne e artisti black. Davvero? Sì, a tal punto che “Tapestry” di Carole King (numero 38), “Control” di Janet Jackson (numero 42) e addirittura “Confessions” di Usher (numero 95) sono considerati migliori (o più importanti) di qualsiasi cosa abbiano partorito, in ordine sparso: Frank Sinatra, Elvis Presley, R.E.M., Underworld, David Sylvian, The Prodigy, King Crimson, Genesis, Pantera, Slayer, Death, Judas Priest, Motörhead, Billy Joel, Blondie, Randy Newman, Nilsson, Al Green, Isaac Hayes, Deep Purple, Black Sabbath, J Dilla, Run-DMC, Faith No More, Elvis Costello, New Order, Pet Shop Boys, Blur/Gorillaz, Paul Weller (The Jam/Style Council), My Bloody Valentine, The Jesus And Mary Chain, Stooges, David Crosby, Roxy Music, Johnny Cash, Talk Talk, The Aphex Twin, DJ Shadow, Brian Eno e IDLES. Che sono tutti trionfalmente assenti (e intanto c’è, totalmente clandestina, Alanis Morissette, addirittura 66 posizioni più in alto dei Rage Against The Machine). Assenti perché troppo uncool secondo i politici parametri di chi piazza – credo orgogliosamente – Frank Ocean al numero 5 e Adele al numero 15. Beyoncé, per la cronaca, è presente con due album. Si può discutere all’infinito su classifiche di questo tipo, ma qui la malafde di Apple – o meglio, la “selezione a tesi” – pare così sfacciata da risultare non credibile. Bisognerebbe forse smetterla di fare i giustificazionisti e non aver paura della Storia. Che anzi può essere sorella illuminante e per nulla invadente, se interrogata per ciò che può provvidenzialmente fornire: una prospettiva. Su chi siamo stati e su come siamo arrivati ad essere ciò che siamo. Perché i Black Sabbath, che hanno inventato un intero genere (il doom), vanno nascosti sotto il tappeto come i nomi sopra elencati e tanti altri ancora? Forse perché si ritiene, molto arbitrariamente, che l’opera dei quattro di Birmingham sia incapace di descriverci ‘sto benedetto “spirito del tempo”? Quindi la grandezza passata è solo utile se ci permette di interpretare/spiegare il presente? Siamo a una visione della musica pop così violentemente funzionalista e figlia del momento? Ovvio che per Apple sia così. Perché il presente va venduto. E il passato pure. A patto che sia in sintonia col presente. Peccato che la storia della musica pop non sia mai stata un flusso monocromatico, bensì un caos fitto di contraddizioni e conflitti. Quelli che Apple, imbevuto di cultura woke com’è, ambisce a negare.

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