La curva Sud chiede un confronto con società, Procura e Questura per salvare San Siro. L’intento è lodevole, ma siamo certi che le modalità siano quelle giuste? Partiamo da una questione: l’unico vero confronto tra gli ultras della Sud e i giornalisti è avvenuto il giorno delle sentenze, fuori dall’aula bunker di San Vittore. Marco “Pacio” Pacini ha letto un comunicato, spiegato la posizione degli ultras e, soprattutto, confermato il sostegno a Luca Lucci, Islam Hagag e agli altri condannati in primo grado nell’inchiesta Doppia Curva. Ora Pacio è finito in blacklist, il Milan vuole tenerlo lontano dalla curva. Ne ha parlato in un’intervista a Milan Community di Luca Serafini: “Non può essere un'indagine che riguarda otto persone a portare dei provvedimenti che penalizzano tutto lo stadio, tutto il tifo”. Lo abbiamo detto anche noi in molti articoli: l’inchiesta non deve diventare un pretesto per colpire la totalità degli ultras e tutti i membri delle curve. Il movimento ultrà è sfaccettato, complesso, contraddittorio. Ma vedere tutti come dei criminali da escludere è un eccesso. Per le blacklist, spiega Pacio, il club “fa leva su tre episodi distinti: la contestazione a Casa Milan, il corteo prima della finale di Coppa Italia a Roma e il presidio fuori dal carcere di San Vittore, regolarmente autorizzati dove noi, io in primis, abbiamo esposto un pensiero che era lecito nel rispetto di tutte le opinioni, nel rispetto delle sentenze arrivate successivamente”. Nella comunicazione ufficiale del Milan, poi, si citano delle “segnalazioni delle Forze dell’Ordine” e delle questione di “ordine pubblico”. Ancora Pacio risponde su questo: “Sfido chiunque a dire che ci siano stati momenti di tensione e violenza. Lo stesso a Casa Milan, dove c'erano bambini di quattro anni sulle spalle dei papà a vivere una giornata di milanismo”.
Per alcune cose la posizione del capo ultrà del Milan è comprensibile. Le segnalazioni della polizia non sono state rese note, così come il fondamento dei rischi per l’ordine pubblico. Se davvero come dice Pacio è solo una questione di striscioni, allora la durezza dell’azione del Milan non potrà mai essere digerita dalla curva. Se è solo una questione di dissenso, allora di quelle restrizioni c’è poco da discutere. Restiamo in attesa di altre notizie e chiarimenti da parte da istituzioni e società. Su altre questioni, però, è più complicato seguire l’argomentazione di Pacini. La Nord dell’Inter e i suoi hanno preso le distanze fin da subito dal vecchio direttivo, mentre la Sud questo non lo ha fatto. Anzi, lo ha sempre ribadito: noi stiamo con Lucci e i nostri compagni, nonostante tutto. Nonostante la gravità dei reati di cui sono imputati, della violenza che i capi ultrà hanno usato nei confronti di altre persone, anche esterne all’ambiente stadio, come a Motta Visconti. Sempre a Milan Community Pacini precisa “che attività legate ai parcheggi, ai biglietti, bar, baracchini, concerti e altro non riguardavano la curva del Milan”, e che “episodi di violenza legati a contorni extra-stadio, legati alla vita privata di alcuni componenti della curva che sono stati ricondotti al contesto curva”. Insomma, le “vicende private” già evocate all’inizio di questa storia. In primo grado, però, la sentenza ha confermato l’ipotesi dell’accusa e cioè quella dell’associazione a delinquere. Chi ha ragione lo sapremo solo dopo il terzo grado di giudizio.
Oltre alle sentenze, però, ci sono le ricostruzioni giornalistiche, i vari filoni delle indagini, i presunti legami con il mondo della discografia e dell’organizzazione di eventi. L’uomo di raccordo, forse, era Islam Hagag. A tutto questo Pacio accenna solamente. Nell’intervista l’altro interlocutore è Massimo Elice di Old Clan, storica figura del tifo milanista e anche lui in passato coinvolto in alcune vicende giudiziarie: venne condannato a un anno e otto mesi per rissa in seguito agli scontri del 29 gennaio 1995 tra gli ultras del Genoa e le Brigate Rossonere nei quali morì Vincenzo Spagnolo, tifoso del Grifone, accoltellato dal milanista Simone Barbaglia. Entrambi, Pacini e Elice, chiedono l’istituzione di un tavolo a cui sedersi insieme a società, Procura e Questura. “Questo tavolo deve essere chiesto pubblicamente dal Milan però, per far vedere che ci tiene. Ma il Milan si nasconde, prende i provvedimenti consigliati in modo acritico, senza porsi il problema se ha senso o meno”, dice Elice. Perché dunque, se giustamente si vuole proporre la curva come un luogo di valori e non di illegalità, non prendere una posizione più netta su quanto emerso a proposito dei vecchi leader? Inoltre, anche dopo i loro arresti, la violenza non si è fermata: Luca Guerrini, socio di Lucci, è stato assaltato a colpi di pistola in via degli Imbriani a Milano. Nemmeno quell’episodio c’entra qualcosa con le questioni di potere interne alla curva?

C’è infine un’altra questione: perché la curva Sud ha deciso di parlare solo attraverso i propri canali oppure per mezzo di microfoni “amici”, come inevitabilmente sono quelli di Milan Community? Perché non aprirsi a un confronto con il resto della stampa? Davvero si possono considerare sufficienti i comunicati? Il problema, nella prospettiva ultras, è che il giornalismo cerca solo il titolo, i nomi grossi, vuole parlare di cose che con la curva non hanno niente a che fare. Non è sempre così. C’è chi può restare nel merito, ascoltare gli ultras e quello che hanno da dire, senza pregiudizi ma rimanendo sui fatti e su ciò che dicono le carte. San Siro non è un teatro, le curve non sono covi di criminali, la repressione operata da Milan e Inter al momento appare eccessiva, o almeno troppo pesante per ciò che è emerso finora. Siamo d’accordo con Pacini e la Sud. Anche sui prezzi folli che hanno raggiunto i biglietti le posizioni degli ultras sono condivisibili, e infatti ogni appassionato lo ha evidenziato sui social. Il tifo organizzato è la benzina necessaria al funzionamento di una squadra, che senza il sostegno della curva avrebbe un’arma in meno a suo favore. Così è per il Milan e così è per l’Inter. Se San Siro deve restare una bolgia un tavolo di confronto serve. Ma tutti devono fare ciò che è necessario per arrivarci.

