Un branco di ragazzini senza cervello, senza anima, senza cuore, senza morale, senza educazione, senza sentimenti, senza cultura, senza niente, si accanisce, per gioco, contro un cucciolo, un gattino, indifeso. Per ridere, lo getta da un ponte, lo uccide. Tra le risate oscene di quel branco di spazzatura umana, si sente il pianto di quella povera creaturina che sta per morire. Cosa si può dire o fare? Piangere per il piccolo esserino e incazzarsi per la noncurante crudeltà che dimostrano questi ragazzini idioti, cresciuti con i testi di orribili idoli trap o rap, che non hanno niente da insegnare a nessuno, con famiglie e scuola sempre più assenti? Lasciarsi andare alla rabbia più cieca e andarli a cercare per fargli “provare” le conseguenze delle loro azioni da decerebrati, perché nessuno gli ha insegnato che ogni azione ha delle conseguenze e già che siamo lì, dare una bella lezione anche ai genitori, che se la meritano di sicuro? La colpa in primis è dello Stato e della sua mancanza di applicazione delle leggi (che ci sono) o del loro inasprimento. Un esempio: il caso di Palermo, uno sbandato, un uomo letteralmente da marciapiede, dà fuoco al “suo” cane (già definire un altro essere vivente la proprietà di qualcuno mi fa orrore, mi riporta ai tempi degli schiavi, un animale si adotta e diventa uno della famiglia, un figlio, un fratello, un amico). Il povero cane Aron, muore per le ustioni. Morale? La procura archivia il caso. Perché? Questa è l’applicazione delle leggi in Italia. Gli animali non sono nostri, come non è nostra la terra su cui viviamo, non c’è nessun “Personal Jesus” e nessun “Personal God”, non possediamo niente tranne una bocca per ingozzarci di schifezze, le nostre capacità cognitive (sempre più deteriorate), il pollice opponibile e l’apparato urogenitale per creare inquinamento organico o per procreare, che nel caso dei ragazzini di Lanusei, equivale alla generazione di un tossicissimo inquinamento organico.
Ma c’è un altro punto che va sottolineato: è in atto una vera guerra generazionale, tra “noi, vecchi” e i cosiddetti “giovani”. I contendenti non si guardano nemmeno in faccia. Si ignorano. Si sputano tra loro, da lontano. Non c’è nemmeno la voglia di scontarsi, perché’ manca completamente il rispetto e il riconoscimento tra i due. Entrambi pensano che l’altro non valga nulla. L’altro non esiste e, se esiste, non è affar mio, anche se uno è mio figlio, anche se l’altro è mio padre. Questa guerra ha vari fronti, uno è la musica. Anche qui è impossibile guardarsi negli occhi. Alcuni “vecchi” fingono la sindrome di Peter Pan e si sperticano in apprezzamenti e commenti su quanto ci sia di bello nelle nuove generazioni musicali e quanto sia eccitante quello che ascoltano i loro figli, poi li ritroviamo costernati davanti al giudice, dopo l’accoltellamento o lo spaccio, a piangere: “Mio figlio è un bravo ragazzo, non capisco come mai!”. Come ho detto prima, vorrei impossessarmi dei cellulari del branco e vedere cosa ascoltano, quanta p*rnografia si scambiano, ma soprattutto, quanta po*nografia musicale li abbia portati a diventare quello che sono. I contenuti hard sono la ripetizione forzata, davanti alle telecamere, dell’atto istintivo e naturale di fare l’amore, ma è reso violento, brutto, volgare, senza significato, con aspetti di prevaricazione. È la simulazione dell’attrazione sessuale tra persone. Non parlo di tutti gli artisti trap o rap, la prima figlia dell’altro genere, ma in certi casi la trap e il rap sono equiparabili alla quel cinema per adulti, ma musicale, in quanto sono la simulazione di saper fare della musica, che in generale dovrebbe essere bella e con dei messaggi se non belli almeno interessanti, ma che qui è resa brutta, violenta, vuota e diseducativa nei testi che parlano spesso dei fatti brutti o le cose brutte che si fanno per poter sfoggiare il cappellino di Gucci e avere soldi facili, macchinoni con le tro*e a bordo e uso e spaccio di stupefacenti. Orgogliosi di mostrare tutta la loro pochezza linguistica e senza nascondere il fatto che tutto quello che fanno ha il solo scopo di diventare ricchi e famosi. Il tutto aggravato dalla prerogativa di creare dei veri e propri mini eserciti di periferia, al servizio del trapper o Rapper che “fa più brutto”. Una specie di Colonnello Kurtz non dell’affascinante jungla cambogiana, ma del degrado delle periferie abbandonate dall’umanità e lasciate in mano agli zombie. Ripeto, non parlo di tutti gli artisti trap o rap, ovviamente, ma i ragazzini più giovani, tendono a seguire ed apprezzare gli esempi peggiori di “cinema per adulti musicale”, qualche esempio: Baby Gang in Bloods and Crips canta “Niente blood, niente crips. Giro con una Glock dentro il Bronx con la stick. Con i cops” (il ragazzo si dimentica che è di Lecco non di Los Angeles); Dark Polo Gang in Cono gelato dicono “Come un cono gelato mi sciolgo quando lei mi lecca. Dalla tua tro*a in strada baby sai che prendo la stecca. Cu*o su due posti rossa ogni donna mi cerca. Playboy sai che sono la sua scelta”; Paky in La Bellavita, invece, “Sono solo un criminale che vende la cocai–. Pensa a fare una rapina (Ah-ah) e guida senza patente (Ah)” C’erano pezzi trap o rap simili a questi, nel cellulare che ha ripreso la morte di quella innocente creatura? Non trovo testi che mi parlino di uguaglianza, diritti, ambientalismo, animalismo, non violenza. Anzi, Greta Thunberg la prendono per il cu*o, lei, povera sfigata, che non farebbe di tutto per una borsa di Louis Vuitton o non ucciderebbe un gattino per il solo gusto di farlo e basta.
Ho cercato e letto testi di vari giovani artisti e non ci ho trovato nessuno spunto interessante, niente che faccia riflettere. Si parla di periferie degradate, ma nessun suggerimento per instillare la voglia di migliorarle. Si parla di amore, ma quello che viene fuori è solo possesso, abuso e disrispetto per le donne. Non si parla di niente. Non c’è quell’irriverenza, quella critica, quell’ironia, quella condanna, quell’intelligenza e quella cultura che si trova in Frankie Hi-nrg, in Fabri Fibra, in Caparezza, per fare degli esempi. Non si trova niente. Il niente è quello che aveva in testa il branco quando si è accanito da codardo (i bulli sono sempre codardi) sulla vittima più facile che c’era: un cucciolino di gatto nero di poche settimane. Ed io, piango per te, piccolo musino nero. Piango di dolore e di rabbia feroce. Hai avuto la sfortuna di essere stato catturato dal Male assoluto, dedito all’osceno e all’abbruttimento. Passivi, mai educati da nessuno che potesse insegnargli qualcosa di valore: la famiglia, la scuola o l’ambiente in cui vivono. Almeno noi vecchi, con la nostra musica eravamo attivi. Abbiamo ascoltato cantori di mondi lontani. Abbiamo imparato ad amare, a sognare, a progredire, a ribellarci, a tentare di cambiare il mondo o di spaccarlo per ricostruirlo. E se si parla di droga, i nostri idoli hanno pagato di persona i loro eccessi, non ambivano a diventare spacciatori. Ed era musica, bella, cantata da voci meravigliose, non questi ragli burini su groove rubacchiati qua e là. Adesso aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso, questo caso ha veramente scosso le coscienze. Ci ha fatto capire che qualcosa non funziona più davvero. Che i mostri non vivono solo sui marciapiedi, ma li abbiamo in casa, in cameretta, intenti a scrollare ossessivamente TikTok e fare i reel, a volte reel di atrocità. Io, continuo a piangere, per non poter fare nulla, per non averti potuto salvare, per non poter salvare il prossimo cucciolo dal branco. Io piango per te, mio piccolo figlio. Non sarai dimenticato, te lo prometto.