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La deriva del calcio moderno. L’inchiesta Doppia Curva, gli ultras e i club, i soldi e le scommesse: l’intervista a Federico Ruffo, dalla ‘ndrangheta a San Siro alle plusvalenze. E la Seria A in Australia…

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

  • Foto: Ansa

10 ottobre 2025

La deriva del calcio moderno. L’inchiesta Doppia Curva, gli ultras e i club, i soldi e le scommesse: l’intervista a Federico Ruffo, dalla ‘ndrangheta a San Siro alle plusvalenze. E la Seria A in Australia…
Il caso dell’affare Victor Osimhen torna attuale dopo la diffusione delle intercettazioni trani dirigenti del Napoli. Ne abbiamo parlato con Federico Ruffo, giornalista ex Report e ora conduttore di Mi Manda Rai Tre: “La situazione è diversa rispetto a quella della Juventus”. E ancora: “La plusvalenza fittizia è il reato perfetto: del tutto indimostrabile”

Foto: Ansa

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Plusvalenze e bilanci, acquisti top e flop, scommesse vinte e perse. Sembra la rubrica di un programma televisivo. Invece è la Serie A delle inchieste e delle intercettazioni. Le ultime quelle che riguardano i dirigenti del Napoli sull’affare Victor Osimhen, acquistato dal Lille e poi tra i protagonisti dello Scudetto di Luciano Spalletti. Federico Ruffo, conduttore di Mi manda Rai Tre, autore con Jacopo Ricca del libro Ingiustizia sportiva e conoscitore delle dinamiche finanziarie dei club ci ha parlato di questo caso: “La plusvalenza fittizia è potenzialmente il reato perfetto, perché è tecnicamente del tutto indimostrabile”. Ruffo ha lavorato molto anche sugli ultras. Ecco cosa ci ha detto anche sulla curva Nord, la Sud, Andrea Beretta e Luca Lucci.

Victor Osimhen, protagonista dello scudetto del Napoli di Spalletti
Victor Osimhen, protagonista dello scudetto del Napoli di Spalletti Ansa

Federico Ruffo, si parla di nuovo dell’affare Osimhen, ma la questione plusvalenze ha radici molto più profonde.

Davanti al caso di Osimhen diventa ancora più chiaro che la plusvalenza fittizia è potenzialmente il reato perfetto, perché è tecnicamente del tutto indimostrabile. Bisogna anche capire cos’altro hanno in mano gli investigatori, oltre a quelle intercettazioni che sono circolate. Va detto che quelle conversazioni non costituiscono necessariamente una prova.

Spiegaci meglio la questione delle plusvalenze.

Le plusvalenze si basano sul valore che due privati danno alle prestazioni future, non passate, di un calciatore. Chi può intervenire dicendo la valutazione è eccessiva, è fuori mercato? Se c’è qualcuno che è disposto a pagare va bene. Serve inoltre che vengano lasciate prove scritte. Nella sede della Juventus, per esempio, hanno trovato prove tangibili, oltre al famoso libro nero di Fabio Paratici. Ma è un sistema che esiste da sempre. Quello che è assurdo è che nessun collega si fosse mai accorto che nella trattativa Osimhen ci fosse uno scambio che non stava in piedi.

Cos’è che non reggeva?

Parallelamente all’arrivo di Osimhen vanno al Lille il portiere Karnezis, che ha già 36 anni e nelle due stagioni successive giocherà una sola partita. I tre ragazzi della Primavera che vengono scambiati, per un valore complessivo di più di 20 milioni, non hanno proseguito la carriera a quel livello. Nessuno di loro aveva un passato che giustificasse quel valore e nessuno di loro è mai andato in Francia, neanche per turismo, non ci sono mai passati per loro stessa ammissione. I francesi non sapevano nemmeno chi fossero.

Com’è saltata fuori questa storia?

Il nuovo presidente del Lille, Létang, che è un personaggio un po' fuori dalle righe, quando arriva si mette a dare un'occhiata ai conti e si accorge che mancavano molti soldi relativamente alla vendita di Osimhen. Quindi segnala la cosa, le autorità francesi si fanno carico dell'indagine e poi chiedono chiarimenti a Napoli e poi a Roma. Altrimenti non ne staremmo neanche parlando in questo momento.

In cosa è diversa questa situazione rispetto a quella della Juve?

Nel caso della Juventus le plusvalenze hanno una portata diversa, sono più frequenti e continuative, quindi la penalizzazione è stata decisamente pesante ma giusta. Nel caso del Napoli di quanti punti parliamo? Il Napoli sarebbe diventato comunque campione? È complicato. Resta il fatto che stiamo parlando oggettivamente di un'eccezione, perché il Napoli di De Laurentiis è normalmente esempio di virtù da questo punto di vista, i suoi bilanci sono sempre in ordine, compra a poco e vende a tanto. A Torino, invece, era un sistema collaudato da anni.

Che vantaggio aveva il Lille a svalutare di fatto la propria rosa vendendo Osimhen e pareggiando i conti con dei giocatori sconosciuti?

Quella operazione frutta al Lille almeno 50 milioni, non pochi. Poi il Napoli aveva un accordo con Osimhen, il giocatore voleva andare. Nessuno era disposto in quel momento a dare al Lille più di quella cifra e alla fine il club si è ritrovato come se avesse acquistato quattro giocatori per più di 20 milioni. È comunque un'operazione che va a bilancio. Inoltre gli stipendi dei nuovi arrivati erano bassissimi.

Cosa pensi di ciò che si dicono i dirigenti in quelle telefonate?

Loro sapevano benissimo che l'operazione non era finanziabile se non in quel modo. Quando Giuntoli dice speriamo che non accettino si riferisce a questo: sanno di non avere quei 76 milioni e sanno che in qualche modo dovranno crearli.

Victor Osimhen e Aurelio De Laurentiis
Victor Osimhen e Aurelio De Laurentiis Ansa

Nel momento in cui metti a bilancio un giocatore che arriva per 7 milioni, come nel caso di uno dei giovani arrivati a Lille dalla Primavera del Napoli, e dopo tre anni si rivela un flop, come si fa a non considerarla una trattativa in perdita?

Quella cifra si va ammortizzando nel corso del tempo, quei 7 milioni valgono un contratto di diversi anni. Da un punto di vista squisitamente fiscale è un costo che viene ammortizzato. Sono soldi che al Napoli hanno fatto comodo, perché sono una plusvalenza netta, fatta su prodotti della Primavera, quindi a costo zero.

Nel tuo libro parli di un possibile parametro per evitare giochi di plusvalenze: lo stipendio. Valutare, quindi, il costo del cartellino e il salario che in genere un giocatore di quel valore guadagna.

Rimanendo nel caso del Napoli: non è possibile che un giocatore da 7 milioni guadagnasse così poco. Aggiungiamo che non c'è un algoritmo di riferimento, che è un po' il grande tema rispetto alle plusvalenze.

Cioè?

Se esistesse un algoritmo in grado di calcolare un valore di riferimento le plusvalenze non sarebbero più possibili. Però nessuno ci lavora. L'unico possibile paramento sono i valori che dà Transfermarkt. In tutto questo si scontrano due cose: quello che sappiamo e quello che può essere provato. Se i pm rimandano a giudizio De Laurentiis qualcosa in mano ce l’hanno, ma nessuno si metterà a processarlo per il bilancio dell’anno dello scudetto. Il processo sportivo, poi, si è già chiuso. Quindi, qualunque cosa dirà la giustizia ordinaria, per quella sportiva la questione è andata.

Le doppie velocità della giustizia sportiva e di quella ordinaria sono un tema centrale nel tuo libro.

La giustizia sportiva non ha ordini investigativi, quindi si deve basare soltanto sulle carte della giustizia ordinaria nel momento in cui questa apre il fascicolo, che di solito coincide con una fase ancora preliminare delle indagini. La giustizia sportiva ha fretta: entro la fine della stagione deve chiudere il caso. La giustizia ordinaria, invece, richiede tempo. Forse Chinè (Procuratore Federale Figc, ndr) non aveva a disposizione in quel momento tutte le carte, non lo so. Ora che quelle carte ci sono e magari, per ipotesi, si arriva a una sentenza ordinaria a sfavore del Napoli cosa succede? Quello scudetto effettivamente ha ancora lo stesso valore? La domanda sorge a distanza di cinque anni: che facciamo, togliamo lo Scudetto? Le risposte non le abbiamo.

Nemmeno i due presidenti, De Laurentiis e Agnelli, sono paragonabili nelle due situazioni?

De Laurentiis non figura quasi mai nelle intercettazioni. L'impressione, francamente, è che sappia fino a un certo punto. Poi Giuntoli e i suoi parlano, dicono di non scrivere nulla, l'avranno anche informato, ma non so quanta consapevolezza ci fosse da parte del presidente. Per Agnelli è diverso: Agnelli è sempre presente, tutto passa da lui.

Altro caso in cui c’è uno scarto tra le due giustizie: Calhanoglu e Inzaghi sanzionati dalla Procura Federale, mentre non sono mai stati indagati nell’inchiesta ordinaria.

È un contesto diverso, dato che penalmente devi dimostrare un dolo e un reato. I due nerazzurri hanno parlato con degli ultras già daspati, pregiudicati, cosa vietata solo dalle norme sportive.

A tuo avviso, quindi, dove sta il nodo di queste contraddizioni?

Il grande problema della giustizia sportiva è che non ha investigatori, non ha un organo di polizia che può indagare. Quindi deve ereditare quello che può dalla giustizia ordinaria in quel determinato momento.

"Ingiustizia sportiva" (Mondadori)
"Ingiustizia sportiva" (Mondadori)

Rimanendo sul caso di Inter, Milan e ultras: la società nerazzurra, alla fine, se l’è cavata con poco dal punto di vista sportivo. Secondo te è corretto?

Inter e Milan hanno fatto quello che fanno grosso modo tutte le società di calcio. Pur di non avere problemi con la responsabilità oggettiva rispetto all'operato degli ultras, gli dai i biglietti gratis. Lo sanno tutti perfettamente. Per un'altra inchiesta mi capitò di parlare con un ultrà interista che mi raccontò molte cose sulla Nord. E mi disse che i biglietti gratis in curva arrivavano già ai tempi di Trapattoni. “Perché”, mi disse, “hanno bisogno di noi, perché se tu non ci dai i biglietti noi ti distruggiamo lo stadio tutte le domeniche”. L'istituto della responsabilità oggettiva da quando è in vigore prevede che un club risponda anche di ciò che fanno i tifosi.

Anche il Milan, in passato, ha avuto problemi analoghi.

Ci sono dei precedenti giudiziari. Il passaggio del dominio della Sud da Sandokan Lombardi a Lucci non avviene per caso, ma perché Lombardi finisce dentro. Lombardi tenta di ricattare il Milan, ma a un certo punto esagera. Nel 2006 minaccia di continuare il lancio di torce in campo, che era già avvenuto in alcune partite, per avere dei biglietti dalla dirigenza. L'autorità giudiziaria, quindi, chiama Adriano Galliani dicendo che sono già a conoscenza dei ricatti. Solo a quel punto Galliani sporge denuncia. Tutti sanno dei rapporti tra società e ultras. Il punto rimane: cosa puoi dimostrare?

Cosa ti aspettavi dai due club di Milano?

La loro voce in tutta questa inchiesta è mancata sempre. C’è mai stata una comunicazione risoluta di Inter e Milan? C’è mai stata una netta presa di distanza? Solo dichiarazioni di circostanza. È uno scrigno pericoloso da aprire. In questo momento, per dire, il nemico peggiore dell'Inter è Beretta. Lui di certo non ha registrazioni, probabilmente non potrà nemmeno provare nulla. Ma magari parlerà.

La vera rottura è arrivata all’inizio di questa stagione con le blacklist.

Perché si ritrovano con tutti i leader in carcere. È una fase propizia, di grande pacificazione. Tutti i peggiori sono in prigione. E parliamo di gente come Lucci, un capo ultras che Milano non aveva mai visto prima.

Cos’è che ti sorprende di lui?

La violenza, la risolutezza, il suo spessore criminale. Lucci fa tremare le gambe. L’ho incontrato di persona: si percepisce che è diverso dagli altri.

Lato Inter, invece, cosa pensi?

Beretta, Bellocco, Boiocchi, sono tre capi ultrà assai pesanti. Boiocchi muore come un mafioso, in vita pare fosse coperto dai siciliani. Non era un criminale qualunque, tanto che comanda la curva dal carcere per più di vent’anni. Appena esce litiga con un altro capo ultras, Franco Caravita. Ma mica litigano per una cosa di poco conto: perché quel giorno la curva tributa il ritorno di Boiocchi e dice chiaramente che il capo è sempre lui.

Bellocco, sempre parlando di coperture, non è un cognome banale.

Il suo omicidio arriva in un modo non banale. Secondo me Beretta si accanisce su di lui perché non si può permettere di lasciarlo vivo. Sa che quello lo ha condannato a morte e che i suoi lo andranno a prendere. È un omicidio di mafia. Tornando sul punto: per Milan e Inter si apre una nuova stagione nei rapporti con le curve. Una stagione che si è aperta perché quella precedente è finita male.

Solo ora che sono tutti dentro possono effettivamente fare qualcosa?

Adesso si sentono sereni. Io personalmente ritengo che non l'avrebbero fatto mai. Poi è una mia proiezione personale, lascia il tempo che trova. Ma i segnali c’erano. A un certo punto Beretta massacra di botte un ambulante fuori dal parcheggio di San Siro perché era abusivo. Si dice che prendesse il pizzo dai venditori regolari. Come fa l'Inter a non sapere che è successa una cosa così? In assenza di questa ondata di arresti tutto sarebbe rimasto come prima. Pochissimi club hanno avuto il coraggio di dire no agli ultras.

Luca Lucci, il capo di curva Sud
Luca Lucci, il capo di curva Sud Ansa

Ferdico insiste nel dire che nella Nord hanno agito solo loro. Nessuna famiglia mafiosa.

Non siamo ancora a sentenza, ma le risultanze ci dicono già una serie di cose. Che gli ultras nel tempo hanno saputo strutturarsi in una maniera molto simile a quella degli eserciti criminali, costruendo un business interessante, con flussi di denaro notevoli. È ovvio che a un certo punto questo avrebbe fatto gola al crimine organizzato. Anche perché c’erano zone di attrito che nel tempo sono diventate zone di contatto sempre più pronunciate.

Parli di droga?

Chi gestiva la curva spesso e volentieri gestiva anche il mercato della droga dentro e fuori dello stadio. Ne sono una dimostrazione Lucci e Boiocchi a Milano e Fabrizio Piscitelli a Roma. Arriva un momento in cui o il leader della curva diventa a sua volta un boss o si mette in affari con i boss che arrivano come amici per poi prendersi tutto. Inter e Milan si spartivano tutto lo stadio. Anche questa alleanza senza precedenti, inconcepibile anni prima, è chiaramente figlia di un patto criminale, dove il tifo è passato totalmente in secondo ordine.

Il patto esiste da anni. Ciò che sorprende, forse, è il fatto che le due teste si parlassero in maniera così diretta.

Il fatto che loro si spartiscano in maniera così geometrica San Siro è incredibile. Devo dirti di più, credo che alla fine Boiocchi abbia pagato anche questo. Boiocchi che divide in maniera equa le cose con Lucci, per come mi è stato dipinto Vittorio, per quello che ho letto dalle carte, proprio non ce lo vedo. Quelli che sono venuti dopo avevano tutto un altro spirito, più imprenditoriale se vogliamo. Lì si scontrano due generazioni. La cartina tornasole, il punto di non ritorno, è lo scontro tra ultras di Inter e Napoli a Milano.

Quando viene ucciso Dede Belardinelli. Come mai vedi in quel fatto un momento così decisivo?

Avevo delle fonti dentro la curva, me lo dissero molto chiaramente. Boiocchi era uscito da poco e la vecchia guardia avevano ordinato di non arrivare allo scontro. Anche perché bisogna saperle fare quelle cose, dicevano. I giovani, Beretta, Ferdico e tutti loro non sentirono ragioni. C'era anche il figlio di Caravita che era vicino a Boiocchi. Decidono di fare quell'assalto. Chiamano quelli del Varese, chiamano quelli di Brescia. Finisce come finisce. E quella viene vissuta dallo Zio come una mancanza di rispetto mostruosa. Anche perché poi ci scappano il morto e gli arresti. Quelli della nuova generazione ci vedono la fine di Boiocchi: per loro è chiaro che non può più essere il capo.

Beretta da parte sua sembra consapevole dei nomi di coloro che si erano fatti avanti per prendersi la Nord ai suoi danni.

Aveva capito che non c’era più via d'uscita.

Antonio Bellocco, Andrea Beretta e Marco Ferdico
I vertici di curva Nord: Antonio Bellocco, Andrea Beretta e Marco Ferdico

Bellebuono: come lo inquadri? Lui ha rivelato a Beretta del piano per ucciderlo sotto spinta di qualcuno o è stato davvero un gesto di amicizia?

Da quello che leggo temo che sia stata proprio una questione umana. Credo che fossero diventati veramente amici. È l'unica alternativa che vedo. Anche perché Bellebuono non poteva non sapere contro chi si stava mettendo. L’omicidio Bellocco resta il vero colpo di scena: nessuno aveva preventivato la capacità di Beretta di uccidere Totò. Quel fatto cambia tutto, rende ogni cosa evidente. Ti dà l'unica cosa che mancava, cioè un pentito. E ti consegna una storia che altrimenti avresti impiegato anni per mettere insieme.

Ritorna una questione: poteva il club non sapere niente di tutto questo? Lo slo non si era accorto di nulla?

Il punto è: sì, è vero, il club viene danneggiato in quanto ricattato dagli ultras. Questi minacciano, magari implicitamente, o mi dai biglietti o ti creo un danno. Questa si chiama estorsione. Non ci piove. Dopodiché però l'alternativa ce l'hai sempre: denunciare. E nessuno te l'ha impedito, mai. Una società di calcio di respiro internazionale ha la struttura per farlo, per agire.

Questa storia cosa ci dice sul mondo del tifo organizzato in generale in Italia?

Per spiegare questa cosa devo partire da più indietro. La Juventus oggi, che di certo non vive una stagione calcisticamente esaltante, ha vissuto sulla sua pelle due operazioni, Alto Piemonte e Last Bet, che hanno smantellato i Drughi della curva. Sono inchieste che gli hanno riconsegnato uno stadio di proprietà da 40mila posti in cui hanno ripreso ad andare le famiglie. C'è un momento, a metà strada tra le due operazioni, in cui una sera gli ultras decidono di fischiare la squadra. E il resto dello stadio fischia gli ultras. È un momento che, secondo me, sancisce un passaggio: l'epoca degli ultras lì è finita, non so se torneranno. Questo stato di cose, questa ambiguità con il mondo ultras, è complicato da sostenere ancora. Perché non si è mai ridiscusso l'istituto della responsabilità oggettiva? Perché nessuno ha agito per togliere ai gruppi il coltello dalla mano? Facciamo che se fanno un danno, visto che abbiamo ormai una telecamera in alta definizione per ogni tifoso, noi diamo libero accesso alle autorità di polizia, all'identificazione, e il problema diventa loro. Così come mi sembra evidente che anche l'Istituto dello slo ormai ha fallito. Non funziona, non può funzionare in quel modo, non puoi trattare con dei gruppi e delle personalità come quelle.

Mi ha colpito prima la ricostruzione che hai fatto anche dell'incontro con Lucci, perché è una cosa che anche noi abbiamo scritto. Bellocco magari faceva vedere l'album di famiglia ma pure Lucci sapeva a chi fare riferimento.

Senza dubbio è così, aveva assolutamente le spalle coperte. Lui stesso ormai aveva un certo spessore. Lo dimostra anche il tentato omicidio di Anghinelli. Lucci si muove con una disinvoltura che è tipica dei grandissimi criminali, con una spregiudicatezza di chi controlla la città. Io, ripeto, me li sono trovati davanti Lucci e i suoi. L'unica altra volta in cui ho avuto una sensazione simile è stato davanti a Piscitelli.

La curva Sud ha sempre detto che quelle di Lucci sono vicende private.

È un’ambiguità fortissima. La curva del Milan viveva da più di un ventennio sotto una sorta di dittatura. Io credo che sia difficile strutturarsi diversamente. E poi chi dà la garanzia che non te la faranno pagare comunque, anche dal carcere, qualora succedesse qualcosa di diverso dal piano. È un'ambiguità dettata da un certo grado di incertezza. Altri leader hanno comandato la curva dal carcere. Perché Lucci non dovrebbe essere in grado di farlo? Poi è vero, non prendere le distanze da quei fatti in qualche modo li assolve.

Anche perché, come abbiamo detto, i contatti di Lucci pesano.

C'è un passaggio che spiega molte cose. Diverso tempo fa gli mettono sotto controllo la sede, il pub di Sesto San Giovanni. Mettono le telecamere sui pali della luce perché li vogliono riprendere mentre portano i carichi di droga. Lucci a un certo punto trova questa telecamera. Qualcuno forse gli ha detto dove trovarla? È chiaro che Lucci sia di un livello superiore.

I Banditi della curva Sud del Milan
I Banditi della curva Sud del Milan

Come mai sono pochissimi a parlare del caso ultras e dell’inchiesta Doppia Curva?

Tantissimi colleghi hanno una sorta di allergia per questioni del genere. Per loro è lavoro. Dopo il mio attentato (Ruffo è stato vittima di un attentato nel 2018, ndr) l’unico che mi ha chiamato è stato Ivan Zazzaroni, che è ancora oggi mio amico. Il mondo del calcio ha degli anticorpi tutti suoi.

L'ultima cosa, invece, sulla partita tra Milan e Como che si giocherà in Australia. Abbiamo parlato di tifosi, ma questa scelta non li mette certo al centro del villaggio.

Io concettualmente sono contrario, poi capisco che il calcio italiano abbia bisogno di soldi. Io, tifoso, ti concedo questa roba senza troppe polemiche. Ma in cambio cosa ottengo? Abbiamo un gigantesco problema con i giovanili, che arriva dal fatto che non li facciamo giocare. E allora io ti faccio giocare le partite dove vuoi una volta all’anno per fare cassa, ma tu devi mettere in campo i giovani italiani. Alla fine guardo Moise Kean e mi rendo conto di tutto una serie di cose che non abbiamo saputo fare: la Juve che lo manda via in quel modo, non facendolo crescere. Oggi è molto forte ma potrebbe essere molto più forte se l'avessimo fatto strutturare. Insomma, vuoi giocare in Australia? Ne hai facoltà, però servono anche altre regole che permettano di far crescere tutta la filiera.

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