“Il palmo omicida di chi ha tolto la vita a Chiara Poggi è sempre lo stesso”. Gianluigi Nuzzi apre così il suo pezzo su La Stampa, sottolineando ciò che oggi, nella tarantella di accuse reciproche sul vero colpevole, sembra sfuggire. A quasi vent’anni dal delitto di Garlasco, la giustizia torna a vacillare davanti a nuove prove scientifiche e a un nome che ricompare con insistenza: Andrea Sempio. Al centro della riapertura delle indagini ci sono due tracce chiave: un’impronta del palmo e una serie di frammenti di Dna. La prima, nota come “traccia 33”, fu repertata sulle scale della tavernetta dove venne ritrovato il corpo di Chiara. Secondo le nuove tecnologie a disposizione, sarebbero “addirittura 15 i punti caratteristici che consentono di attribuire ad Andrea Sempio” quell’impronta. Tuttavia, Nuzzi ricorda che “i Ris di Parma, dopo aver valorizzato la traccia con i reagenti, scrissero nelle loro relazioni che quell’impronta non era utile”, ovvero inidonea per effettuare confronti validi in ambito forense. Una contraddizione pesantissima, tanto più che oggi la procura sostiene di poterla considerare come identificativa. E non è tutto. Anche il Dna trova spazio nella nuova narrazione investigativa: “Grazie alle nuove scoperte ora alcune tracce di Dna possono essere identificate e portare sempre a Sempio, in concorso con altri”, scrive Nuzzi, riportando le tesi dell’accusa che sembrano, di primo acchito, dare ragione a ciò che diceva Fabrizio Corona nell’ultima puntata di Falsissimo.

Ma chi è Andrea Sempio? Classe 1988, come il gruppo storico di amici di Chiara, viene descritto come “quello che nel gruppo di Garlasco era più sfuggente con le ragazze, quello che ti guarda sempre con imbarazzo come se vivesse in un corpo non suo”. Un profilo schivo, a tratti inquieto, che ora viene messo sotto la lente degli inquirenti anche attraverso un’analisi dei suoi scritti privati, sequestrati pochi giorni fa. In quei documenti ci sarebbero frasi emblematiche e ambigue che potrebbero delineare un quadro psicologico utile all’indagine. Nel frattempo, Sempio non si è presentato all’interrogatorio richiesto, lasciando in sospeso un confronto diretto con la magistratura. Intanto emergono dettagli sulle sue dichiarazioni passate, sui suoi rapporti con gli amici storici, come Mattia Capra, Marco Panzarasa, Alessandro Biasibetti, e sulla famosa bici, mezzo con cui si presume l’assassino abbia raggiunto la casa dei Poggi, e che torna centrale anche nei racconti dell’indagato, insieme ai videogiochi. Ma la scientifica si spacca. Da una parte ci sono i nuovi esperti e la procura di Pavia, convinti della solidità delle nuove acquisizioni. Dall’altra c’è chi, come il generale Luciano Garofano, fondatore dei Ris e oggi consulente della difesa di Sempio, mette in guardia da derive interpretative. “Una impronta dichiarata non utile non si può attribuire, nemmeno con gli ultimi progressi della scienza. Quindi una impronta non utile nel 2007 non diventa utile nel 2025”, afferma, e aggiunge: “Temo le interpretazioni forzate che già in passato hanno fatto tanti danni”.

Si va così delineando un possibile nuovo processo che, qualora venisse celebrato, rischierebbe di dividere l’Italia. Uno scontro dove non sono più tanto Sempio o Stasi a essere indagati, ma la stessa scienza forense che si troverà, come scrive Nuzzi, “sul banco dell’accusa e sul banco degli imputati”, e dove la giustizia appare sempre più simile a “una giustizia cannibale che divora sé stessa considerandola indegna di essere definita tale”. Certo, è vero che intorno al delitto di Garlasco, come già successo per Rosa e Olindo e per gli altri casi emblematici di cronaca nera, tutto il popolo italiano si dimostra pronto a diventare un detective: ognuno, per conto suo, crede di aver già risolto le indagini. Fin qui, tutto normale. Però, questo l’aspetto preoccupante sollevato da Nuzzi: se anche la scienza, alla quale incrollabilmente ci si aspetta di rimettere la soluzione del caso, entra in contraddizione con sè stessa, il colpevole rischia di rimanere un fantasma. Anche se, come chiude Nuzzi, “pensare a un’ipnosi collettiva della procura di Pavia, dei carabinieri di via Moscova di Milano, delle camicie bianche di Ris e Racis dell’Arma dei carabinieri pare insostenibile. Nell’accusa, la convinzione è che lui fosse nella villetta di Garlasco, andando poi a buttare l’arma chissà dove o dandola a chissà chi. E così lo scontrino del parcheggio di Vigevano potrebbe diventare una prova della procura, del grande inganno perpetrato per anni, con l’accusa di ieri troppo innamorata alla sua tesi Stasi-centrica per accettare dubbi”

