Il 26 dicembre 2018, pochi minuti prima della partita Inter-Napoli, una guerra tra ultras si trasformò in tragedia. Ma quel che è davvero successo in quella notte di Santo Stefano non è solo un episodio di violenza tra tifosi: è l’inizio del romanzo criminale che ha infettato la Curva Nord dell'Inter. La testimonianza di Andrea Beretta, ex capo ultras della Curva, oggi collaboratore di giustizia, svela con dettagli sconvolgenti come quella tragica morte diventò il trampolino di lancio per un dominio mafioso che durò anni. Beretta ha parlato, e ciò che ha raccontato non è solo la cronaca di una rissa finita male. È la narrazione cruda di come il sangue di Daniele Belardinelli, ultras morto travolto da un'auto durante gli scontri, divenne il pretesto per un colpo di stato in curva. Non più solo tifosi, ma una vera e propria organizzazione criminale, che ha usato il nome dell’Inter e della sua tifoseria per costruire un impero di violenza e affari. Tutto è nel verbale della sua deposizione, rilasciata ai magistrati il 22 novembre 2024 e riportata dal Fatto Quotidiano.
Secondo Beretta, quella notte fu un momento cruciale: “La morte di Dede è stata la scusa per entrare e prendere il comando della Curva Nord”, ha dichiarato senza mezzi termini. E non c'è spazio per l'ambiguità: la versione di Beretta è chiara e spietata. Gli ultras, in principio, si trovano a Milano, al bar Cartoons di via Novara, in una situazione che sembrava ordinaria, anzi, quasi rilassata. Ma sotto quella facciata da bar sportivo si nascondeva una tempesta pronta ad esplodere. A chiamare Beretta in quel bar fu Dany Torcia, uno dei capi dei Boys, il gruppo ultras più potente della Curva. Quando Beretta arriva, però, capisce subito che la situazione è ben più grave di quanto sembrasse: “C’erano 150-200 persone, tutti con i gemellati, in un clima di tranquillità apparente. Non c'era aria di guerra... fino a che non sono arrivato io”. La sua presenza cambiò le cose: gli altri ultras capirono che qualcosa stava per succedere. La tensione cresce. Gli ultras si sarebbero spostati in un parchetto di via Fratelli Zoia, armati fino ai denti e pronti alla battaglia. “Ci siamo ritrovati con bastoni, machete, spranghe, bombe carta. Non era più una bevuta al bar, ma un campo di guerra”. Tre minuti dopo l’esplosione di una bomba carta, l’assalto ha inizio. Ma il caos non è il vero problema. Il vero problema arriva quando Beretta si sarebbe reso conto che Daniele Belardinelli, mentre cercava di fuggire dalla scena, viene travolto da un furgone degli ultras napoletani. Il colpo è letale. “Lo vedo a terra, con il sangue che gli usciva dalle orecchie, il corpo maciullato. Non c’era più niente da fare”.
Eppure, in quel momento di orrore, Beretta si sarebbe preoccupato solo di una cosa: “Mannaggia, dobbiamo togliere il corpo da lì prima che arrivino i poliziotti”. E così fecero: sollevarono il corpo di Dede, lo misero su una Polo e lo portarono via. La morte di Belardinelli non fu solo una tragedia. Fu il segno che le cose stavano cambiando. Dopo quella notte, la Curva Nord avrebbe cambiato padrone. Quello che inizia come una successione di eventi violenti, si sarebbe trasformata rapidamente in una lotta per il controllo assoluto. E il vero colpo di scena arriva quando Beretta si sarebbe fatto avanti per chiedere più potere. Nonostante avesse già preso parte a quella violenta escalation, i vertici del gruppo gli avrebbero risposto di no. “Mi chiamò Vittorio Boiocchi – continua Beretta – e mi disse che c'era bisogno di una scusa per prendere il controllo. La morte di Dede, in fondo, era perfetta”. Dopo i funerali di Belardinelli, Boiocchi avrebbe convocato una riunione con tutti i capigruppo, un’assemblea in cui la malavita si sarebbe fatta strada in modo spietato, nel racconto di Beretta. “A quella riunione, Boiocchi sollevò tutti dall'incarico e disse: Adesso prendiamo noi in mano la situazione, io e te. Tu sarai il frontman, io mi metto dietro”. E così, lentamente, la Curva Nord sarebbe passata sotto il controllo di una vera e propria organizzazione mafiosa, che avrebbe sfruttato il tifo per imporsi su ogni angolo di Milano. Gli uomini della Curva, ormai sotto il comando di Boiocchi, sarebbero diventati più che semplici tifosi. Le minacce, le estorsioni e la violenza avrebbero preso piede. E Beretta, pur non essendo mai stato il leader ufficiale, sarebbe diventato uno degli artefici principali di questa trasformazione. Secondo questo racconto, la Curva Nord non è più solo una passione calcistica: è un business, un impero che si regge sulla paura e sull'intimidazione. “Dopo Dede, tutto è cambiato”, afferma Beretta con cinismo. “Non si trattava più di tifare per l'Inter. Si trattava di fare soldi, di fare affari, di controllare tutto”. Quello che emerge dal verbale di Beretta è il ritratto di un gruppo ultras che non ha nulla a che fare con la passione per il calcio. È un racconto di come la Curva Nord dell’Inter sia stata completamente colonizzata dal crimine, con i vertici del gruppo che, anziché tutelare la tifoseria, l’avrebbero sfruttata per guadagni illeciti. Secondo Beretta, la morte di Dede non sarebbe stata una semplice fatalità, ma un episodio strategico che avrebbe permesso a una banda di criminali di prendere il controllo della tifoseria, sfruttando il caos, la violenza e il dolore per radicarsi al potere.