Vittorio Vaccaro apre quando in molti chiudono. Da Bettola siciliana, inaugurato a gennaio 2025, proporrà piatti della tradizione, ingredienti ricercati e menù basati su piatti studiati. Lo abbiamo intervistato per chiedergli perché ha scelto Milano, cosa pensa dei programmi che spettacolarizzano la cucina e in che modo si può fare buona cucina senza dover rincorrere la stella Michelin: “Milano è una piazza difficile, ma offre molte possibilità. La verità? Il carovita uccide certi ristoratori, ma bisogna saper trovare delle soluzioni”. Come puntare su piatti tipici siciliani? Forse sì. Ecco cosa ci ha detto.
A Milano alcuni chef stellati come Felice Lo Basso chiudono e tu apri, ma sei pazzo?
Sì certo, sono nato pazzo. No, ma sai cos'è? Ognuno deve trovare una propria strada e non è detto che essere stellato, voglio dire essere premiato, sia indice di qualità e successo. Poi Milano può essere una piazza difficile perché è sicuramente una città molto modaiola e la sera vai a bere.
La tua cucina è modaiola?
No, direi genuina, che ritorna un po’ al passato anche grazie a una ricerca della materia prima importante. La mia è un’offerta sicuramente molto identitaria.
È anche vero che Milano è una città, anche dal punto di vista del palato, multietnica, si dice che il piatto tipico sia il sushi… Proporre una cucina regionale come si inserisce in una logica che invece guarda molto all’estero?
Mah, Milano non guarda tanto all’estero quanto al prezzo che l’estero offre, perché alla fine parliamo di all you can eat a trenta euro, e con il carovita a Milano fare una cena decente per molti significa questo. Infatti la pizza, un comfort food particolarmente economico, come il kebab, regge bene.
Tu sei anche lo chef di Bettola siciliana. Cosa non mancherà mai nel tuo menù?
Sicuramente non mancheranno mai i miei salumi, cioè quelli che ho cercato per anni, che vengono dai Nebrodi, quindi siciliani. Poi la pasta fatta a mano. Posso essere un po’ banale? Non mancherà mai l’amore.
Da dove arriva la tua cucina?
I piatti proposti arrivano direttamente dalla mia infanzia.
Credi che la tua cucina regionale sia ecosostenibile anche se non segue le mode dell’ecosostenibilità (tipo cucina vegetariana e vegana)?
Credo di sì, devi lavorare sul dettaglio, sulla ricerca, quindi anche sui piccoli produttori e fornitori. Questi piatti mi rappresentano, mi raccontano, li conosco benissimo, ci sono cresciuto e quindi per questo credo che sia una cucina vera e in questo senso sana.
A proposito dei tuoi contenuti su Food Network in tv e anche alla tua esperienza come attore: lo chef Igles Correlli ha criticato recentemente Masterchef perché dà un’immagine sostanzialmente sbagliata di quello che è il mondo della cucina e di quello che è anche il lavoro del cuoco. Che ne pensi?
Essere chef non significa essere star, significa confrontarsi veramente con un mondo di regole. La cucina è sacrificio, orari serrati, mai una domenica libera. La televisione racconta lo spettacolo della cucina. Ma lo spettacolo è quello che è, si sa... La cucina è quando ti siedi e mangi il frutto di ore di lavoro. La cucina in TV è finzione. Non esiste lo chef tutto genio e sregolatezza.
Anche se fai cucina tradizionale ti senti innovativo?
A mio modo sì. E poi forse è più innovativo di aprire un ristorante che punta alla stella Michelin. Il punto per me è cercare un dialogo, un contatto con le persone. La persona ti accoglie, ti parla, si racconta, ascolta e da lì nasce la vera cucina.
Il consiglio a un cuoco giovane che non verrà mai dato in tv?
Considera di prenderti del tempo semplicemente per imparare. Cerca di capire quali sono veramente i segreti della cucina. Sii rigoroso e preparati a fare sacrifici. Poi se sei bravo ti toglierai qualche soddisfazione, vedrai.