La bestemmia, in Italia, ha sempre avuto una doppia vita. Come il tabù descritto da Sigmund Freud, padre della psicanalisi: "esprime due opposti significati: in un senso significa sacro, consacrato, nell’altro, sinistro, pericoloso, proibito, impuro". Non si fa, ma non se ne può fare a meno. Dati alla mano, siamo l'unico Paese al mondo che, nel linguaggio popolare, gode di una patrimonio quasi sconfinato di bestemmie, diversificate per regione; l'unica cultura popolare in cui l'associazione tra divinità e offesa ha proliferato. All'estero non hanno idea di cosa voglia dire bestemmiare, non lo capiscono. Da noi, al contrario, c'è una vera e propria tradizione orale, che è partita dai dialetti e si è quindi evoluta nel tempo. La curiosità è che, non da molto, un gruppo di studiosi ha pubblicato un libro, dal titolo ""Non c'è bestemmia. Scritti sul parlato riprovevole", edito da Maglio. La tesi degli autori è che "la bestemmia, con intenzioni effettivamente blasfeme, appare quasi del tutto estinta: ne persiste l’eredità, riconoscibile in abitudini linguistiche, che in passato avevano caratterizzato alcune regioni d’Italia, certo non acattoliche". Ecco il tabù, di cui parlavamo in apertura. La natura nevrotica, sempre per stare con Sigmund Freud, della bestemmia. Si insulta il divino, senza l'intenzione di farlo davvero, tant'è che la notizia dell'uscita del saggio è stata ripresa dal Giornale, che non è di certo un quotidiano di atei o comunisti senza alcun dio. L'analisi degli autori, a quanto raccontano, muove dall'esplosione di Stefano Bettarini dal Grande Fratello Vip, per un innocuo porca madosca, che venne considerato come una a tutti gli effetti.
Perché bestemmi, se non ci credi? Questa è la classica domanda che rivolge il non bestemmiatore a chi ha appena smadonnato. C'era una canzone di Willie Peyote, intitolata "I cani", che in un passaggio diceva così: "le preghiere non funzionano ma le bestemmie sì". La funzione principale della bestemmia è quella di scaricare la tensione, lo stress. Altrochè resilienza. Il bestemmione è il sintomo linguistico dell'essenza timotica umana, serve a dissipare la rabbia. Ha un valore terapeutico innegabile. In diverse parti di Italia funziona anche da intercalare, da rafforzativo. Veneto, Friuli, Piemonte, Toscana, per citare i casi più famosi, ma c'è da scommettere che anche chi arriva da altre regioni abbia da raccontare la propria esperienza. Gli anziani che giocano a carte, le partite di calcio allo stadio, i lavori manuali, ma anche un semplice aperitivo in cui la discussione si fa un pelo più accesa: la diffusione della bestemmia non ha un'area circoscritta, ma copre gran parte delle attività umane. Ma il punto cruciale, che il libro si propone di dimostrare, è che la bestemmia non abbia a che fare con la blasfemia, né con la religione in sé.
Gli studiosi, Florio Carnesecchi, Pietro Clemente, Paolo De Simonis, Luciano Giannelli, Gianfranco Macciotta e Giovanni Pieri, raccontano un precedente storico, ad avallo della loro tesi, e di quanto abbiamo sostenuto poco fa. Nel 1880, la Cassazione di Firenze condannò a dieci giorni di carcere un certo Dante Bini, reo di blasfemia, ma i giudici gli riconobbero delle attenuanti, in virtù del fatto che l'uomo «si trovava in uno stato di tale dolore accecante da non rendersi conto pienamente di quello che stava facendo». Come per le offese, è l'intenzione che fa la bestemmia? Questo è un tema dibattuto da sempre, ma ci pare evidente che la normalizzazione della bestemmia nella parlata comune non corrisponda ad una normalizzazione di altri comportamenti blasfemi. Anzi, come affermato nel saggio, le regioni dove si bestemmia di più hanno anche una forte connotazione religiosa. Inoltre, Bettarini a parte, non mancano i precedenti di altri personaggi famosi che sono stati puniti e ostracizzati per aver reso omaggio a questo tipo di linguaggio popolare. Silvano Michetti dei Cugini di Campagna all'Isola dei Famosi; il Baffo, Roberto da Crema, alla Fattoria di Daria Bignardi. Guido Genovesi, al Grande Fratello del 2004, condotto da Barbara D'Urso. Massimo Ceccherini, sempre all'Isola, nel 2006. Marco Predolin e Gianluca Impastato al Grande Fratello 2017. Poi la bestemmia in sovraimpressione al Capodanno in piazza di Amadeus, e il fuori onda di Tiberio Timperi nel 2014. Il primo di tutti fu Leopoldo Mastelloni, nella trasmissione Blitz, del 1984. La cosa che accomuna gran parte di questi casi è il fatto che le bestemmie sono state pronunciate nel contesto dei reality show, ed è significativo: la realtà è fatta di bestemmie. Questo, senza che nessuno dei personaggi citati sia un mangiapreti. Certo, non c'è bisogno di aver fatto teologia all'università per ricordarsi che uno dei comandamenti intima di non nominare il nome di Dio invano. Tuttavia, su questo punto, bisogna interrogarsi sul vero significato della parola invano, e se premettiamo che la bestemmia ha un valore terapeutico, come detto prima, allora il nome del divino, anche per chi è credente, non è pronunciato a vuoto. Ed è anche significativo notare che, se il puritanesimo scandalistico della tv e dei media blocca sempre ogni genere di parola che assomiglia a una bestemmia, il popolo continua, e continuerà imperterrito, a tramandare questa tradizione linguistica, arricchendola di nuove sfumature, perché la bestemmia è un prodotto linguistico made in Italy, con tanto di certificazione.