Cosa abbiamo noi a Roma? La splendida cornice. E cosa ci facciamo quando qualcuno paga per fare eventi strettamente riservati ad una cricca di eletti? Le premiazioni, tra le varie cose. In questo caso, nella meravigliosa Villa Massimo, sede dell’Accademia Tedesca, sotto ai pini ombrosi dello splendido giardino, si è tenuto il gala della 64 esima edizione del Globo d’ Oro della Associazione Stampa Estera, e noi c’eravamo. Siamo andati lì come Don Falcuccio, senza vedere Il programma de premiati, con una mano davanti e una di dietro, vestiti di sacco, giusto in tempo per veder sfilare sul palco Stefano Accorsi, premiato per la migliore serie tv Un amore, di Francesco Lagi. Ma abbiamo immediatamente accannato Accorsi perché in prima fila c'era Sting con la consorte Trudy Styler, premiata per il documentario Posso entrare? An ode to Naples. E ci casca la mascella dalla faccia. Ma davvero Sting sta per sorbettarsi due ore di spettacolo in una lingua che non conosce dinanzi ad attori che di cui ignora l'identità? Da quel momento non gli stacchiamo più gli occhi di dosso, tant’è che lui intercetta il nostro sguardo mentre lo spiamo da dietro il colonnato.
Siamo in effetti un po’ mosci per via del fatto che Roma santa e dannata di Roberto D'Agostino, Marco Giusti e Daniele Ciprì non abbia vinto, ma intanto Micaela Ramazzotti su due trampoli celesti stambecca sul brecciolino mal celando il panico e si avvia sul palco. L'in bocca al lupo in tedesco è tradotto con “magari ti rompi una gamba” e tutto torna. La bionda romana che interpreta tutti i film con l’accento da zòra intensa e disperata e che fece innamorare Paolo Virzì mostrando le natiche nel film pazzesco Tutta la vita davanti, del 2008, parla del suo personaggio molto pensato, che vince il Globo per migliore attrice in Felicità, e dedica la vittoria a quei rapporti difficili, nell'elenco di questi annovera quelle relazioni con un partner aggressivo. E il pensiero di tutti corre ai fratti di cronaca e al suo incontro con l'ex presso L'insalata Ricca di Roma, dove si svolse il tiro reciproco di piatti. Pilar Fogliati, quella che imitava la parlata delle ragazze di Roma nord, centro storico e Roma sud, sale sul palco per dire qualcosa, ma non ce ne accorgiamo. Pare sia reduce dal film Finché morte non ci separi, ma la cosa non è che ci sconvolga più di tanto. Poi Giovanna Mezzogiorno, con il corto Unfitting, seguita da Margherita Vicario, premiata per la miglior opera prima Gloria, la giovine cantante che 20 anni fa faceva parlare di sé dalla sua nicchia di amatori e che ora ringrazia il suo team perché “senza di loro ancora starebbe a casa a digitare su un Pc”. Non ha ringraziato però il nonno Marco Vicario, attore e regista, e nemmeno la mamma, Rossana Podestà, attrice, e manco il padre, il regista Francesco Vicario, fratello di Stefano. Ma se è per questo nemmeno il fidanzato Pietro Sermonti, nipote di Susanna Agnelli. Secondo noi avrebbe dovuto.
La ragazza, che ha vinto anche il premio per la migliore colonna sonora, si esibisce nella sua canzoncina con un coraggio invidiabile, visto che davanti ha un Dio della musica, Sting, un gran signore visto quello che gli tocca sopportare. È la volta del premio alla carriera all'ambasciatrice della bellezza italiana all'estero, i fiati si mozzano. Monica Bellucci si alza dalla sediolina e inizia la sfilata alla Malena, strizzata in un ampio soprabito nero come la pece, tacchi deliziosi quanto vertiginosi e neri, con altrettanti occhiali neri. Monica, non stiamo ad un ritrovo di darkettoni. “Stare in Italia è sempre bello”, pigola lei con quella nuova parlata fatta di labiali, che da anni ha adottato. “Un bacino a Tim", dice. Nella mente scorrono le immagini dei video di decenni fa, ora scomparsi, quando telefonava alla mamma chiedendo di buttá la pasta, Di seguito veniamo a sapere che nel secondo Beetlejuice lei ci sarà, ed effettivamente siamo colti da stupore. Ah, si? Ma guarda. E poi Elio Germano per il regista Daniele Luchetti (premio per la miglior sceneggiatura) che vince il Globo per il miglior attore in Confidenza, insieme ad Antonio Albanese per Cento domeniche, film da noi consigliato, e il nostro factotum Pierfrancesco Favino per Comandante. Sul palco Germano spiega il detto “merda merda merda”, riconducibile a quella lasciata secoli fa dai cavalli che portavano il pubblico ad assistere alle prime degli spettacoli presso i teatri, e più ce n'era è più era sinonimo di successo. A sto punto ci promettiamo di vedere Confidenze quanto prima. Arriva Paola Cortellesi, premiata per la miglior regia con C'è ancora domani, una storia ambientata nel consueto stile neorealista postmodernista che pare ci piaccia tanto. Ma Anna Magnani se n’è andata da un po’, rassegniamoci. È ora di qualcosa di nuovo.
Poi Matteo Garrone, premio per la miglior regia e sceneggiatura, sul palco con il protagonista di Io Capitano, il bel Seydou Sarr, lucido come l'ebano, alto come una palma da dattero e con un grosso anello alla mano sinistra, che si sbraccia per dire grazie al sant’uomo che gli ha fatto fa l'attore. Per Giovanni Veronesi, premiato per la miglior commedia Romeo e Giulietta, abbiamo un certo risentimento, perché ci inchiodò a vedere il suo Colibrì, per la regia di Francesca Archibugi, che prendemmo per i fondelli tutto il tempo, due anni fa. Un plauso alla giovane promessa Rebecca Antonaci e a Maurizio Lombardi per il premio italiani nel mondo (?) e ci siamo. La cerimonia è terminata, l’anarchia si è impossessata della grande platea all’ombra di Villa Massimo, tutti guardano Sting e Sting guarda il buffet. L'autore di Russians viene imboscato a un tavolo nella rientranza della siepe, le file per accanirsi sul buffet iniziano a ingrossarsi. Noi anche siamo in fila e scopriamo che la pasta è ignobile e il tacchino pure. Il cameriere urla “jaa avemo dato da magnà a Sting?”. Un giro di saluti tra una faccia nota e una in cerca di notorietà e poi ci sentiamo leggere nel pensiero da un tipo con gli occhiali: “È una cricca. Sono sempre gli stessi che si raccomandano tra loro”. Quanta saggezza. Noi vorremmo andare a stalkerare Sting ma deve essere già molto dura per lui poveretto, meglio infierire sulla dj Daniela Martani alla consolle. Il gelato Carpigiani, tra l'altro, da solo vale tutta la serata e così ci detergiamo le sinapsi con una coppa di basilico al limone e zabaione al carretto. Il senso di questi ricevimenti è quello di premiare sempre i soliti, per film italiani spesso sopravvalutati, visti da un pubblico per lo più ignorante, che ignora tutto il materiale estero di enorme spessore, che da noi non arriva quasi mai. Vale la pena assistere al Globo d’oro insomma? Beh, almeno in questo luglio afoso si stava al fresco, dai.