La musica, come sempre, è il capro espiatorio della politica. Questo succede da quando esiste il pop, e ha contaminato tutti gli altri generi musicali. In questi giorni si parla molto della droga-zombie, il Fentanyl, e qualcuno ha accusato gli artisti trap di essere degli "influencer del narcotraffico". Sarà davvero così, o sarà che la musica fa comodo alla politica per scaricarci sopra le conseguenze di un disagio a cui dovrebbe per prima porre rimedio? Ma soprattutto, i trapper parlano davvero del Fentanyl nelle loro canzoni? Per orientarci al meglio, lo abbiamo chiesto al maggior esperto e teorico della musica trap in Italia: Andrea Bertolucci, classe 1990, che ha all'attivo collaborazioni con redazioni web e televisive nazionali, è stato intervistato dal New York Times e da Report in qualità di osservatore attento di cultura giovanile, ha scritto un libro che è la Bibbia del genere come Trap Game, ma soprattutto perchè se ne occupa fin da quando questa ha mosso i suoi primi passi nel nostro Paese.
Andrea, oggi tutti, il governo in primis, accusano i trapper di aver sdoganato il Fentanyl. Ma è così?
C’è un grande rumore di fondo e un miscuglio, un mix di argomenti diversi che, se devo essere sincero, questo esecutivo tende ad alimentare. La questione del Fentanyl, in maniera molto onesta, non riesco a capire come sia collegata ai temi della cultura trap. La trap ha, e ne parleremo sicuramente nel corso dell'intervista, un fortissimo Dna tossico. Tra l'altro io stesso ne faccio coincidere la nascita con l'ascesa della Black Mafia Family, un'organizzazione di narcotrafficanti, quindi diciamo che sono il primo ad esserne consapevole. Ma oggi, in quella che è la scena attuale, la diffusione del Fentanyl è residuale: immagino ci possa essere in maniera privata per alcuni artisti, ma non ne riesco a vedere il nesso con la musica.
Spiegaci meglio.
La sostanza principale di cui parla la trap, la droga che ha evocato come totem, è la lean. È un altro tipo di sostanza e ha molte, molte differenze rispetto al Fentanyl. Il Fentanyl è una sostanza che viene consumata principalmente per iniezione. La codeina, base della lean, invece, viene mescolata con la Sprite e con altre bevande gassate, e diventa per l’artista anche un elemento estetico, per via del suo colore e delle sue sembianze. La vediamo spesso all'interno dei video, la vediamo spesso sul palco, durante i live, cosa che invece non accade con il Fentanyl. Quindi ecco, bisogna un attimo rimettere a posto un po' di elementi, perché in questo periodo le accuse sono un po' eccessive. Abbiamo perso diversi artisti americani a causa del Fentanyl, da Coolio fino a Lil Peep, passando per Mac Miller se estendiamo alla scena urban. Quindi di morti per consumo di Fentanyl purtroppo ce ne sono stati, ma non vedo una correlazione diretta a livello di narrazione artistica nelle canzoni. Diverso è se parliamo della lean. E tra l'altro c'è anche un'altra grande differenza, direi sostanziale, che risiede proprio nella facilità di reperibilità della lean. In molti Paesi è di facile reperibilità come semplice farmaco, a differenza del Fentanyl che deve essere prescritto. Da una parte stiamo quindi parlando di una sostanza che viene spacciata, dall'altra di una sostanza che viene acquistata e poi usata in maniera impropria. C'è questa differenza sostanziale.
Quindi la trap ha inventato la codeina?
Ti posso raccontare che in realtà la trap in questo senso non ha inventato nulla, perché la storia della codeina nella musica in realtà inizia ben prima, inizia a Houston, nei locali blues. C'erano molti locali blues negli anni '60 frequentati da uomini, principalmente afroamericani, i quali avevano scoperto che mescolando la codeina, ovvero lo sciroppo per la tosse, con la birra, perché all'epoca lo facevano principalmente con la birra, andavano "high", come si suol dire. All'inizio era rimasto un fenomeno pressoché locale, a Houston. Poi è successo che un artista di nome D.J. Screw, di Houston, le cui gesta e la cui influenza hanno ripreso poi molti artisti successivi come Travis Scott, l'ha sdoganata parlandone per primo nei suoi lavori, nei suoi mixtape. Ma in realtà è una cosa di cui già si faceva uso prima. Poi diventò ancora più popolare con i Three 6 Mafia, che gli dedicarono una canzone nel 2000, intitolata appunto Sippin on some syrup. Da lì in poi, si è diffusa. Però io, ecco, metterei proprio l'accento su questa instagrammabilità della lean rispetto ad altre sostanze. Perché poi c'è anche tutta un'altra wave altrettanto pericolosa, che riguarda invece l'abuso di psicofarmaci, un altro tipo di sostanze che si trovano molto più facilmente e non hanno invece quei canoni estetici, macina like e visualizzazioni sui social, dei quali però oggi c'è un'ampia diffusione e assunzione anche tra gli artisti. Ecco, forse sarebbe il caso che il governo lavorasse sulla prevenzione anziché puntare il dito continuamente sulla cultura. Che poi la cultura trap e la sua espressione musicale, intendiamoci, registrano delle situazioni che sono già in atto, dei cambiamenti che già stanno avvenendo. Quindi forse questi campanelli di allarme è meglio ascoltarli in anticipo che non vietarli. E te lo dico perché da Londra agli Stati Uniti, per non parlare della Cina, questo sta già avvenendo e ho paura che a breve ci arriveremo anche qui da noi.
Che nella trap comunque ci sia un problema di dipendenza, questo si può dire?
No, c'è una narrazione della dipendenza, cioè un coraggio nell'esprimere il disagio che deriva da una serie di problematiche che sono sociali, comprese la dipendenza. Questo tipo di problematiche non nascono con la trap e con la trap non moriranno, quindi forse ha più senso andare ad agire sul contesto sociale che non sulla espressione artistica di questo momento storico.
Parlando di musica, comunque, c'è stato di tutto, mi vengono in mente Charlie Parker e l'eroina, il rock psichedelico, il punk, gli esempi sono infiniti.
Ma certo, assolutamente. Ma ti dirò di più. In realtà la sostanza fondante della trap, quella degli inizi, quella della Black Mafia Family, a cui appunto io faccio coincidere l'ascesa, è il crack. Quindi c'è stata già un'evoluzione a livello di assunzione di sostanze. Io con questo in realtà sono il primo a dire che la trap ha un Dna tossico, ma secondo me bisogna andare a capire il perché e andare in qualche modo, diciamo, a migliorare, a colpire quel tipo di sacche di criminalità, e non la narrazione. Come dice 50 Cent, penso che in realtà il rap non abbia fatto più danni di quelli che hanno fatto film come Scarface, e non mi pare che nessuno si sia mai sognato di vietarli. Sottende un disagio che va oltre la musica, insomma, ma riguarda la politica. Detto fuori dai denti, trovo piuttosto inquietanti le dichiarazioni fatte finora dal governo, cioè come dire, che finché rimangono in qualche modo dichiarazioni, ce le teniamo come tante altre, ma personalmente ho come la sensazione che ci sia una sorta di meccanismo più complesso sotto. Ricordiamo che la maggior parte dei fan e dei consumatori del rap oggi in Europa, Italia compresa, sono i giovani bianchi della middle class, della classe media. Cioè, è quello il mercato. Dall'altra parte, i rappresentanti di questa cultura invece sono soprattutto i giovani immigrati di prima e seconda generazione. Quindi ho come l'impressione che sia legato alla paura di un contagio, di una influenza, che questa cultura ha rispetto a quello che è il contesto politico attuale, soprattutto da parte dei nazionalismi e delle destre europee.
A proposito di cultura, pensavo anche alla letteratura. I paradisi artificiali di Baudelaire, il saggio sulla cocaina di Freud, Michel Foucault che aveva provato l'Lsd, l'alcool di Bukowski: dove lo posizioneresti il confine tra l'estetica e l'istigazione? Ci può essere davvero emulazione?
Il confine risiede negli occhi di chi guarda, di chi fruisce. Nelle orecchie di chi ascolta, soprattutto. C'è da dire che il pubblico di questo tipo di musica e di cultura è un pubblico molto giovane, ma è un pubblico anche molto sveglio e quindi credo che sia lì che in qualche modo debba essere definito questo limite tra la narrazione e l'azione, perché altrimenti ci rimangono solo i divieti. Parlando di divieti, abbiamo degli esempi molto vicini a noi: a Londra c'è stata un' operazione chiamata "Operation Domain", per la quale YouTube ha dovuto rimuovere qualcosa come 130 video rap dalla piattaforma, su richiesta della Polizia di Londra, nell'ambito di una guerra tra bande. Sinceramente non capisco perché la prima e unica cosa sulla quale si è puntato il dito è l'espressione artistica, in questo caso i brani e i video musicali. Io non credo che la polizia dovrebbe avere il potere di vietare l'esecuzione o la pubblicazione di musica e soprattutto che le piattaforme non dovrebbero essere tenute a collaborare. Le guerre tra bande nelle grandi metropoli ci sono, ci saranno, ci sono sempre state. Ma soprattutto non è questa la via, te lo dimostra il fatto che alcuni di questi collettivi hanno poi ricaricato su Pornhub i contenuti che erano stati rimossi da YouTube. Secondo me la riflessione da fare è molto più sottile, molto più profonda.
Invece in Italia qualcuno ha parlato del Fentanyl? Nei testi compare davvero?
Non che io ricordi, e se compare, compare in maniera residuale, menzionata all'interno di elenchi di più sostanze, ossicodone, ketamina, Fentanyl. Può darsi che ne abbiano parlato anche degli artisti italiani, ma se viene fatto in una canzone ogni mille, non mi sento di gridare "allarme Fentanyl".
Parlando di trap, invece, qual è il suo stato di salute oggi, in America ma soprattutto in italia?
Mi piacerebbe proprio partire dall'America, perché in realtà tutto quello che succede avviene prima lì e poi arriva da noi. Tra l'altro la trap, come in realtà anche tutto l'hip hop, tutta la cultura hip hop, è, diciamo, un'espressione talmente veloce, talmente risoluta, un po' come la canzone Dolcenera di De Andrè, in cui c'è l'acqua che si insinua in ogni fessura. La trap è uguale, si insinua molto velocemente in ogni fessura culturale, tanto da essere arrivata in alcuni paesi europei, tra cui l'Italia tra l'altro, ancora prima che si affermasse l'attuale composizione sociale del nostro paese. Mi spiego meglio: la trap ha registrato in anticipo degli avvenimenti che sono successi dopo, perché non dimentichiamoci che si tratta comunque di una cultura che ha alle spalle una storia lunga ormai 30 anni. Io stesso l'ho datata agli inizi del 2000, proprio con l’avvento della Black Mafia Family. Ed è proprio in virtù di questa velocità che ha nel registrare i cambiamenti, che dovrebbe essere, secondo me, ancor più ascoltata dalle istituzioni, più attenzionata. Tornando alla domanda che mi hai fatto, fino a pochi anni fa la Francia, che è tuttora un Paese molto caldo nelle periferie, è sempre stata il secondo mercato rap al mondo, laddove chiaramente il primo sono gli Stati Uniti. Ora invece le cose stanno cambiando, l'Italia e anche l'Inghilterra stanno avendo un posto di rilievo, oserei dire, al pari della Francia. Questo è, secondo me, un fenomeno importante da attenzionare. Ti direi quindi che lo stato di salute della trap, a livello internazionale, a livello americano, cioè dove è nata, non è poi così buono in questo momento. Ma in Italia, dove avviene tutto con un po' di ritardo, credo che dovremo ancora farci i conti per qualche anno.
In Italia c'è stata questa crescita esponenziale della trap, almeno da dieci anni. Come è arrivata qui?
L'anno cardine è un po' a cavallo tra il 2014 e il 2015, io faccio riferimento al primo album che si intitola "Che ne sai" di Maruego, che tra l'altro ascoltava molta roba francese, ascoltava Booba, ascoltava i PNL. Maruego è un artista, come dicevamo prima, di seconda generazione, marocchino, come si capisce già dal nome. Lui ha preso e portato in Italia quel tipo di sonorità, ha iniziato a contagiare il rap italiano facendo featuring con Guè, con Fibra, con artisti che erano veramente all'apice della loro carriera, rispetto a oggi in cui il primo si lancia in reunion nostalgiche con i Club Dogo, e il secondo si svende ai talent su Netflix. Ecco, in quel momento in cui loro erano veramente al top, arriva questo ragazzino di seconda generazione che importa queste nuove sonorità e questo nuovo modo di rappare. Poco dopo sono poi arrivati la Dark Polo Gang, Sfera Ebbasta e, a seguire, un po' tutta la generazione che conosciamo oggi.
Come è nata?
Io faccio coincidere la nascita della trap con l'avvento della BMF, la Black Mafia Family, un'organizzazione criminale di narcotraffico legata a due fratelli, che tutt'oggi si trovano detenuti negli Stati Uniti, i fratelli Flenory. In pratica loro fondano un’etichetta, una label discografica, per ripulire proprio il denaro sporco che arrivava dal narcotraffico. Quindi da una parte riescono a riciclare i proventi illeciti, e dall'altra hanno i primi trapper, quelli che più volte ho definito come gli aedi dei narcotrafficanti, che fanno marketing e cantano le loro “gesta”. Inoltre, la trap nasce in un contesto molto diverso dal rap. È un contesto chiuso, fumoso, claustrofobico, quello delle cucine delle trap houses. Immaginate di entrare lì dentro e di iniziare a tossire. Invece l'hip hop nasce negli anni Settanta dai block party degli afroamericani che si svolgevano principalmente sui tetti, quindi in un contesto open air, solare, un ambiente completamente diverso.
Secondo te finora qual è stato il punto più alto della trap, e quale quello più basso?
Bella domanda: il punto più basso, te lo dico con molta facilità, sono proprio certi articoli, certe narrazioni, certi dibattiti televisivi che mi capita di vedere e certe dichiarazioni anche da parte di chi ci sta attualmente governando. Quello credo sia il punto più basso e non per colpa sua peraltro. Il punto più alto, in Italia credo che non ci sia ancora stato. Credo che le maggiori sorprese le avremo da qui a due anni. Prepariamoci alle scommesse a livello artistico. Poi chiaramente molto dipende dall’evoluzione del mercato, dalle label discografiche, un altro capitolo molto spinoso da aprire. Però attualmente si sono affacciati alla scena molti artisti che se vengono trattati e fatti crescere bene, possono dare grandi soddisfazioni. Uno di questi è Kid Yugi, un rapper di Massafra, pieno Sud Italia. Il primo artista pugliese ad arrivare con questa veemenza e con questa forza sulla scena. Lui è molto forte, ma ce ne sono anche altri, per esempio Artie 5ive. Oppure, tra i nomi che si sono appena affacciati alla scena, posso citarti 22Simba, un ragazzo di Saronno fortissimo nella scrittura, o Faneto, che sta contribuendo a portare in Italia un sound freschissimo denominato “Baton Rouge”. Negli Stati Uniti, invece, bisogna secondo me concentrarsi su un personaggio: il fenomeno Kanye West, che è sotto i riflettori di tutti, ma che in realtà nessuno ha effettivamente compreso fino in fondo. Lui è quello che secondo me, non solo nel rap ma nella musica in generale, sta cambiando di più le carte in tavola. Ma mi fermo qui, perché su Kanye andrebbe fatta un'intervista a parte.
E le piattaforme streaming che ruolo hanno?
L'avvento delle piattaforme di streaming, prima negli Usa e poi in tutto il resto del mondo, è stato veramente una rivoluzione. Ti faccio un esempio: Lil Uzi Vert, un artista rap americano che colloco tra i primi 20 per popolarità e per numeri, ha avuto una genesi artistica totalmente casuale, ai limiti dell'inverosimile. La traccia che lo ha fatto esplodere, i cui diritti erano detenuti dalla label di Atlanta “Generation Now", era stata già diffusa su SoundCloud, che all’epoca riuniva principalmente i nerd dell’hyperpop. Un mese dopo, questa label di Atlanta risolve i crediti al produttore e la traccia viene aggiunta a Spotify, Apple Music e alle principali piattaforme di streaming. Qua entra in gioco Spotify, nella persona di un “Deus Ex Machina” leggendario: Tuma Basa, un signore afroamericano che deteneva personalmente le redini della playlist rap più importante al mondo, Rap Caviar. Per darti una dimensione, Rap Caviar ha attualmente più di 15 milioni e mezzo di follower. Lui prende la traccia di questo emergente, Lil Uzi Vert, intitolata “XO Tour Life”, che oggi è uno dei brani più ascoltati al mondo, e la inserisce nella playlist. Non solo: la inserisce nella prima posizione della playlist. In pratica, con un semplice gesto spiana per sempre la carriera a questo rapper. In un'intervista rilasciata in anni successivi gli hanno chiesto come mai avesse fatto questa scelta, perché ricordiamo che Lil Uzi all’epoca non era un artista affermato, tutt'altro. Tuma Basa risponde che quando ascoltava quella traccia, gli sembrava di sentire Kurt Cobain e Courtney Love mentre litigano. Praticamente la carriera di uno dei più importanti rapper al mondo è nata da un meme, anche se sarebbe interessante capire fino a che punto la gestione delle playlist editoriali avviene ancora oggi in questo modo.
Invece la scena oggi come la vedi? Sta godendo di questo trend di stabilità e rischia di non sapersi rinnovare in un prossimo futuro?
Io credo che la trap in Italia, essendo ancora una cultura giovane rispetto ad altre, stia tuttora costruendo la propria identità e lo sta facendo sui paradossi del presente. Nascendo in anni precari, si trova a dover raccontare di una generazione che ha pochissimi punti fermi, caratterizzata da questa schizofrenia narrativa e comportamentale. Per cui da un lato abbiamo l'ostentazione del successo economico e sessuale, che poi fa emergere tutte le polemiche che conosciamo, dall'altro invece racconta di una profonda solitudine, una sofferenza emotiva che tra l'altro è anche il motivo che porta all'abuso di farmaci e di sostanze. Quindi, secondo me, la trap in Italia sta vivendo proprio questa dicotomia: sta cercando ancora di costruire una propria identità, ma contemporaneamente sta faticando a trovare un interlocutore da parte delle istituzioni e della politica, oltre che da parte dei media.
Poi c'è anche il tema dell'età: gli artisti crescono, e cresce anche il pubblico. Come affronta il settore questo cambiamento secondo te?
Beh, si pensa di prendere un artista che ormai ha 45-50 anni, gli si fa fare un featuring con uno di 18-19 anni e la si risolve così. Però il tema è molto più complesso. La trap, come ho già detto più volte, ha ormai quasi 30 anni d’età e continua a essere la colonna sonora del nostro presente. Per capire il cambiamento bisogna seguire gli artisti, quelli più giovani intendo, anche quelli di seconda generazione. Vanno studiati e analizzati, proprio perché danno voce a una comunità che non ha mai avuto una rappresentazione sociale, politica, linguistica e religiosa. Prendi i PNL in Francia, bersaglio preferito dei nazionalisti di Marine Le Pen, in quanto primi e unici artisti di lingua francese, ma non di origine francese, ad aver girato un video sulla Tour Eiffel. Pensa te che smacco: hanno concesso la Tour Eiffel per un video non di Aznavour, ma dei PNL, due nordafricani che contaminano la lingua francese e parlano apertamente di Islam, facendolo diventare addirittura un motivo d’orgoglio e di appartenenza. Capisci bene che tutto questo possa dare fastidio a qualcuno, in questo momento.
Pensando al futuro, ce li vedi i fan di oggi a cantare le canzoni trap a 60 anni?
Tutti tatuati in faccia, certo! Sicuramente ci sarà - e già tutt'oggi c'è - un rinnovamento stilistico nella trap. Più che un rinnovamento, in realtà, è una suddivisione in più sottogeneri, in più correnti. Siamo partiti da una sorta di magma comune, da cui poi, pian piano, si sono originati tanti sottogeneri, tante sottoculture, che oggi però convivono d'amore e d'accordo. Quindi, secondo me, sì, ci saranno sicuramente dei cinquantenni, tra qualche anno, che andranno ai concerti di Sfera Ebbasta, anche se è già sufficiente andare a quello dei Club Dogo per notare questo fenomeno. Però contemporaneamente questo genere continuerà a rinascere quotidianamente sotto altre sembianze, che faranno comunque tutte riferimento a quella che è la madre di tutti, la trap. Non il trap. Molti dicono il trap, a me piace dire la trap, al femminile. La trap perché si declina con la cultura, la musica, che sono tutti sostantivi femminili. E basta con questa cronaca che accosta la trap ai femminicidi. Ho ascoltato tutti gli interventi, uno per uno, dei vari Crepet, Capotondi & co, tutti dei grandissimi professionisti nei loro campi. Ma davvero non capisco cosa li porti a parlare di fenomeni che non conoscono, o che credono di conoscere perché hanno ascoltato tre canzoni su Spotify.
Parlando invece di artisti che hanno fatto un cambiamento: penso a Ghali, che qualche anno cantava "felice di fare musica per ragazzini", invece adesso sembra aver impresso questa svolta più matura, politica, al suo percorso. Come lo vedi tu?
Credo che Ghali stia vivendo a sua volta quella dicotomia di cui ti parlavo prima. Da una parte va a Sanremo con un brano che oserei definire più “conscious”, più “politico”, che contiene delle istanze che io stesso condivido. Contemporaneamente però, è uscito pochi mesi fa con un album che già guardava al futuro della trap, che in un editoriale ho definito come “un potente spoiler sul futuro della trap italiana”, ma anche europea, virando talvolta verso sonorità rage. Quindi secondo me attualmente lui sta percorrendo questo doppio binario, e non ti so dire se e come riesca a conciliare il nuovo profilo da alfiere televisivo, con l'altro lato artistico di sé che aveva ricominciato a raccontare. Io credo ci stia riuscendo e anche molto bene, perché lo vedo maturo e finalmente consapevole: è stato raccontato dal New York Times, è stato inserito dal Times fra i 100 leader del futuro, insomma sta raggiungendo dei risultati impensabili. Eppure fino all’ultimo ho sperato che portasse a Sanremo un brano marcatamente trap, totalmente futuristico, come quelli contenuti in Pizza Kebab Vol.1. Diciamo che mi aspettavo più una detonazione musicale che contenutistica.
Invece di altri artisti mi viene in mente Chiello che si è riciclato come cantautore, di lui cosa mi dici invece?
Sì, diciamo che c'è una tristezza di fondo che permea le nuove carriere degli ex membri delle band trap, come gli FSK o la DPG. Seguendoli nel loro percorso solista si percepisce una difficoltà nel definire, più che altro a se stessi, la direzione del proprio progetto. Non credo sia neanche del tutto colpa loro, quanto delle major discografiche che li trattano alla stregua di emergenti che devono ricominciare da zero il proprio percorso artistico, e vederli (ri)fare quella gavetta mi mette un po' di tristezza. In attesa di tempi migliori, tra qualche anno, quando torneranno sicuramente con una reunion.
Sfera Ebbasta, è davvero il Vasco Rossi della trap?
Sì, sì, decisamente, si è autodefinito così e credo che anche Vasco gli abbia - diciamo - confermato questa corona, pur non avendo mai lavorato con lui. Sfera è inarrivabile, credo che abbia vissuto a sua volta momenti un po' difficili, ma quest'ultimo album, con l’operazione anche promozionale del ritorno al quartiere, mi ha emozionato. Utilizzo propriamente questo termine perché lui è uno che riesce ancora a emozionare, e a toccare le corde di una platea trasversale che va dai 14 ai 35 anni. Quindi che gli vuoi dire?
E invece il prossimo grosso nome quale può essere, in Italia?
Allora, i prossimi grossi nomi in Italia, secondo me, sono quelli che ti citavo prima: Kid Yugi, un ragazzo di Massafra che lui definisce “Massafghanistan”. Yugi è appena uscito con un album dove c'è dentro di tutto, c'è anche la politica, l'Ilva, insomma, tematiche un po' scomode che affronta con una forza narrativa che da un po' non sentivamo, e questo mi fa ben sperare. Anche Artie 5ive trovo che sia uno con un grande potenziale. Chiaramente poi bisogna capire anche a livello di investimenti e di carriera, quale tipo di percorso vorranno fargli fare. Però secondo me i nomi grossi che già sono usciti con almeno un album da solista, sono questi. Poi ci sono quelli che devono far uscire ancora un primo progetto, e alcuni te li ho già citati. C'è 22Simba, un ragazzo di Saronno nonché un mio caro amico, che è fortissimo. Ha proprio una bella penna, scrive bene. E poi ce ne sono altri che stanno cercando di andare a fare quello che ha fatto Maruego all'inizio con la trap, ovvero prendere sonorità che all'estero sono già affermate e portarle in Italia, come Faneto, un ragazzo che lavora con Artie 5ive e Rondo da Sosa, e che deve ancora uscire con i suoi progetti principali. Lui è uno che lavora con sonorità molto americane, che qua in Italia non hanno ancora grande successo. Quindi diciamo che di innovatori ne abbiamo anche qui nel nostro Paese, però chiaramente non dipende solo da loro e dal loro talento, dipende anche dal mercato e dalle discografiche.
Solo due commenti su due fatti di cronaca legati alla musica trap. Il trapper Jordan Jeffrey Baby che è stato trovato morto suicida in carcere, dopo essere stato arrestato per rapina.
Sì, ho letto, e chiaramente a livello umano mi dispiace molto. L'aspetto giuridico e processuale non lo commento perché non lo conosco, non ho letto gli atti. Certo è che - indipendentemente dal fatto che uno sia un artista trap - se un ragazzo di 27 anni arriva a commettere un atto del genere in carcere è, come ha detto il Presidente Mattarella in merito ai manganelli, un fallimento e una sconfitta per la nostra società e per lo Stato. Contemporaneamente vorrei far notare come i media facciano ormai una grande confusione. Basta che uno abbia pubblicato una canzone sul suo profilo Instagram, e diventa automaticamente un trapper, con tutte le conseguenze e le ripercussioni legate alla cronaca. Io invece vorrei rimettere un po’ di distanza anche in questo caso: questa è una sconfitta dello Stato, non della musica trap.
Idem per Medy Cartier che, notizia di questi giorni, è tornato in carcere.
Sì esatto, ho letto, credo sia già la seconda o terza volta che entra ed esce e lui è un artista già più consolidato all'interno dei meccanismi delle etichette discografiche, nel senso che ha un contratto vero e proprio, ha pubblicato dei singoli anche forti, fa dei live, però anche in questo caso, non conoscendo approfonditamente la vicenda giudiziaria, lo posso giudicare da un punto di vista musicale ma non da un punto di vista giudiziario.
Cioè, criminalità può essere davvero sinonimo di credibilità o no?
Certo, gli artisti fanno a gara per accaparrarsi questa street credibility, anche là dove non ce l'hanno. Pensa a Rick Ross, un rapper americano fortissimo, che ha passato buona parte della sua carriera a costruire un passato criminale che non aveva, dal momento che di lavoro faceva la guardia carceraria. Eppure se ascolti le sue canzoni, narra comunque quelle gesta, quelle vicende, in qualche modo romanzandole. Quindi un conto è la narrazione, che nel rap ci deve essere, il problema è quando poi si trasforma in azione. Non è che se Martin Scorsese fa un film su i mafiosi, poi si mette a sparare alle bande rivali. Con le dovute proporzioni, Medy Cartier e gli altri rapper sono i creatori dell'atto artistico, così come Scorsese lo è per i suoi film. E queste dinamiche si ripetono, ciclicamente: non capisco perché non vengano invece affrontate alla radice. Dopo Sanremo ha fatto discutere la scelta di Sangiovanni di volersi ritirare dalle scene. Proprio oggi ascoltavo un programma di Paolo Mieli dove si parlava invece di Elvis Presley, e del suo rapporto conflittuale con il manager. Negli anni ’60, ’70, ’80, ’90, esistono tantissimi esempi di artisti che già lo hanno fatto, talvolta rinunciando alla propria carriera. Sangiovanni ha fatto benissimo a prendersi una pausa e gli auguro il meglio, ma non capisco perché anche questa sia diventata un'occasione per dire che allora la musica urban, rap e trap vadano regolamentate. Sembra davvero che oggi ogni occasione sia buona. Se esiste un disagio, mettiamo una luce su questo. Invece di continuare a prendere la forma artistica in sé, la canzone, e sbatterla in prima pagina, pensando che creare protocolli sia la soluzione. No. Andiamo a vedere cosa sta dietro la canzone, mettiamo in discussione il mercato.