C’è un tono familiare e insieme chirurgico, nelle parole di Marco Travaglio al microfono del Basement di Gianluca Gazzoli. Un tono diabolico ma anche umano, cinico ma non indifferente. Schierato, ma ragionato, con idee e non ideologie. Nella lunga chiacchierata, il direttore del Fatto Quotidiano tocca molti dei suoi tormentoni, dalla guerra in Ucraina a Berlusconi, da Santoro a Gratteri, con quella lucidità acida che lo contraddistingue. Ma anche con qualche segno di disillusione, come quando parla del “nuovo” Fedez. Si parte dalla guerra. Per Travaglio, la retorica geopolitica da prima serata è l’antitesi dell’analisi storica. “Non è che Putin si è svegliato una mattina, il 24 febbraio 2022, e ha deciso di prendersi l’Ucraina per poi prendersi il resto d’Europa. Questa è una minchiata solenne che ci stanno raccontando”, sbotta. Per lui, come per qualsiasi storico che si rispetti, le guerre hanno cause. E spiegarle non significa giustificare l’aggressore. La prima causa? “La corsa agli armamenti. Se vuoi la guerra, prepari la guerra. Se vuoi la pace, prepari la pace. Soprattutto nell’era nucleare”. Incontrovertibile, ma a proposito di guerra si passa al suo arcinemico storico: Silvio Berlusconi. Partendo dal famoso “editto blugaro”, la cacciata dalla Rai di Biagi, Luttazzi e Santoro che “non dovevano più lavorare in televisione” per decisione politica. “Luttazzi l’avevano già fatto fuori prima. Poi fecero fuori anche Santoro. E soprattutto Enzo Biagi: dopo 40 anni, gli diedero il benservito con una raccomandata”. Sul decano dei giornalisti Rai, Travaglio è drasticamente serio: “L’hanno ucciso. Biagi è cambiato da così a così. È invecchiato di 20 anni in un attimo. Sono degli assassini”. L’unico contatto fisico con Silvio Berlusconi? “Gli ho stretto la mano nello studio di Santoro. Né prima né dopo ho mai avuto un backstage con lui”. Ma un tentativo di contatto ci fu, indiretto, tramite Francesca Pascale. Lei gli portò un libro fotografico su Villa Gernetto, residenza che il Cavaliere voleva trasformare in Università delle Libertà. Dentro, una dedica autografa: “Da un difensore della libertà a un altro appassionato della libertà. Con un unico rammarico: che non lavori per me. Ma fino a quando?”. Travaglio sorride: “Un tentativo di captatio benevolentiae, ma simpatica”.
Altro aneddoto, altro paradosso. Berlusconi, durante un ricovero al San Raffaele, viene sorpreso a leggere con l’evidenziatore verde un editoriale di Travaglio: “È il primo che leggo. Il suo direttore è diabolico, però è il più bravo che ci sia. E questa cosa la disse anche da Vespa, credo per farlo incazzare, perché gli disse che io ero più bravo. Capisci? Dopo tanto leccare, sentirsi dire che non sei nemmeno il più bravo non è il massimo”. Ma, nel male, c’è anche un giudizio positivo su Berlusconi: “Un gigante del crimine. Ma è un gigante”. Travaglio è luciferino ma coerente: “È uno che ha preso tutti per il culo, e alla fine gli è andata bene. In un altro Paese sarebbe durato pochissimo”. Il paragone va a Bernard Tapie, “il Berlusconi francese, messo in galera appena ha messo il naso in politica”. Ma Silvio no. “È riuscito a violare non so quanti articoli del codice penale — si fa prima a dire quanti non ne ha violati — e ha chiuso la carriera in Senato, ricevuto dal Presidente della Repubblica”. Una delle ferite più profonde per il Cavaliere, secondo Travaglio, fu vedere Giorgia Meloni diventare presidente del Consiglio. “La considerava una sua allieva, ma di seconda fila. Non ne era orgoglioso”. E lei ricambiava, ma erano due personaggi che si occupavano di cose diverse, secondo Travaglio. “Nelle chat dei Fratelli d’Italia che abbiamo pubblicato, la Meloni non parla mai d’affari. Lei è una politica. Lui era un affarista. Se avessimo le chat di Berlusconi, parlerebbero 90 volte su 100 di fi*a o di affari”.

Dopo Berlusconi, gli scontri con Matteo Renzi, ma il paragone è impietoso: “Se non mi hanno fatto paura Berlusconi, Dell’Utri e Previti, figurati se poteva farmi paura lui”, dichiara. E ribadisce il suo metodo: “Io tratto tutti i politici allo stesso modo. Prima gli do una possibilità. Se fanno quello che dicono e mi piace, applausi. Se fanno il contrario, fischi”. Renzi, secondo Travaglio, era una sorta di bluff: “Vinse le primarie con un programma che sembrava scritto da me. In realtà era copiato da Grillo, che a sua volta riprendeva le nostre battaglie ai tempi dei girotondi contro i condoni, per la legalità, la difesa della magistratura, il Parlamento pulito, senza condannati. Renzi aveva copiato quella roba lì. Era l’ultimo tentativo dell’establishment di combattere il grillismo. Una forma di grillismo in doppio petto, istituzionale. Appena andò al Quirinale da Napolitano, portò Gratteri come ministro della giustizia. Napolitano lo depennò subito, gli saranno ricresciuti i capelli blu come Rose Villain. E ci mise Andrea Orlando”. C’è spazio anche per una chiusura su Fedez che, se non ve lo ricordate, era stato demolito a casa sua, cioè a Muschio Selvaggio, quando aveva provato a tendere un’imboscata al direttore del Fatto: “Mi ha meravigliato la metamorfosi che ha subito Federico negli ultimi anni. Spero che ne esca, perché comunque mi sembrava che avesse delle qualità che non erano quelle che ho visto tirare fuori in quel podcast. Glielo auguro veramente. Cos’è che mi ha colpito di questa sua metamorfosi? Quello che ti ho detto: il fatto che fosse ossessionato. A un certo punto ha cercato di spiegarmi quale sarà l’informazione del futuro. Gli ho detto: Vabbè, magari mi spieghi qual è la musica del futuro, ma l’informazione te la spiego io”. E su Fedez chiude con un augurio sincero: “A Sanremo l’ho visto in versione penitente. Aveva un’aria di uno che non voleva fare lo smargiasso. Questo mi è sembrato un buon segno. Spero che ritorni il Federico che avevo conosciuto”.

