Le stragi sul lavoro come quella di Calenzano sono sempre eventi di cui ci si dimentica troppo in fretta. Manca la pressione mediatica, non vanno di moda. Personaggi pubblici, influencer e i media tutti non prendono mai una posizione netta e conclamata come succede, per esempio, con i femminicidi. I morti sul lavoro non vanno mai in trend, questo è quanto. Ma nel caso di Eni c'è un problema ancora più grave, perché in questo caso la tragedia ha un nome ancora più drammatico: strage di Stato. Per chi non lo sapesse, e forse ce lo si dimentica troppo facilmente, il cane a 6 zampe è un'azienda il cui maggiore azionista è la Repubblica Italiana, più del 30%. 1.001.765 880 azioni per un valore di 14.184 milioni di Euro. Può bastare? Pensate che Eni spa, seconda azionista di sé stessa, non ha nemmeno il 3% delle azioni. Un decimo di quelle in mano allo Stato. Nulla di nuovo, ma il problema è questo: avete sentito qualche dichiarazione ufficiale del governo sulla strage? Il ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, al cui ministero fanno riferimento le quote di Eni, ha parlato? Matteo Salvini, sempre duro e puro in caso di tragedie e morti, avrà twittato qualcosa? La risposta a tutto è una sola: un enorme e pesantissimo no.
Facciamo un giro sui social. Chiara La Porta, deputato di Fratelli d'Italia, ha ricordato le vittime in Parlamento, e il messaggio di cordoglio è stato ripostato sul profilo di partito. Stop. Tragedia, cordoglio e altre formalità. Nessun riferimento alle cause, ai colpevoli, alla responsabilità statale. Poi una sfilza di repost in cui si parla di Politico, Meloni e riduzione degli sbarchi. Lato opposizione le cose non vanno meglio: il Partito Democratico su Instagram ha chiesto al governo di riferire immediatamente in Parlamento perché “chi esce al mattino per andare a lavoro ha il diritto di tornare a casa dalle proprie famiglie”. Attaccare sì, ma con moderazione. Carlo Calenda, che è sempre molto attivo su Stellantis, e Più Europa? Non pervenuti. L'unico a intervenire in maniera precisa è Angelo Bonelli di Avs, che sta lavorando “ad una interrogazione parlamentare indirizzata al Ministro degli interni e dell’ambiente. Tutto ciò è inquietante. Il governo invece di preoccuparsi della sicurezza degli impianti dal rischio di incidenti rilevanti (ce ne sono 974 in tutta Italia) e prevenire incidenti disastrosi come quello di Calenzano, programma esercitazioni con i reparti speciali per fermare qualche manifestante e ipotetici attacchi di ambientalisti”.
La procura ha parlato di “condotte scellerate” dietro al disastro, e non si può che concordare. Eni si è premurata di rassicurare clienti e fornitori sul fatto che sta collaborando con le autorità giudiziarie, che è “prematuro ipotizzare le cause dell'incidente” ma soprattutto che “le fiamme non interessano il parco serbatoi”. Work must go on, si può, e si deve continuare a lavorare. Le testimonianze degli altri camionisti presenti non fanno altro che confermare la tesi della procura. Intervistato dal Corriere, un collega dei lavoratori travolti dall'esplosione ha spiegato che “ha sempre visto fare i lavori di manutenzione mentre riempiva il camion”. Immaginate, nello stesso posto, carburanti altamente infiammabili ed esplosivi con operai che saldano, tagliano col flessibile, battono il ferro e usano la fiamma per fare le bitumazioni. È davvero così difficile pensare che una scintilla sarebbe uscita prima o poi? La puzza di gas nello stabilimento di Calenzano, ha continuato il camionista, “era costante. Non da mesi ma da anni. Tanto che ci eravamo abituati”. Un altro autotrasportatore, poi, ha aggiunto che tutti i problemi erano stati segnalati da tempo alla direzione dell'azienda: “Sapete cosa ci rispondono? Che le valvole si rompono sempre e vanno cambiate. Però una volta quando si facevano questi lavori si fermava il carico del carburante, ora non se lo sognano neanche di fermarsi per un giorno”. La crisi, il capitalismo, la necessità di non avere e non concedere mai una pausa nemmeno quando la salute, il buon senso e la legge lo imporrebbero. La stessa legge promulgata dallo Stato che da Eni ottiene i dividendi, in quanto azionista. Il corto circuito è qui, e chiamiamolo anche conflitto di interessi. Tanto i morti sul lavoro non creano engagement.